Levy e la morte della coscienza di Israele

14 Giugno 2024 15:00 Piccole Note

di Eleonora Piergallini - Piccole Note

“Solo una persona senza cuore potrebbe non versare una lacrima di gioia guardando le immagini dei quattro ostaggi mentre tornano a casa dopo 264 giorni di prigionia”. Inizia così un articolo di Barak Heymann su Haaretz che, proprio partendo da questa felicità, condanna senza riserve il massacro dei palestinesi che si consuma a a Gaza, anzitutto quello, immane, perpetrato a Nuseirat per liberare i quattro ostaggi.

Il j’accuse di Heymann su Haaretz

Così il suo articolo suona come un durissimo j’accuse contro la leadership israeliana, fin dal titolo: “Solo una persona senza cuore può volere il proseguimento della guerra di Israele a Gaza”.

Nel suo scritto, Heymann sottolinea come, proprio per la gioia di rivedere vivi e liberi i quattro prigionieri, sia più importante che mai rilevare che un numero sempre maggiore di persone sta finalmente realizzando una semplice verità: che questa guerra deve finire, immediatamente.

E annota che per liberare gli ostaggi ancora prigionieri di Hamas non si deve passare necessariamente attraverso “un’operazione eroica” come quella di Nuseirat – che, come ha affermato lo stesso portavoce dell’IDF in un raro momento di sincerità, “avrebbe potuto concludersi in modo molto diverso” (ossia con la morte degli ostaggi) – ma piuttosto siglando un accordo con Hamas che ponga immediatamente fine al massacro che Israele sta perpetrando a Gaza.

L’operazione di salvataggio, che ha causato una strage dei palestinesi, è avvenuta in un momento cruciale, cioè proprio quando un accordo con Hamas iniziava a delinearsi all’orizzonte. Infatti, il piano per un cessate il fuoco annunciato da Biden e la minaccia di Benny Gantz di dimettersi proprio l’8 giugno (il giorno del massacro di Nuseirat) se Netanyahu non avesse accolto tale proposta, sembravano aprire uno spiraglio di speranza.

Il successo che rilancia la guerra

Purtroppo, continua Heymann, quanto avvenuto l’8 giugno, invece di rafforzare lo slancio per un accordo, ha avuto come effetto di renderlo più arduo. Infatti, “il primo ministro israeliano e il suo seguito di tirapiedi, con le loro decisioni disastrose che decidono chi vive e chi muore, hanno cercato di sfruttare il successo dell’operazione per dimostrare che non c’è nulla di più saggio che proseguire la guerra con tutte le nostre forze”.

Ma, avverte Heymann, è fondamentale non farsi ingannare dalle “manipolazioni” del governo, “perché solo un uomo senza cuore potrebbe non piangere di dolore di fronte alle immagini strazianti delle decine di famiglie palestinesi che hanno perso i loro cari in questa operazione. Alcuni di essi erano bambini piccolissimi, il cui unico peccato è stato quello di nascere a Gaza”.

Per liberare i quattro ostaggi, l’operazione portata avanti dall’IDF ha causato, ad oggi, la morte di 274 persone. Un bilancio che potrebbe aumentare visto che i medici dell’ospedale dei Martiri di Al-Aqsa, l’ultimo ospedale funzionante nella zona centrale di Gaza, hanno dichiarato di non essere equipaggiati per prestare soccorso alle 700 persone ferite nell’attacco.

Heymann conclude il suo articolo con un appello accorato alla sua nazione: “Non possiamo permettere che il prezzo pagato da palestinesi e israeliani per il ritorno di quattro ostaggi sia così orribile. Chiunque abbia un’anima e un po’ di buon senso deve comprendere questa realtà e fare tutto il possibile per fermare la banda di necrofili che ci governa e che continua a causare morti e sofferenze inutili”.

Levy e la morte della coscienza di Israele

Anche Gideon Levy, sempre su Haaretz, racconta di quanto accaduto a Nuseirat, e anche lui annota come la gioia per la liberazione dei prigionieri era sacrosanta, ma che nell’euforia dilagata in Israele nessuna parola è stata spesa per i tanti, troppi, palestinesi uccisi. Una omissione che sancisce la “morte” della coscienza di Israele.

Tutti quei morti, uno dei massacri più tragici di questa guerra, eppure “Israele ha scelto di obliterarli, di cancellarne la memoria, di negare la loro esistenza, come se, una volta nascosti e ignorati, non fossero mai accaduti”.

E cita due esempi eclatanti di tale tragica omissione. Quello di una conduttrice televisiva che ha parlato di un’operazione “perfetta”. Lapidario il commento di Levy: “Che cosa intendeva dire? Che 300 morti rappresentano la perfezione?” E si chiede se la cronista avrebbe usato la stessa definizione se le vittime palestinesi fossero state mille o decine di migliaia. Tale numero avrebbe “superato la soglia della perfezione?” Si chiede Levy. “Avrebbe suscitato interrogativi? È molto dubbio”.

Quindi, Levy commenta le parole del comandante della polizia di frontiera Itzhak Brik, “l’eroe del momento” perché ha coordinato il blitz, il quale ha parlato di “un’operazione chirurgica” guidata da “valori”.

Anche in questo caso, Levy si chiede: “Come dovrebbe avvenire l’uccisione di [così tante] persone in una modalità non guidata da valori? Davvero i 300 morti possono essere ricompresi come un’operazione ‘chirurgica’? Come dovrebbe avvenire un omicidio in modalità genocida?”.

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