PICCOLE NOTE
Addolorato il j’accuse di Gideon Levy riguardo la difesa israeliana sulle accuse di genocidio portate dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia (Cig). Ne scrive su Haaretz, ne riportiamo ampi brani.
“Come definire, in altro modo, i bambini moribondi sui pavimenti degli ospedali, alcuni dei quali non hanno più nessuno al mondo, e gli anziani civili affamati che fuggono per salvarsi la vita dall’incessante minaccia delle bombe che cadono ovunque?”
“La definizione giuridica cambierà il loro destino? Israele tirerà un sospiro di sollievo se la Corte respingerà le accuse? Per quanto riguarda il nostro Paese, se questa situazione non sarà giudicata come genocidio, la nostra coscienza sarà di nuovo pulita. Se L’Aia proclamerà che ‘non c’è un genocidio in atto’, saremo di nuovo gli uomini più morali del mondo”.
Quindi, Levy ironizza sulla difesa esposta dai legali israeliani presso la Corte, ricordando anche l’accusa lanciata al Sudafrica di essere il “braccio legale di Hamas”, che riportiamo perché significativa della poca lucidità che stanno dimostrando nell’occasione gli esperti di pubbliche relazioni di Tel Aviv, che sperano di coprire quanto si sta consumando nella Striscia brandendo l’accusa di connivenza con Hamas contro chiunque devii dalla narrativa della Hasbara.
Levy segnala, in particolare, due passaggi della difesa, riguardo ai quali, annota, “era difficile decidere se ridere o se piangere. Come quando si è sostenuto che solo Hamas è responsabile della situazione di Gaza. Israele non vi ha alcun ruolo né partecipazione. Dirlo a una prestigiosa istituzione internazionale significa mettere in dubbio e insultare l’intelligenza dei suoi giudici”.
“E che dire delle osservazioni del capo della squadra della difesa israeliana, professor Malcolm Shaw, il quale ha affermato: ‘Le azioni di Israele sono proporzionate e prendono di mira solo le forze armate?’ Che dire, appunto di quanto avviene realmente? Proporzionate con tutta la distruzione in atto? Se questo significa proporzionato, cos’è sproporzionato? Hiroshima?” [la cui devastazione, peraltro, è stata evocata da alti funzionari israeliani per quanto riguarda Gaza (New York Times), sulla quale si è abbattuta una potenza esplosiva doppia di quella di Hiroshima (al Jazeera)].
Inoltre, continua Levy, che dire delle altre affermazioni di Shaw, secondo il quale la nostra azione è rivolta “‘solo contro le forze armate’, quando si registra una moltitudine di bambini morti? Di cosa stava parlando? E poi quel ‘telefoniamo per evacuare le persone non coinvolte’; quante persone hanno ancora un telefono funzionante a Gaza e dove, esattamente, dovrebbero evacuare in quell’inferno, nel quale non rimane un solo angolo di territorio sicuro? E poi la conclusione definitiva: ‘Anche se i soldati violassero le leggi di guerra, il sistema legale israeliano si farà carico di questo”.
“Sembra che Shaw non abbia mai sentito parlare del sistema legale israeliano e ancor meno di quello che viene definito sistema legale militare. Non ha sentito che dopo l’operazione Piombo Fuso, il conflitto con Gaza del 2008-2009, solo quattro soldati sono stati incriminati per reati penali e solo uno di loro è finito in prigione per il furto di una carta di credito (!). Tutti gli altri, che hanno imperversato con bombe e proiettili contro degli innocenti, non sono stati incriminati, né mai lo saranno”.
“E che dire delle osservazioni della dottoressa Galit Rejwan, la scoperta del fine settimana – la quale senza dubbio sarà scelta per accendere la fiaccola di quest’anno alla cerimonia del Giorno dell’Indipendenza sul monte Herzl – che ha affermato: ‘L’IDF sta trasferendo gli ospedali in un luogo più sicuro’. Al Shifa verrà trasferita a Saba? Rantisi a Soroka? Di quali luoghi sicuri a Gaza sta parlando e quali ospedali sposterà l’IDF?”
“Niente di tutto ciò, ovviamente, prova che Israele ha commesso un genocidio. Lo deciderà il tribunale. Ma come sentirsi a proprio agio con tali argomenti a favore della difesa? Come sentirsi bene dopo L’Aia? Come sentirsi bene dopo Gaza?”
Un’ultima annotazione la riprendiamo dall’Associated Press, che racconta l’incontro tra Nelson Mandela con Yasser Arafat, quando i due leader politici ebbero ad associare le rispettive cause, la fine dell’Apartheid e la lotta di liberazione del popolo palestinese.
Tanto che, quando tutto il mondo si felicitò con Mandela per la vittoria della sua causa, dopo aver ringraziato per le felicitazioni, aggiunse: “Sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”.
Così suona convincente il titolo che l’Ap ha inteso dare alla sua nota: “L’impegno di Mandela per la causa palestinese continua oggi con la causa intentata del Sudafrica a Israele per genocidio”.
Per questo è così importante che a intentare la causa per genocidio sia stato il Sudafrica, che ha conosciuto gli orrori dell’apartheid, condizione alla quale erano sottoposti i palestinesi ben prima del 7 ottobre e della guerra di Gaza, come denunciato da Amnesty international e come hanno affermato più volte tanti intellettuali israeliani, compresi tanti recalcitranti ad accettare tale accusa, e addirittura l’ex capo del Mossad Tamir Pardo, che sapeva perfettamente di cosa stesse parlando.
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