NATO-UE: "volti nuovi" ma vecchie strategie (guerrafondaie)

01 Luglio 2024 13:00 Fabrizio Poggi

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplometico

Pur se politicamente lascia diversi punti in sospeso, la definizione data dal vice presidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitrij Medvedev, dei “volti nuovi” ai vertici guerrafondai NATO-UE, coglie alcuni momenti a dir poco coloriti nelle carriere delle tre sataniche figure, comparse di scena a far da spalla (americana) in un «freak show europeista, che diventa sempre più divertente». Mark Rutte, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas: «una stupenda trinità in NATO e Commissione europea. Nuovi e vecchi leader, uno più bello dell'altro», ha scritto Medvedev sul proprio canale Telegram.

Medvedev ha definito Rutte, ex primo ministro olandese e ora segretario generale NATO, «un tipo oltremodo specifico», che in un batter d’occhio, da quel «sobrio politico, con cui a suo tempo mi sono incontrato ai summit, si è trasformato in un accanito russofobo e convinto atlantista».

Fin qui: semplice constatazione di un dato di fatto.

Viene poi il «numero due», che altri non è che quella «nota figura, deperita e non più giovane: Ursula Gertrud von der Leyen. 65 anni. Una donnetta politica belga-tedesca. All’aspetto, somiglia a un vobla (vobla: pesce che si mangia per lo più affumicato; di preferenza per accompagnare buoni boccali di birra; ndt) del Volga di medie dimensioni».

Per meglio caratterizzare il “vobla”, Medvedev non manca di ricordare come, nel periodo della pandemia, von der Leyen non avesse lesinato con gli acquisti di vaccini Pfizer a prezzi maggiorati, tanto che «persino i “quasi maschi” liberaloidi e navigati della Commissione europea, sono chiaramente intimoriti dalla sua persona. Tanto più che nel suo inventario di servizio c’è anche un mandato quale Ministro della difesa della RFT, durante il quale è stata tra l’altro protagonista di uno scandalo di corruzione per contratti milionari con "consulenti esterni". Si stava già preparando a disonorevoli dimissioni, ma le streghe raggrinzite (letteralmente, Medvedev scrive: «vobla essiccati»; ndt) non vanno a fondo». Non finisce qui: «devota in maniera masochistica ai padroni d'oltreoceano e disposta a qualsiasi dimostrazione d'amore per i playboy gerontologici di Washington. Spara continuamente maligne sciocchezze sulla Russia, senza badare ai termini».

È quindi il turno di Kaja Kallas, che prende il posto di Josep Borrell quale “ministro degli esteri” UE. Nella figura di Kaja, scrive Medvedev, «sono perfettamente combinati i due principali caratteri del politico europeo di successo: un’eccezionale russofobia e una sconfinata bramosia di guadagno. Mentre urlava istericamente per tutto il suo paese sulla minaccia russa, suo maritino Arvo Hallik, uno dei proprietari di un'azienda di trasporti, faceva affari con aziende russe con non poco profitto: tra il 2022 e il 2023 si è messo in tasca quasi 1,5 milioni di euro».

Infine, come in ogni commiato che si rispetti, Medvedev augura «ai nuovi nominati ogni bene. Cioè, tradotto dal linguaggio diplomatico: il massimo dei fallimenti e problemi spaventosi nell'esercizio dei loro alti poteri! In questo, faremo di tutto per aiutarvi in ogni modo».

Per completare, sia pur marginalmente, la caratterizzazione di Kaja Kallas data da Dmitrij Medvedev, ricordiamo che la ex primo ministro estone, che il 70% dei suoi concittadini non vuole più vedere ai vertici del paese, è alle prese con una profonda crisi interna, oltre che politica, anche personale, dopo che nell’autunno scorso si erano ventilate le sue dimissioni per la scoperta degli affari condotti in Russia dal marito. Allora, nemmeno le insistenze del Presidente estone Alar Karis erano riuscite a smuoverla dal suo posto: Kaja aveva semplicemente ignorato ogni addebito; segno che si sentiva le spalle discretamente coperte.

In vista della nomina europeista, l’ex Ministro degli esteri estone e attuale capo del partito Isamaa (Patria), Urmas Reinsalu, aveva consigliato a Kaja di cogliere l'opportunità, per evitare un altro scandalo legato al suo ruolo di premier.

Nello specifico, la questione sarebbe legata al «critico deficit» del bilancio della difesa estone, il cui ammontare si sta ancora chiarendo, ma che pare aggirarsi su diverse centinaia di milioni. Il cancelliere del Ministero della difesa, Kusti Salm, (dimostrativamente dimissionario) ha denunciato l'incapacità del governo di garantire gli approvvigionamenti del dicastero. Ma pare che il problema non riguardi solo le esigenze del Ministero della difesa. Postimees, il maggior quotidiano estone, scrive di un deficit complessivo di bilancio di circa 500 milioni di euro e, quasi a dire qualcosa di nuovo, che le masse dei paesi europei non conoscano sulla propria pelle, Postimees scopre che «non ci sono abbastanza soldi per tutto»: dunque, si dve rinunciare a medicina, istruzione e via dicendo, mentre «il rating di partito e personale di Kallas è crollato in misura catastrofica. La cosa migliore che Kallas può fare ora è andarsene verso una posizione dignitosa a Bruxelles».

Ma i problemi dell’Estonia non sono cominciati con l’avvento di Kaja e, presumibilmente, non finiranno con la sua uscita. Come ricorda Andrej Loktionov su Rubaltic.ru, il predecessore di kallas, Jüri Ratas, era stato costretto a dimettersi per una valanga di accuse di corruzione legate alla costruzione del quartiere d'élite “Porto Franco” a Tallinn. E anche il predecessore di Ratas, Taavi Rõivas, nonostante il voto di sfiducia in parlamento, aveva rifiutato a lungo di dimettersi; poi però vi era stato costretto. Curioso il caso di Andrus Ansip, predecessore di Rõivas: con lui, il PIL estone nel 2008-2009 era crollato del 17,2%, ma ciò non aveva impedito a Ansip di manifestare una propria originale visione della crisi economica: «Se questa è una crisi e un crack, allora vorrei vivere solo in una tale crisi e in un tale crack».

Insomma, praticamente tutti i primi ministri estoni hanno dovuto essere tirati via a forza dalla poltrona: dopotutto, a quei livelli “politici” si rinuncia malvolentieri alle opportunità pecuniarie offerte dalla carica, tanto più se si ricorda che, solamente nei primi 15 anni di adesione alla UE, l'Estonia ha ottenuto 10,4 miliardi di euro. Ma, ancor più “sorprendenti” sono i risultati. Dopo sei trimestri consecutivi di crescita massima, nel 2023 l'economia estone è crollata del 3%, con una flessione economica pari a quella del 2008. E nel 2024, secondo i pronostici, la situazione non potrà che peggiorare: il deficit di bilancio raggiungerà il 3,5%, cioè 1,3 miliardi di euro.

Le conseguenze non si sono fatte attendere: nel 2022, il numero di estoni in povertà assoluta è cresciuto di due volte e mezzo e le nascite sono crollate del 25% rispetto al 2008. In tale situazione, come da dettami europeisti, il governo Kallas non ha trovato nulla di meglio che l'aumento delle tasse: l'imposta sul fatturato è passata dal 20% al 22%, con un aumento del 1,67% dei prezzi di quasi tutti i beni e servizi e del 1,4% dell'inflazione. Cresciute del 5% le accise su alcol e tabacco, del 7% l'imposta sui carburanti e soprattutto – FMI dixit – del 20% sul gas e del 45% sull'elettricità.

In compenso, Tallin ha annunciato l'acquisto di droni per 10 milioni di euro da inviare in Moldavia. Chissà quanti, tra quei soldi, faranno la fine dei 62 milioni di dollari che, secondo l’americana Daily Caller, l’Ispettorato generale del Pentagono avrebbe “scoperto” di ammanco negli aiuti militari inviati a Kiev.

Come direbbe oggi Mel Brooks, aggiornando l’esclamazione del Re Sole: «Èbbbello essssere primo ministro».

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