Il senso di Starmer per la guerra Ucraina

20 Luglio 2024 11:00 Piccole Note

Keir Starmer ha invitato Zelensky nel Regno Unito e, cosa ancora più significativa, lo ha fatto partecipare al Consiglio dei ministri. Davvero rara la partecipazione di un leader straniero a tale sessione, tanto che l’ultima volta è datata 1997, quando l’onore fu tributato a Bill Clinton.



Il senso di Starmer per la guerra Ucraina

Inutile dire che Starmer ha ribadito il suo sostegno alla causa di Zelensky, che è altra dalla causa ucraina, promettendo altre armi e altri soldi a Kiev. Un modo per rilanciare le sorti della guerra infinita in parallelo alla rielezione di Ursula von der Leyen a Commissario europeo, che a tale causa deve la sua fortuna politica.

Nomina, quest’ultima, che fa il paio con quella dell’estone Kaja Kallas a ministro degli Esteri della Ue, altra sacerdotessa della causa bellica anti-russa, chiamata a gestire la geopolitica del Vecchio Continente nonostante la sua esperienza pregressa si fermi alla gestione di un Paese con 1.3 milioni di abitanti.

Ma al di là delle derive masochiste dell’Unione, resta, appunto, il senso del novello premier inglese per la mattanza ucraina, che intende far proseguire ad libitum (d’altronde, avevamo registrato che il suo modello era Tony Blair, alfiere della mattanza irachena).

L’abbiamo scritto più volte, ma forse è utile ribadirlo: l’interesse di Londra per la guerra ucraina è esistenziale. Questo conflitto sta distruggendo l’Europa, costretta a rescindere il cordone ombelicale che la collegava a Mosca e alle sue fonti energetiche a basso prezzo, e a dissanguarsi impiegando risorse per sostenere Kiev e altrettante per rafforzare la propria Difesa, stornate così dalle reali necessità dei cittadini.

L’Unione europea è il competitor numero uno della Gran Bretagna che, dopo essersene allontanata, tenta di ritagliarsi un ruolo primario nell’agone globale tramite il rilancio dell’anglosfera. Ovvio che tale rilancio prevede per l’Unione europea un ruolo esclusivamente ancillare al dominio anglosassone dell’Occidente.

Più la guerra proseguirà, più la Ue ne avrà nocumento. Da cui la necessità di rescindere tutte le vie che potrebbero portare alla pace, nonostante l’evidente impossibilità per Kiev di raggiungere gli obiettivi dichiarati e l’evidenza che il proseguimento delle ostilità, oltre a causare altro dolore e altre vittime al Paese, gli farà solo perdere ancora più territorio e, in prospettiva, rischia di far sparire l’Ucraina dalle carte geografiche.

Da parte sua, Zelensky ha usato dell’occasione offerta dalla visita per rilanciare la sua richiesta all’Occidente perché elimini le restrizioni alle armi a lungo raggio, consentendo a Kiev di colpire la Russia in profondità.

Richiesta che equivale a pretendere che l’Occidente entri in guerra con la Russia, dal momento che i russi non potrebbero restare inerti se i missili Nato iniziassero a piovere sui palazzi di Mosca.

Ad oggi non sembra che le richieste di Zelensky abbiano possibilità di essere evase, almeno nel breve, ma quel che conta è il tentativo di rilanciare la guerra infinita per contrastare i segnali di segno opposto emersi di recente.

Anzitutto il successo del Trump miracolato che, oltre a ribadire il suo niet alla guerra infinita in Ucraina, ha scelto come suo vice un politico che ha dichiarato il suo netto e intelligente rigetto degli aiuti a Kiev. A tale segnale si aggiunge la decisione della Germania di dimezzare gli aiuti all’Ucraina per il prossimo anno (Guardian), l’attivismo del premier ungherese Viktor Orbàn per la pace e altro meno evidente.

Zelensky & Netanyahu

Al di là della subordinazione ai circoli neocon-liberal, Zelensky ha un suo interesse specifico a eludere la pace: se si arrivasse a una tregua perderebbe il potere. Non potrebbe resistere un solo giorno, perché la fine del regime di guerra farebbe emergere tutto il marciume che è stato occultato sotto il tappeto per evitare di disturbare il conducente. Inoltre, la tregua consentirebbe di quantificare le vittime ucraine del conflitto, che sono tragicamente molto più ingenti di quelle che di tanto in tanto vengono dichiarate. L’emergere della realtà di quanto realmente accaduto in questi anni sarebbe insostenibile per il presidente ucraino.

In questo si può rinvenire un’analogia con quanto accade in Israele e, nello specifico, tra Zelensky e Netanyahu. A tracciare tale analogia è stato Anshel Pfeffer su Haaretz lo scorso febbraio, il quale ha spiegato che la prima e più importante lotta che entrambi devono affrontare è contro la realtà.

Infatti, scrive Pfeffer, per “entrambi, la necessità di impedire alla realtà di emergere li spinge verso tendenze sempre più autocratiche, da cui l’impegno a mettere a tacere chiunque – generali, politici e giornalisti – cerchi di presentare all’opinione pubblica un quadro diverso”.

Evidente, peraltro, anche un’ulteriore analogia, con Netanyahu che, similmente a Zelensky, sta cercando di prolungare in tutti i modi la guerra per trattenere quel potere che la tregua può strappargli.

Non solo, come per la guerra di Zelensky, anche quella di Netanyahu non potrebbe durare un solo giorno in più senza l’assistenza dell’Occidente. Infine, anche Netanyahu, come Zelensky, sta cercando di trascinare l’Occidente, nel caso specifico l’America, in un conflitto più ampio, come è stato evidente quando voleva spingere gli Usa a colpire l’Iran – per rispondere alla reazione di Teheran all’attacco al suo consolato in Siria – con Biden che, in un raro momento di lucidità, gli ha risposto picche (Axios).

Ma, per tornare all’accenno di Pfeffer, appare umoristico, se non fosse tragico, constatare come l’America di Biden, avendo lanciato una crociata contro le autocrazie del mondo, stia sostenendo e consolidando due autocrazie che si nutrono di guerra.

Inutile aggiungere che entrambe le autocrazie hanno dato vita a una vera e propria macelleria: a quella palestinese made in Netanyahu, corrisponde quella del proprio popolo consumata dal presidente ucraino.

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