Ancora poco chiari i contorni di quel che sta avvenendo in Russia a causa della rivolta di Prigozhin. Di sicuro si sa che la Wagner si è attestata nel Comando militare di Rostov prendendo il controllo dell’intera città e che Putin, in un discorso alla nazione, ha parlato di tradimento e di severe punizioni.
Quanto sta avvenendo avrebbe dovuto essere un colpo di Stato, “Stiamo bloccando la città di Rostov e andando verso Mosca”, ha detto Prigozhin in un video riferito dal New York Times.
Ma ad oggi, il golpe sembra già fallito: la marcia verso la capitale della Wagner non sembra aver preso forma e l’esercito russo sembra aver preso contromisure adeguate. Fallito l’effetto sorpresa, le chanche di successo diminuiscono.
Resta da capire come evolverà la situazione, dal momento che il confronto a Rostov e nelle vicinanze potrebbero sfociare in scontro aperto tra la Wagner e l’esercito russo, ancora limitato ad alcune scaramucce.
Ad oggi sembra che il tentativo di Prigozhin sia isolato (cioè sia stato relativamente isolato perché è alquanto ovvio che ha goduto di connivenze in qualche alta sfera).
Probabile che il suo pronunciamento sia arrivato troppo presto. cioè che si sia mosso troppo in fretta, incalzato dagli eventi. E, avendo dovuto anticipare, ha perso lo slancio.
Così veniamo a ricostruire la storia del cosiddetto cuoco di Putin che da tempo ha ingaggiato un duello verbale, e non solo, con l’alto comando dell’esercito russo.
In un altro articolo, riassumiamo, avevamo spiegato che la polemica mirava a destabilizzare il Comando dell’esercito e a prenderne il controllo, passo che avrebbe permesso a lui, meglio ai suoi sponsor, di controllare il Cremlino.
Prigozhin aveva guadagnato i suoi allori, che ora tenta di rivendere ai cittadini russi, sul campo di battaglia di Bakhmut. Conquistata la città, a un prezzo indicibile per entrambe le parti, si era inaspettatamente ritirato dal fronte. Questa la prima mossa che preludeva all’attuale sviluppo.
La seconda mossa, nelle sue intenzioni, era quella di piazzare la Wagner nella regione al confine con l’Ucraina, quella di Belgorod, in maniera legittima, cioè su mandato del Cremlino.
A tal fine aveva tentato di sfruttare la relativa destabilizzazione locale provocata dalle incursioni dei cosiddetti volontari russi anti-Cremlino, chiedendo di essere inviato a domarla. Di fatto, Prigozhin aveva intenzione di attestare meglio la sua Wagner nella regione, ma senza scoprire ancora le carte, per aspettare il momento più opportuno.
Probabile che Progozhin contasse su uno sfondamento della linea difensiva russa in Ucraina. Nella destabilizzazione conseguente, il suo pronunciamento, rafforzato dalla debacle del Comando russo, avrebbe goduto di maggiore incisività.
Ma l’atteggiamento sempre più apertamente ostile a Mosca del capo della Wagner ha indotto il Cremlino a rompere gli indugi e a ordinare una stretta sulle formazioni mercenarie, a cui è stato chiesto di firmare un contratto che le pone sotto il controllo del Ministero della Difesa.
Prigozhin ha rifiutato sdegnosamente di rientrare nei ranghi, proseguendo nelle sue polemiche verbali, nelle quali è arrivato addirittura a criticare l’invasione dell’Ucraina – nonostante ne sia staro un protagonista assoluto – per attirarsi le simpatie dell’Occidente, con il quale da tempo gioca di sponda. L’implicito in tali dichiarazioni era che se avesse preso il potere avrebbe ritirato le truppe dall’Ucraina e fatto fuori Putin, responsabile dell’invasione.
Resta un mistero di come l’apparato russo non abbia preso provvedimenti prima del precipitare degli eventi, monitorando con più attenzione la situazione. Ciò sembra derivare, appunto, da connivenze nelle alte sfere, ma questo aspetto resta avvolto nel mistero, che forse rimarrà tale dal momento che Putin tende a circoscrivere gli avvenimenti.
Nonostante il suo discorso abbia avuto toni drammatici, sulla questione Prigozhin si è limitato ad affermare che occorre “stabilizzare” la situazione di Rostov (ma ha anche parlato della rivoluzione del ’17, accennando a uno sfondo più ampio della congiura).
Sviluppi da seguire. La Wagner dice di avere 25mila uomini, molto ben armati e ben addestrati. Tra questi, contractors professionisti a libro paga, ma anche volontari che più che per la paga si sono intruppati per partecipare di quella che era considerata la truppa d’élite russa, quella delle missioni più estreme.
Da vedere se gli uni e gli altri, se il confronto dovesse indurirsi ulteriormente, rimarranno fedeli al loro capo.
Di interesse notare che l’Occidente ha trovato una sponda invero sorprendente all’interno della Russia, la truppa considerata alla stregua di un’organizzazione terrorista e la più spietata nell’ambito del conflitto ucraino (“non faremo prigionieri”, ebbe a dichiarare Prigozhin durante la battaglia di Bakhmut, come riferiva Open).
E di come, ancora una volta, si sia disvelata una palese disinformazione della propaganda occidentale. Per anni si è parlato di Prigozhin come del “cuoco di Putin”, così da accreditare direttamente allo zar i duri interventi della Wagner sui vari campi di battaglia. Il cuoco, com’è evidente, destinava la sua cucina ad altri.
Resta da capire l’interazione tra il pronunciamento di Prigozhin e il fronte ucraino, se cioè il fronte interno aprirà spazi alla controffensiva delle forze di Kiev. Ma perché ciò avvenga, la querelle Prigozhin deve durare tempo. Peraltro, più dura, più è possibile l’ampliarsi della destabilizzazione interna. Sviluppi da seguire.
Nota a margine. In precedenza, in una nota dal titolo “La guerra ucraina e la variabile Prigozhin“, avevamo tracciato un parallelo tra Prigozhin e il nobile boemo Albrecht von Wallenstein, che nella guerra dei Trent’anni servì l’Impero con i suoi mercenari per finire poi con l’apparire inaffidabile agli occhi dell’imperatore medesimo, da cui la sua rovina. Nello scritto, avevamo anche accennato a come l’allarme di Putin sul pericolo dell’instabilità interna fosse reale.
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