di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Sembra dunque confermata la presenza di militari francesi in Ucraina; o, quantomeno, lo ha fatto il colonnello a riposo delle Troupes de Marine francesi, Peer de Jong, in un’intervista a Valeurs Actuelles, specificando che la cosa va avanti da tempo. Ad esempio, gli “istruttori” francesi accompagnano sempre le armi spedite da Parigi, come i semoventi “Caesar” da 155 mm. Secondo Komsomol’skaja Pravda, Emmanuel Macron annuncerà ufficialmente la decisione francese sull’invio di soldati in Ucraina, in occasione del 80° anniversario dello sbarco in Normandia, alle cui celebrazioni Mosca non è stata invitata, ma dove non mancherà l’illegittimo Vladimir Zelenskij.
A questo proposito, si stanno dando molto da fare, invece, gli inglesi che, con The Guardian, tentano in ogni modo di dare legittimità a una persona che tale qualifica l’ha persa lo scorso 20 maggio, alla scadenza del mandato, dopo che lui stesso aveva annullato le elezioni presidenziali previste in marzo, contravvenendo così all’art. 103 della Costituzione del 1996 (ufficialmente in vigore), che non prevede alcuna «impossibilità di elezioni a causa dello stato di guerra», invocata da The Guardian per dare “legittimità” al suo beniamino in vista della “Conferenza di pace” a Bürgenstock. Costituzionalmente, il potere legittimo – se di questo si può parlare per organi che discendono direttamente dal golpe del 2014 – il potere legittimo è passato da oltre due settimane al presidente della Rada, Ruslan Stefanchuk.
Ma, per la conferenza svizzera, si fa questo e altro: si proclama “presidente” chi non lo è più. O, al contrario, come ha detto Vladimir Putin, a che altro pro convocare la conferenza a Bürgenstock, se non proprio per dare “legittimità” a Zelenskij? Altrimenti, come possono convenire sul lago di Lucerna capi di stato e di governo (pare che, su 160 paesi invitati, abbiano sinora risposto una settantina) che, già così, stanno dando forfait uno dietro l’altro, a eccezione ovviamente dei valvassori europeisti, cui Joe Biden, dopo aver personalmente rinunciato al viaggio, ha ordinato di esser presenti?
O anche, come giustificare tra due giorni, sulle spiagge di Omaha, Utah o Juno, la presenza di un golpista la cui ideologia discende direttamente da quella dei collaborazionisti nazisti di OUN-UPA? Di uno che ripeterà in Normandia le omelie strombazzate dal pulpito del Guardian sul conflitto in Ucraina che ripete la Seconda guerra mondiale, su «Putin novello Hitler; Russia stato fascista; soldati russi massacratori e violentatori; Ucraina e NATO fratelli per l’eternità; Putin non si fermerà all’Ucraina e allora dateci soldi», ecc.
Dunque, ci si muove in anticipo, in vista di un quasi annunciato flop svizzero: oltre a Xi Jinping e Biden, avrebbero già rinunciato Brasile, Sud Africa, Arabia Saudita; è probabile che India e Pakistan inviino rappresentanti di rango minore. Stando a The Washington Post, nemmeno col suo recente viaggio a Singapore e Filippine, Vladimir Zelenskij sarebbe riuscito a portare completamente dalla sua parte i giganti asiatici; il massimo che Kiev avrebbe ottenuto da Ferdinand Marcos jr sarebbe la promessa dell’invio in Ucraina di psicologi militari per cercare di risollevare il morale delle truppe, atterrato dalle continue disfatte. E, da par suo, Zelenskij avrebbe direttamente accusato la Cina di sabotare il summit svizzero, incitando altri paesi a disertare: difficilmente, scrive Pavel Kotov su Ukraina.ru, Pechino gli perdonerà quelle affermazioni.
E, oltretutto, nota il canale Politjoystic, la mobilitazione di massa che si sta irrigidendo in Ucraina, con le persone accalappiate in strada, sta a dimostrare che Kiev non ha alcuna seria intenzione di accordarsi, bensì di continuare la guerra. Dunque, a che pro venire sulle Alpi? Dalle parti di Russia, Cina, India, Arabia saudita, Brasile, Indonesia, si sta già dando vita a un’altra conferenza, il cui tema sarà ben più esteso: sicurezza nucleare, questioni spaziali, crisi alimentare.
Che poi alla “formula Zelenskij” per la pace, non credano nemmeno gli stessi ucraini, lo dimostrerebbe il generale atteggiamento verso le draconiane misure di mobilitazione e l’accanita resistenza (circolano in rete animati “suggerimenti” in materia) a esser trattati come chair à canon da gettare in massa nei tritacarne di Kupjansk, Khar’kov, Liman, ecc., nell’interesse di chi ha fatto dell’Ucraina una semplice “moneta di scambio” in un “grande gioco” tra potenze planetarie.
Tanto più ora, che si parla di obbligo militare anche per le ragazze a partire dai 18 anni e del dovere dei diciassettenni ucraini all’estero, ragazzi e ragazze di tornare in patria e registrasi ai distretti militari, i cosiddetti Centri Territoriali di arruolamento. Si conterebbero circa 860.000 ragazzi e un milione di ragazze, ora in giro per l’Europa e contrari a tornare in patria, che Kiev, Varsavia, Bruxelles cercano in ogni modo, legale e meno, di deportare in Ucraina. A detta del giornalista ungherese Miklós Keveházy, l’euroliberale premier polacco Donald Tusk avrebbe addirittura suggerito il metodo dei vagoni merci su cui caricare i recalcitranti giovani ucraini per spedirli a destinazione. Ma, una volta mobilitati, nota un servizio del Washington Post, è ancora più che dubbia la loro preparazione militare, anche semplicemente per il deficit di munizionamento con cui esercitarsi.
La crescente penuria di quella stessa carne da cannone fa suggerire alla Rada di escludere dalla smobilitazione persino gli ex prigionieri rientrati in Ucraina, scambiati con altrettanti russi prima del 18 maggio: quantomeno, è quello che si programma di fare con gli ex prigionieri della Guardia nazionale, nelle cui file, ricordiamolo, erano a suo tempo fatti confluire, per dar loro una certa “legittimità”, molti tagliagole dei cosiddetti “Battaglioni volontari” nazionalisti e neonazisti.
In ogni caso, che siano “veterani” massacratori di civili in Donbass dal 2015-2016, o giovani mobilitati a forza nelle ultime settimane, pare che ci siano discreti timori, tra le file ucraine, nei confronti degli stessi civili loro compatrioti, quanto più questi siano residenti dei villaggi prossimi alla linea del fronte, dove si attende con entusiasmo l’arrivo delle forze di Mosca, come si legge anche in alcuni reportage dell’americana The Daily Beast da Liman, Kupjansk o Izjum, ripresi da Komsomol’skaja Pravda, o di El Pais da Kazacha Lopan, o della CNN da Chasov Jar. Secondo i corrispondenti occidentali, in quelle zone agirebbero da tempo gruppi “partigiani”, che correggono i tiri delle artiglierie russe, in risposta alle precedenti incursioni - anche di sciacallaggio – delle truppe di Kiev, alle quali è fatto espresso divieto di accettare cibo da quegli abitanti, per timore che vengano loro serviti “piatti avvelenati”. E queste non sarebbero invenzioni dei giornalisti americani o spagnoli: il decano della facoltà moscovita di media e cultura, Jurij Kot, afferma che, anche rispetto al 2022, è cresciuto di molto il numero di coloro che attendono l’arrivo dei russi e con cui la facoltà, con le dovute cautele, intrattiene rapporti di comunicazione.
Insomma: se quello della mobilitazione è un grosso problema per Kiev, non meno grave è quello di un prossimo deficit di popolazione attiva per vari campi economici, che già ora stentano a tenere il passo coi ritmi precedenti la guerra. Settori come la metropolitana, le forniture elettriche, le manutenzioni stradali, le spedizioni nazionali e internazionali, le linee autobus scarseggiano di personale, con conseguente allungamento di tempi e rallentamenti nelle forniture. Tra autisti che non tornano dai viaggi esteri, redattori anche di giornali filogovernativi quali Ukrainskaja Pravda che smettono di presentarsi al lavoro, una popolazione ridotta a meno della metà di quella di trent’anni fa (si parla di 23 o anche 20 milioni), pare chiaro che nessuna “Conferenza di pace” possa riuscire a risollevare le sorti della junta di Kiev. Per quanti invii di armi, aerei e soldati europeisti le vengano “donati” a spese dei servizi sociali e sanitari nei paesi UE.
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