di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Gli osservatori russi continuano a fare congetture sulla recente visita di Vladimir Zelenskij a Varsavia: sugli scopi e anche sui tempi del viaggio, dal momento che, a prestar fede agli “strateghi” dei quotidiani occidentali, ancora pochissimo tempo e deve scattare quell'attacco ucraino al cui confronto le avanzate tedesche della “Kaiserschlacht” sul fronte occidentale nel 1918 dovrebbero sembrare partite a rugby. Dunque, perché il hetman Zelenskij se ne va a spasso, invece di essere al posto di comando a impartire ordini ai generali ucraini? La risposta è sin troppo banale: chi dirige le operazioni non sono né Zelenskij e nemmeno i suoi ufficiali. È pur vero che, a differenza di quella tedesca, l'offensiva di Kiev non è certo una sorpresa per i russi: tanto se ne parla che, alla fine, a Mosca si vedranno costretti a sollecitare l'avanzata ucraina.
Si diceva, comunque, degli scopi della visita di Zelenskij e consorte in Polonia: chiedere altre armi, ovviamente, forse anche un po' più moderne; forse anche nuovi missili, con cui Kiev possa colpire i quartieri civili di Donetsk e di Lugansk, come ha fatto in questi giorni, assassinando almeno tredici persone e ferendone altre quattordici.
Sicuramente: ancora armi (blindati”Rosomak”, mortai semoventi “Rak”, sistemi razzo “Piorun” e, naturalmente, Mig) e ancora nuovi crediti; ancora accordi sulla ricostruzione dell'Ucraina da affidare a imprese dei paesi “amici”. Soprattutto dei paesi che hanno precisi interessi sull'Ucraina; e tra questi, appunto, la Polonia di pan Duda, che agogna il rimborso UE del 10% sulle centinaia di miliardi da “investire” in strade, edifici, infrastrutture ucraine.
Dunque, quelle parole pronunciate dal hetman di fronte al proprio sovrano del rinato “Regno di Polonia” rappresentano la parte più “enigmatica” (a detta di molti osservatori russi: molto chiara) del viaggio di Zelenskij: «In futuro tra i nostri popoli non esisteranno più alcune frontiere: né politiche, né economiche e nemmeno, cosa molto importante, storiche». A proposito di queste ultime, forse però in Polonia c'è chi non è tanto d'accordo e non manca di ricordare, come fanno i nazionalisti della Fondazione “Wolyn, ktory pamietamy”, i massacri compiuti dai banderisti ucraini, di cui gli attuali nazi-golpisti di Kiev si considerano “eredi spirituali”.
Ufficialmente, è stato dichiarato che Zelenskij, con quelle parole, intendesse dire che presto l'Ucraina entrerà nella UE e dunque non avrà più frontiere coi vicini. Ma è dubbio che si sia trattato di un semplice problema di traduzione delle sue parole.
Ai pan polacchi si deve essere aperto il cuore e, soprattutto, si saranno ristrette le arterie vertebrali, provocando pericolose vertigini (“da successo”, avrebbe detto Iosif Stalin”): il vecchio sogno della rifondata “Rzeczpospolita” del 1569-1795, dal Baltico al mar Nero, con la riconquista degli agognati “Kresy Wschodnie”, i territori orientali, per di più senza combattere, ma serviti pacificamente quale omaggio del “vassallo” al “grazioso signore”.
E, comunque, ricorda il polonista Stanislav Stremidlovskij, lo stesso Andrzej Duda, a maggio 2022, aveva detto qualcosa di simile a quanto detto ora da Zelenskij. E un mese prima, anche il Direttore dell'Intelligence estera russa, Sergej Nariškin, aveva ammonito sulle mire polacche su Galizia e Volynja. Ma Kiev, in tutte quelle occasioni, aveva sempre parlato di “propaganda russa” che cerca di seminare zizzania tra Ucraina e Polonia.
E ora? Dopo le parole di Zelenskij, scrive Aleksej Sokol'skij su Segodnija.ru, l'unione di fatto dell'Ucraina alla Polonia può considerarsi questione risolta; rimane solo da formalizzare giuridicamente il tutto e poi appianare i problemi con Romania e Ungheria, che ugualmente vorrebbero agguantare il proprio pezzo di torta ucraina, ammesso che Varsavia sia disposta a dividere l'intero bottino con altri “soci”.
Ma, si chiede Evgenij Pozdnjakov su Vzgljad, quante sono veramente le chances di Varsavia di dar vita a una “Rzeczpospolita 2.0”, o, quantomeno, a una qualche confederazione polacco-ucraina? Stando al portale “Strana”, negli uffici presidenziali ucraini una tale ipotesi è vista come una delle varianti per «garantire la sicurezza del paese nel caso in cui, a guerra finita, non venga accolto nella NATO». Varsavia ufficialmente tace, ma in alcune dichiarazioni, sia dell'ex Ministro degli esteri Radoslav Sikorski (ripetute per due volte: l'ultima, lo scorso gennaio, ai microfoni di “Gosc Radio ZET”), sia dell'ambasciatore polacco a Parigi, nelle scorse settimane, si esplicitano le ambizioni polacche sugli ex “territori orientali”. Già oggi Varsavia ha le mani su fonti energetiche ucraine e dispone di qualche milione di manodopera ucraina a basso costo.
In ogni caso, nota RuBaltic.Ru, se a guerra conclusa l'Ucraina si riduce ai soli territori occidentali, sarebbe pienamente possibile la sua inclusione nello stato polacco - sempre ammesso che tale variante convenga oltreoceano - e, comunque, anche l'ipotetica nuova “confederazione” vicina ai confini russi, costituirebbe un'altra sfida a Mosca: nessuno può infatti garantire che, in caso di allargamento polacco a oriente, a Varsavia non venga in mente di avanzare pretese sulla regione di Khersòn che, per l'appunto, ha sbocchi su mar Nero e d'Azov e, a quel punto, l'antica confederazione polacco-lituana, da mare a mare, sarebbe cosa fatta.
Per tutta una serie di ragioni, comunque, sia di carattere amministrativo, locale, interstatale e finanche internazionale, più che una “confederazione”, per la quale, tra l'altro, Bruxelles avrebbe qualcosa da obiettare, la variante più probabile è appunto quella di una parte orientale dell'Ucraina assorbita nella Confederazione russa e una larga fetta di territori iccudentali inghiottiti all'interno dello Stato polacco.
Storicamente, una tale situazione ha comportato quasi sempre per Varsavia seri problemi di “convivenza”: sia nei secoli XVII e XVIII, sia nel XX, per mano dei nazionalisti ucraini, e i tentativi polacchi di assimilazione, con una feroce polonizzazione culturale, religiosa, etnica, scolastica, tra 1921 e 1939, si risolsero nel 1943 nei massacri della Volynja. Così che, se oggi le Kiev e Varsavia ufficiali sono unite dalla comune russofobia, ciò non elimina affatto i reciproci sentimenti di ripugnanza che, per la verità, sono stati a lungo inculcati in entrambe le società.
Ma che tutto ciò non sia solo frutto della “propaganda russa”, lo si deduce anche da altre fonti.
Lo scorso 26 marzo, sull'americana Foreign Policy, lo slovacco Dalibor Rohac scriveva che è tempo, per risolvere molti degli attuali problemi europei, di tornare al concetto di "Miedzymorze", a quella configurazione nata nel 1386 dall'unione tra Polonia e Granducato di Lituania, che inglobava gran parte delle attuali Bielorussia e Ucraina e una cui riedizione era stata sognata anche dal maresciallo Jozef Pilsudski negli anni '20: una rinata Rzeczpospolita Polska dal Baltico al mar Nero.
In questo modo, sostiene Rohac, si aggirerebbe la questione dell'ingresso dell'ucraina nella UE e nella NATO, essendo la Polonia membro di entrambe e soprattutto, dando vita a una federazione o confederazione delle due entità, si «assicurerebbe un più che valido contrappeso al tandem franco-tedesco». Oltretutto, dice lo slovacco, «Per gli Stati Uniti e l'Europa occidentale, l'unione sarebbe un modo permanente per proteggere il fianco orientale dell'Europa dall'aggressione russa. Invece di un paese confuso e un po' caotico di 43 milioni di persone che vagano nella terra di nessuno, l'Europa occidentale sarebbe protetta dalla Russia da un paese formidabile, con una comprensione molto chiara della minaccia russa».
Non ci è dato sapere se e quanto tali elucubrazioni rispondano a piani ipotizzati in sfere politiche ben più alte.
Dopotutto, già una quindicina di anni fa, l’americana StratFor, del solito George Friedman, pronosticava che «verso il 2030 la Polonia dominerà su Bielorussia e Ucraina… e verso il 2045 la Polonia riunirà intorno a sé Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e stabilirà un protettorato su Slovenia e Croazia. Così per la metà di questo secolo l’Europa sbalordita scorgerà sulla sua carta un nuovo impero, la Rec Pospolita polacca, come nel XVII secolo, da mare a mare».
Di certo, come nota anche Vasilij Stojakin su Ukraina.ru, se Rohac parla della creazione di uno stato federale, o confederale, che possa in tal modo diventare automaticamente membro UE e NATO, allora egli parla proprio di un inglobamento dell'Ucraina nella Polonia. Perché, nel caso in cui venisse preservata, anche solo in parte, una certa qual sovranità ucraina, o venisse creata una nuova entità statale, allora non ci sarebbe alcun ingresso automatico in UE o NATO, come aveva dimostrato l'esperienza della DDR, che Rohac cita esattamente a sproposito.
Kiev e Varsavia giurano sulla comunanza d'intenti contro il “nemico comune”; ma nessuna delle due ha mai guardato all'altra come amica. Così che vale il detto secondo cui «Quando mai uno trova il suo nemico e lo lascia andare per la sua strada in pace?» (Samuele, 24-20).
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