L'exit strategy di Zelensky e il Grande Fratello della Nato

19 Luglio 2024 18:00 Fabrizio Poggi


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Il non più legittimo (se mai lo può essere stato un presidente che ha ereditato la carica dal precedente omologo golpista) dallo scorso 20 maggio Vladimir Zelenskij sarebbe alle prese coi modi d’uscita da una campagna militare sempre più disastrosa per le forze ucraine e per le migliaia di giovani e anziani mandati al macello. Stando a The New York Times, Kiev starebbe cercando una possibile strada di colloqui con Mosca, d’altronde proibiti per decreto dallo stesso Zelenskij nel settembre 2022.

L’ipotesi di TNYT parte dall’ormai nota dichiarazione di Zelenskij, secondo cui alla prossima “conferenza di pace” (se mai possa definirsi tale quella di un mese fa a Lucerna) in autunno dovrebbe essere invitata anche la Russia. Kiev insomma si vedrebbe costretta alle trattative, data la situazione al fronte, da un lato, e le sempre più flebili speranze, in vista della presidenza Trump, di ricevere le tanto richieste armi occidentali, dall’altro.

E, però, la cosa non è così semplice. Tanto più che Mosca non accetterà mai (tantomeno ora che sta accumulando avanzate su un fronte di alcune centinaia di km) di addivenire agli ultimatum della cosiddetta “formula Zelenskij”.

C’è inoltre proprio la questione delle armi occidentali a far dubitare delle reali aspettative di pace. L’esperto militare Aleksej Leonkov, sentito da Komsomol’skaja Pravda, cita media tedeschi, secondo cui Berlino starebbe fornendo a Kiev, sottobanco, non solo tank, ma anche sistemi “Patriot” e caccia yankee. Per quanto, a proposito degli F-16, non sarebbe il caso per Kiev e l’occidente di farsi troppe illusioni: si tratta di velivoli di 4° generazione, già troppo vecchi per reggere il confronto coi Su-34 e Su-35 e le contraeree russe. Inoltre, se si parla di oltre un centinaio di tali aerei, Kiev non ha sufficienti piloti e, per di più, le modificazioni che vengono portate alla fusoliera degli F-16 nei modelli destinati all’Europa, testimonierebbero che saranno piuttosto piloti occidentali a manovrarli: le modifiche servono proprio a migliorare la loro sicurezza. Ci saranno inoltre gli AWACS americani, in volo su Polonia e Romania, a garantirne le rotte. La più probabile dislocazione degli F-16, secondo Leonkov, è comunque la Romania; questo perché, in caso di dislocazione in Polonia, la Bielorussia potrebbe tranquillamente tenere sotto controllo lo stato dei loro voli.

Ma, ancora con un occhio alla situazione interna ucraina, dopo dieci anni di potere majdanista (per non parlare delle smanie nazionaliste che nei decenni passati hanno agitato l’Ucraina sovietica e post-sovietica), per l’intreccio tra “formule Zelenskij” e operazioni belliche di “denazificazione”, la questione dei colloqui di pace Mosca-Kiev sembra farsi ancora più complicata per gli interrogativi che suscitano alcuni sondaggi, svolti in particolare tra giovani studenti, loro genitori e insegnanti.

Andiamo con ordine. Nel 2024 sarebbe calata dal 91 al 74% rispetto al 2023 la percentuale di scolari che definiscono l’ucraino lingua madre; tra gli insegnanti, lo stesso indicatore sarebbe sceso dal 93 al 82% e tra i genitori dal 94 al 86%. Al di fuori della scuola, meno dei 40% dei ragazzi parlano tra loro in ucraino e la percentuale precipita al 17% nelle regioni orientali.

Più in generale nel paese, secondo il Centro “Razumkov”, il 44% degli intervistati è favorevole a colloqui con la Russia; contrari il 35%. Ma – qui viene il “bello”, o no? – la stragrande maggioranza è contraria ad accettare le condizioni russe. L’83% è contrario al ritiro delle forze ucraine dai confini amministrativi delle regioni di Donetsk, Lugansk, Khersòn e Zaporož’e; mentre il 58% non concorda nel sancire costituzionalmente all’Ucraina lo status di paese neutrale, fuori dai blocchi e non nucleare. Di più: oltre la metà degli intervistati insiste nel volere le frontiere del 1991, il 26% vorrebbe fermare le operazioni belliche sulla linea di demarcazione di inizi 2022 e solamente il 9% sarebbe d’accordo a fissare i confini sulla linea del fronte al momento del cessate il fuoco. E non basta: il 66% ritiene che la Russia possa esser vinta sul campo di battaglia; l’82% considera del tutto possibile la vittoria ucraina, a patto che da ovest arrivino armi a sufficienza.

Vien da dire che i sistemi yankee-majdanisti abbiano lavorato in maniera eccellente in questi dieci anni, se a livello pubblico vengono date le stesse risposte che la propaganda ufficiale diffonde, non solo in Ucraina, ma anche in giro per il mondo, tra incontri bilaterali, summit “di pace”, baci e abbracci meloniani-ursuliani al nazigolpista capo. Perché, alla fine fine, come nota Aleksandr Grišin ancora su Komsomol’skaja Pravda, il fatto che la lingua quotidiana sia il russo per la grande maggioranza degli ucraini, ciò non significa ancora una comunanza di «campo culturale». Tanto più che una significativa parte di ucraini giudica la lingua russa il vero ucraino, che i russi avrebbero loro sottratto...

In tutto questo quadro, niente affatto “idilliaco”, c’è però un ma. Secondo Vasilij Stojakin, che ne scrive su Ukraina.ru, è quantomeno singolare che i risultati di tale sondaggio siano stati resi pubblici lo stesso giorno in cui Zelenskij ha parlato della necessità di invitare Mosca al prossimo “summit di pace” e se il sondaggio dimostra qualcosa, è che se Zelenskij parla di negoziati, non fa altro che eseguire un determinato ordine; dunque, non è poi così importante sapere chi abbia dato il via alla pubblicazione del sondaggio, anche se è molto probabile che il comando sia arrivato dai “partner occidentali”. È un fatto che il Dipartimento di stato americano abbia immediatamente reagito positivamente all'iniziativa di Zelenskij e il sondaggio non serva ad altro che a ribadire, a suon di “opinione pubblica”, decisioni e condizioni di “pace” da presentare alla controparte.

Ecco dunque che, nero su bianco, gli ucraini (quantomeno i soggetti – o gli oggetti? - del sondaggio), nonostante siano favorevoli ai negoziati, non vogliono alcun cedimento alla parte avversa, in particolare, come riportato sopra, a proposito del “Piano di Putin”, sul passaggio alla Russia delle quattro regioni summenzionate, la cancellazione delle sanzioni antirusse (quantunque, la decisione in merito non dipenda certo da Kiev) e lo status di una Ucraina non allineata e non nucleare.

Ma in fondo è evidente che qui si tratta non dell'opinione pubblica ucraina (che pure esiste), ma dell'indisponibilità del regime golpista e dei suoi padrini occidentali a fare concessioni significative: il loro obiettivo, afferma Stojakin, è giungere a un esito del conflitto che in Occidente possa essere presentato, anche agli occhi dei propri cittadini europei che stanno subendo il peso di sanzioni anti-russe e di spese militari pro-ucraine, come una “vittoria per Kiev”; ciò, anche con la variante di chi in occidente ammette cessioni di parte del territorio ucraino. Un’ipotesi del tutto inaccettabile per Kiev che, guarda caso, porta a dimostrazione quel 51,5% di “opinione pubblica” che giudica il ritiro delle truppe russe dai confini del 1991 condizione essenziale per i negoziati.

Del resto, si tratta della stessa “opinione pubblica” che quasi per il 60% recita in coro, con Zelenskij, che le elezioni presidenziali non debbano debbano tenersi in Ucraina prima della fine del conflitto. Una “opinione pubblica” che, stranamente, fa buio completo su quelle decine e decine di migliaia di giovani ucraini che, a rischio della galera e anche della vita, non hanno alcuna intenzione di farsi accalappiare dai reclutatori golpisti per essere spediti a sicuro macello in prima linea.

Resta a vedere se quella stessa “opinione pubblica” sia ancora d’accordo con Zelenskij – c’è da presumere di sì – che ha ridotto il primitivo “piano di pace” da dieci, a nove e infine ai tre punti “discussi” a Lucerna: controllo ucraino sulla centrale nucleare di Zaporož’e, accesso navale ai mari Nero e d’Azov e scambio di prigionieri.

Un “piano di pace” – di dieci o tre punti – che Mosca non intende in alcun modo mettere sul tappeto, quantomeno finché da Kiev arriveranno soltanto, amplificati, gli ordini partiti da oltreoceano, e il nazigolpista capo continuerà a rendere lapalissiano che «io non ho parlato da me stesso, ma il Padre stesso mi ha mandato e mi ha comandato ciò che io devo dire ed annunziare» (Giovanni, 12-49).

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