Zelensky a New York: più spine che rose



“Zelensky è teso mentre gli alleati dell’Ucraina aumentano la pressione”. Questo il titolo di un articolo di Bloomberg sul viaggio del presidente ucraino a New York. Questo il sottotitolo: “Lo sfogo del presidente ucraino all’Onu è il segno che dietro le quinte si stanno accumulando tensioni più gravi”.


Zelensky a New York: più spine che rose

Lo scritto di Bloomberg conferma alcune note pregresse, nelle quali registravamo segnali di distacco tra Washington e Kiev. Secondo Bloomberg Zelensky percepisce ciò da tempo, tanto che avrebbe imputato agli Stati Uniti anche il diniego a partecipare al G-20 tenutosi in India a metà settembre, recapitatogli formalmente da New Delhi.

Probabile che Zelensky abbia ragione. Se certo l’India non voleva che partecipasse, perché neutrale sul conflitto ucraino, è plausibile che anche gli Stati Uniti fossero contraria.

Non volevano che Zelensky lacerasse il G-20 con il suo fondamentalismo, perché in quella sede erano intenzionati a rafforzare i legami con l’Inda e ad avviare un difficile cammino di compromesso con Mosca grazie alla mediazione indiana e di altri, come dimostra il documento conclusivo dell’assise nel quale si è condensata, seppur implicitamente, tale prospettiva (Piccolenote).

Una prospettiva che il viaggio a New York di Zelensky non ha mutato. Bloomberg riporta le dichiarazioni di una fonte secondo il quale in ambito internazionale si sta rafforzando la domanda su “quanto tempo Zelensky potrà continuare nel suo attivismo prima di avviare i negoziati con il Cremlino”.

Il vento sta cambiando, tanto che Axios titola: “Il gelido benvenuto di Zelensky a Washington”. Nell’articolo si limita a riferire l’ostilità di una nutrita pattuglia di repubblicani agli aiuti all’Ucraina, che ha costretto il capogruppo alla Camera del partito a evitare un incontro tra Zelensky e i parlamentari suddetti. E sebbene Axios circoscriva l’avversione per gli aiuti a Kiev alla pattuglia succitata, è chiaro che il titolo si riferisce a un fronte più vasto.

Peraltro, se i media hanno dato ampio risalto al nuovo pacchetto di aiuti promesso da Biden a Zelensky, è chiaro che i 325 milioni di dollari aggiuntivi sono poca cosa rispetto alle attese più ottimistiche del postulante.

In particolare, gli stati negati ancora una volta – almeno per ora – i missili a lungo raggio ATACMS, che stavolta era certo di portare a casa grazie all’immane pressione esercitata sulla Casa Bianca dal partito della guerra made in Usa (la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre nel briefing del 21 settembre, a una specifica domanda, rispondeva: “A tale riguardo non ho nulla da annunciare oggi”).

Infine, l’elargizione bellica era peraltro scontata. Biden doveva coprirsi le spalle dalle critiche dei falchi per il niet di cui sopra, ma soprattutto non poteva rimandare Zelensky a casa a mani vuote: avrebbe implicitamente dichiarato al mondo che considerava chiusa la guerra.

L’Endgame non può arrivare da un momento all’altro, basti pensare alla guerra coreana degli anni ’50: i negoziati durarono due anni.

Zelensky in Canada a cercare conforto

Per consolarsi dalle angustie di New York, Zelensky ha fatto una deviazione a sorpresa in Canada, tesa a rilanciare l’idea che il mondo si stringe attorno a Kiev. Propaganda alla quale si è prestato con entusiasmo il bellicoso premier canadese Justin Trudeau.

Proprio nei giorni della visita di Zelensky, il Canada è balzato al centro dell’attenzione internazionale per le accuse di Trudeau all’India, che avrebbe commissionato l’omicidio di un attivista sikh – terrorista per gli indiani – sul suo territorio, attirandosi le smentite e l’ira di New Delhi.

Accusa che suona come una vendetta per l’esito del G-20 succitato e tesa a far pressioni sull’India perché receda dalla neutralità e si opponga alla Russia. Ma che pone anche criticità al rapporto tra India e Stati Uniti, rilanciato da Washington perché basilare per la sua strategia Indo-pacifica.

Una strategia che vuole rafforzare, come denota il cambio della guardia al vertice degli Stati Maggiori congiunti, dove al generale Mark Milley è succeduto il generale Charles Brown Jr, focalizzato sulla Cina.

Così l’accusa di Trudeau è calata come una mannaia sull’amministrazione Biden, tanto che il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan si è affrettato a negare che quanto avvenuto crea criticità nei rapporti degli Stati Uniti con India e Canada.

La visita a sorpresa di Zelensky in Canada assume quindi il significato di una sfida a Biden: se l’amministrazione Usa pensa di scaricare l’Ucraina per concentrarsi su Pechino (vedi anche il Kyiv Post) è avvertita che il partito della guerra è pronto a bombardare le iniziative della Casa Bianca.

Tale partito ritiene che l’America possa impegnare Russia e Cina contemporaneamente e che anzi sarebbe un errore fatale abbandonare Kiev al suo destino.

Zelensky naviga su tale onda, ma non per questo la sua navigazione è tranquilla, anzi. E la visita di conforto in Canada non basta a compensare le delusioni ricevute negli States. Dovrà tornare in patria e alla dura realtà.

Così Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko ha commentato l’attuale diatriba che infuria tra Polonia e Ucraina (il presidente polacco Duda ha detto che Zelensky sta affogando): “Pensate che la Polonia stia facendo di sua iniziativa pressione sulla povera Ucraina? No, gli hanno dato il via libera dall’estero: dobbiamo scaricare Zelenskyj, [l’Occidente] è stanco di lui”.

Ps. Prima del viaggio di Zelensky a New York è stata cacciata la psicopatica portavoce dell’esercito ucraino, la transgender Sarah Ashton-Cirillo, che aveva minacciato di morte i propagandisti russi (video). L’ordine potrebbe esser partito da Washington oppure a Kiev si inizia a capire che certe follie estreme (e soprattutto pubbliche) adesso non sono più ben viste dall’alleato d’oltreoceano.

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