PICCOLE NOTE
Il tempo appartiene all’essenziale della storia, il cui corso è scandito da eventi e date. Così non sfugge l’importanza simbolica di quanto si è consumato al termine della scorsa settimana: mentre si chiudeva il G-7 di Hiroshima – elettrizzato dalla presenza di Zelenky, -, con l’usuale comunicato di sostegno all’Ucraina e il varo di nuove e altrettanto inutili sanzioni anti-russe, Bakhmut cadeva in mano alle forze di Mosca.
Un evento che forse avrà un impatto limitato sulla guerra in corso, ma di grande rilevanza geopolitica, perché Zelensky, spinto dai neocon, l’ha voluta difendere a tutti i costi mandando al macello decine di migliaia di ragazzi ucraini e le sue truppe più esperte, nonostante fosse chiaro che non poteva tenerla. tanto che anche il Pentagono gli aveva suggerito di abbandonarla (Washington Post).
Tenerla a tutti costi, aveva detto, era di importanza capitale. Concedere ai russi anche una minima vittoria, aveva spiegato, avrebbe recato un grave nocumento alla causa ucraina.
Accreditare tanta importanza alla difesa della città ha così dato alla sua perdita un grande significato simbolico, aumentato dal parallelo summit di Hiroshima, i cui vacui richiami alla difesa di Kiev sono apparsi così distaccati dalla realtà da far apparire i protagonisti del G-7 degli attori tristi, costretti a recitare un copione dal quale sono impossibilitati a uscire.
Tale distacco dalla realtà raggiunge vette parossistiche in Zelensky – il figurante speciale che il potere d’Occidente ha reso simbolo di questo momento storico – come denotano le sue ultime dichiarazioni, nelle quali ha affermato con pervicacia che Bakhmut non è caduta.
Dichiarazioni che i funzionari ucraini sono stati costretti a confermare, spiegando che nei pressi della città le loro forze controllano alture strategiche e altro, con il vice ministro della Difesa Hanna Malyar che è arrivato persino a dire che le truppe ucraine “hanno quasi accerchiato la città'” (CBS).
Un concetto, quest’ultimo, ribadito da un titolo del Washington Post: “L’Ucraina spinge per circondare Bakhmut con un nuovo obiettivo di ‘accerchiamento tattico”. Qualcosa del genere anche nel titolo del New York Times: “Mentre Bakhmut è devastata, l’Ucraina sposta l’attenzione sulla periferia della città”.
Tutto per non dover ammettere che hanno sbagliato/raccontato frottole esaltando per mesi l’eroica resistenza ucraina che, grazie alle armi Nato, avrebbe avuto di certo retto all’assalto del nemico. E per non dover ammettere che le forze ucraine sono state mandate al macello per niente, perché, come sapeva perfettamente il Pentagono, che lo aveva comunicato a Zelensky, la città sarebbe stata persa.
Certo, forse gli ucraini proveranno a riprenderla, ma questo sarà eventualmente un nuovo capitolo di questa tragica storia, che oggi registra la secca vittoria russa.
Non si tratta, con quanto scritto, di magnificare l’esercito russo, ma di mettere in luce la fallacia della narrativa di guerra occidentale.
Una fallacia più o meno ingenua da parte dei tanti cronisti che fanno eco alle informative dei centri di propaganda ufficiali, niente affatto ingenua in questi ultimi, i quali devono esaltare la Forza ucraina per giustificare la fornitura di armi (miliardi di dollari) e rigettare con sdegno gli appelli e le prospettive di pace; da respingere, appunto, perché la vittoria sulla Russia è un obiettivo possibile (mentre sanno perfettamente che non lo è).
Peraltro, anche l’annuncio della luce verde da parte della Casa Bianca al trasferimento degli F-16 europei in Ucraina aveva tale scopo, avendo in tal modo dato in pasto ai media una notizia eccezionalmente banale per sovrapporla a quella in arrivo dal campo di battaglia. Tutto, anche qui, secondo copione. Un copione tristo e banale come il male.
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