La controffensiva ucraina continua con successo, avendo riconquistato anche Izyum, che è snodo importante della regione di Kharkov. Ciò ha messo l’esercito russo alle strette e costretto a rivedere il suo dispiegamento e i suoi piani.
Tale successo è frutto della stretta collaborazione con i comandi americani, come rivendica con orgoglio il New York Times, riferendo informazioni provenienti dal Pentagono.
Il fatto che gli Stati Uniti abbiano avuto un ruolo decisivo in questa operazione lo indica anche la visita di Blinken a Kiev di giovedì, nella quale ha annunciato nuovi aiuti militari.
Ma non c’era bisogno di andare in Ucraina per dire che l’America continuerà a sostenere Kiev. Il viaggio serviva a due scopi: anzitutto coordinare da presso le operazioni militari, non tanto sotto il profilo operativo, ché Blinken non è un generale, quanto sotto l’aspetto gestionale, cioè assicurarsi che tutto procedesse secondo le istruzioni.
La seconda, che fa il paio con il senso dell’articolo del Nyt, mettere in evidenza che questa è una vittoria tutta americana, così che, simbolicamente, sono gli Stati Uniti, non l’Ucraina, ad aver sconfitto l’orso russo. Una vittoria che arriva a ridosso dell’11 settembre, data propizia per la controffensiva mistica.
Per quanto riguarda la parte operativa, è significativo quanto scrive il Nyt, che ha spiegato in questo modo le due operazioni fallite prima e in concomitanza della controffensiva vincente nella regione di Kherson; “La decisione dell’Ucraina di propagandare la sua controffensiva nel sud prima di colpire a nord-est è una tecnica standard di depistaggio usata dai soldati delle operazioni speciali americane, gli stessi che hanno addestrato gli ucraini fin dall’annessione della Crimea nel 2014”.
“[…] Questi ragazzi sono stati addestrati per otto anni dalle squadre delle Operazioni speciali”, ha dichiarato Evelyn Farkas, il più alto graduato del Pentagono per Ucraina e Russia dell’amministrazione Obama. “Gli è stato insegnato qualcosa sulla guerra irregolare. I nostri operatori dell’intelligence gli hanno insegnato l’inganno e le tecniche di operazioni psicologiche”.
Forse è vero quanto spiega il generale, il quale comunque, senza accorgersi, conferma quanto sostengono i russi, che la fase bellica attuale è solo una prosecuzione della guerra iniziata nel 2014 con piazza Maidan.
O forse manipola un po’ la realtà perché l’offensiva su Zaporizhzhia era vera, non una finta, altrimenti non avrebbero bombardato per giorni la centrale nucleare nella speranza che una criticità nucleare mettesse alle strette i difensori, prospettiva sfumata per l’arrivo alla centrale degli ispettori dell’Aiea, che avrebbero potuto raccontare al mondo la follia che si stava consumando.
Ma, anche a prendere per buona la tesi del generale, resta che la cronaca made in Usa appare alquanto stralunata. Sembra di assistere a una sorta di Risiko, con gli americani che mettono i loro carrarmatini neri in Ucraina e scacciano alcuni carrarmatini rossi da alcune aree.
La guerra è un’altra cosa, come dimostrano le cifre ufficiali, le quali indicano che l’esercito ucraino negli ultimi quattro giorni ha perso 12mila uomini (4mila morti e il resto feriti). Lo dice, en passant, anche anche il Nyt citato, spiegando che gli ucraini hanno “subito perdite pesanti”. Perché “passare all’offensiva è sempre più difficile da gestire rispetto alla difesa”.
Frase anodina che cela gli orrori indicibili accennati… Ma al di là le vittorie attuali permetteranno alla NATO di fornire ancora più carrarmatini all’Ucraina, dal momento che la vittoria impossibile ora appare meno impossibile, anche se resta una mera follia.
La Russia lo ha dimostrato aumentando la pressione sull’acceleratore e bombardando diverse centrali energetiche in tutta l’Ucraina. Colpi di avvertimento, dal momento che hanno provocato danni limitati (alcuni morti, purtroppo, e qualche black-out).
Attacchi che avevamo ipotizzato in un articolo pregresso e paventati anche dal Nyt suddetto. I colpi di avvertimento russi servono sia a rispondere con la stessa moneta agli ucraini, che colpiscono le centrali energetiche nel territorio controllato dai russi, sia ad avvertire Kiev che le cose potrebbero complicarsi, se cioè la Russia adottasse una tattica simile a quella usata dagli americani in Iraq, dove distrussero tutte le infrastrutture chiave del Paese.
Questi colpi di avvertimento dovrebbero far comprendere a cronisti, politici e guerrafondai vari che la guerra non è un Risiko e l’escalation è sempre dietro l’angolo. E che sarebbe il caso di accogliere le aperture russe sull’avvio di un negoziato (parola che latita nel campo occidentale), come riproposto di recente dal ministro degli Esteri Lavrov.
Le attuali vittorie ucraine potrebbero aprire una finestra di opportunità in tal senso, dal momento che un eventuale accordo non sarebbe percepito come una vittoria di Putin, cosa che Biden vuole evitare prima delle elezioni di midterm, ma come una sua sconfitta.
Purtroppo è più probabile che, invece, agiscano in senso contrario, intossicando ancor più la propaganda bellica che, dopo mesi di fumo, può prospettare una vittoria totale di Kiev in base a elementi parziali e in prospettiva fallaci, ma per la prima volta veritieri.
Sul senso dell’Occidente per la pace in Ucraina, si può leggere un istruttivo articolo di Walt Zlotov sul Ron Paul Institute che spiega come gli Usa, nell’aprile scorso, abbiano inviato Boris Johnson a Kiev per impedire che Zelensky si accordasse con la Russia in base a un piano di pace già stilato e sul punto di essere siglato (titolo dell’articolo: “Perché gli Stati Uniti hanno silurato l’accordo negoziato della guerra in Ucraina di aprile?”).
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