Interessanti le domande poste da Cal Thomas in un articolo del Washington Times. “Dopo un anno di supporto all’Ucraina nel suo tentativo di respingere l’invasione russa e di ritenere Vladimir Putin responsabile di quelli che il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha definito crimini di guerra, è tempo di porre alcune domande difficili”.
“La prima tra queste è, qual è il nostro obiettivo? Se non è la vittoria (e una vittoria ben definita), qual è? Dall’ultima vittoria dell’America, nella seconda guerra mondiale, siamo stati coinvolti in situazioni di stallo o in sconfitte”. E cita la guerra in Corea, il Vietnam, l’Iraq, l’Afghanistan (Libia?).
“E ora l’Ucraina. Nessun soldato americano è stato mandato al fronte (non ancora), ma ancora una volta, qual è il nostro obiettivo? È la vittoria, e se no, che cos’è? […] Ancora una volta, gli Stati Uniti stanno sopportando la maggior parte dell’onere finanziario in una guerra che sta prosciugando risorse che non abbiamo, dal momento che il nostro debito pubblico supera i 31 trilioni di dollari e continua a crescere, con interessi che si accumulano ogni giorno”.
Poi, riferendosi agli aiuti a Kiev, Thomas si chiede: “Ci sono controlli su questo denaro? Verrà utilizzato per i fini previsti o sprofonderà nel buco nero evidenziato dalla storia di corruzione del paese?”.
“Ci sono forti argomenti in favore di un proseguimento degli aiuti all’Ucraina per respingere Putin, ma questi argomenti diventano deboli se le nostre intenzioni non vengono chiarite e il nostro aiuto militare continua ad assomigliare a un versamento rateale“.
Quindi evoca l’ex Capo degli Stati Maggiori congiunti Colin Powell, che spiegava come prima di intraprendere una guerra si deve essere sicuri della vittoria grazie all’impiego di una forza “schiacciante”.
E, ancora, l’ex segretario alla Difesa Caspar Weinberger, secondo il quale prima di gettarsi in un’avventura bellica occorre chiedersi se ci “sono in gioco interessi vitali per la nazione, se la nazione è pronta a impegnare forze sufficienti per vincere, se sono stati stabiliti chiari obiettivi politici e militari, se le forze sono dimensionate per raggiungere tali obiettivi, se vi è una ragionevole certezza del sostegno del popolo americano e del Congresso”.
Domande difficili alle quali la presidenza Usa dovrebbe rispondere, dal momento che, secondo Thomas, la formula “sosterremo l’Ucraina per tutto il tempo necessario”, usata come un mantra in questo anno, è troppo vaga e rischia di legare l’America a un’impresa che potrebbe essere destinata al fallimento.
Certo, si potrebbe aggiungere un’altra domanda, se cioè valga la pena di rischiare un’escalation termonucleare inviando armi sempre più sofisticate sul campo di battaglia, domanda posta da altri cronisti, americani e non. Ma è solo un particolare, anche se di una certa importanza (vitale).
Purtroppo, la chiosa dell’articolo lascia alquanto perplessi, dal momento che Thomas conclude così: “Il presidente dovrebbe spiegare l’obiettivo e, intanto, chiedere alle nazioni europee di intensificare gli aiuti a Kiev”.
Non si comprende perché le domande che ritiene legittimo porre a Biden non debbano essere rivolte anche ai governi europei, anch’essi gravati da debiti immani, aumentati con la guerra, e anch’essi brancolanti nel buio circa il supporto incondizionato da destinare a Kiev.
Si ha l’impressione che per Thomas ciò che vale per l’America non valga per il Vecchio Continente, così identificato come una colonia alla quale si deve semplicemente suggerire-ordinare cosa fare nell’interesse di Washington.
Ma al di là anche di questo particolare, l’articolo di Thomas ha il merito di porre alcune domande scomode, quanto legittime, segno che circolano nell’establishment Usa.
Da ultimo, ci permettiamo di ricordare a noi stessi che i crimini di guerra, o asseriti tali, commessi dai russi in Ucraina, somigliano tanto ad altri crimini di guerra commessi dagli Usa nelle guerre che Thomas ha elencato in maniera così dettagliata (dal massacro di My Lai in Vietnam all’autostrada della morte in Iraq, solo per ricordarne alcuni tra i più noti).
Non si tratta di scusare questi ultimi, solo evidenziare che prima di giudicare altri, sarebbe meglio giudicare se stessi: In particolare ricordando che Biden votò a favore dell’invasione non provocata e illegittima dell’Iraq.
Certo, ha poi affermato di aver sbagliato, ma invece di pagare il fio di quell’errore, banalmente emarginandolo dalla vita politica, è stata premiato addirittura con la Casa Bianca. Al netto di un giudizio morale, che non ci compete, ci limitiamo ad osservare che la storia, come la geopolitica, non si scrive in bianco e nero. Il colore aiuta a vedere meglio i particolari, anche quelli importanti.
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