Tre giorni fa l’incursione degli ucraini nella regione di Kursk, ad oggi ancora in atto. Si parla di un migliaio di soldati, decine di carri armati e mezzi corazzati. Dopo la prima sorpresa, che ha consentito agli attaccanti di penetrare per alcuni chilometri – cinque, dieci, i resoconti sono incerti- i russi hanno reagito e fermato l’avanzata. Tra qualche giorno l’intero corpo di spedizione sarà fatto a pezzi.
Una mossa suicida, quindi, ma che senso aveva? Secondo Strana, che riporta e un’analisi pubblicata su Bloomberg, la mossa avrebbe diversi obiettivi. Il primo era quello di “umiliare Putin”, dal momento che è la prima volta che il suolo russo viene violato dalla Seconda guerra mondiale [in realtà ci sono state due incursioni precedenti, ma è vero che si è trattato più una cosa da bande corsare ndr]. Tale obiettivo avrebbe come corollario quello di seminare il tarlo dell’insicurezza nel Paese, tale da suscitare destabilizzazione e porre le basi per un rivolgimento.
Altro obiettivo, che poi sarebbe quello reale secondo Strana, era quello di convincere i Paesi sostenitori di Kiev della necessità di perseverare nel loro impegno perché la guerra non è affatto persa, dal momento che gli ucraini possono ancora infliggere danni significativi al nemico, tali da costringerlo ad accettare un accordo al ribasso. Una prospettiva in realtà solo psicologica perché senza fondamento, ma che serve comunque ad alimentare la guerra infinita in corso, soprattutto ora che i Paesi sponsor palesano segni di cedimento e più forti suonano gli appelli al negoziato.
Inoltre, e in subordine, serviva a infondere nuova fiducia a un Paese e a un esercito sempre più sfiduciati per i rovesci del fronte. Infine, c’era anche l’obiettivo di alleggerire il fronte. La manovra diversiva, cioè, avrebbe dovuto distogliere preziose risorse russe dalla prima linea e aprire nuovi spazi di manovra all’esercito ucraino.
Ma tale ipotesi era del tutto illusoria. Ne scriveva Constant Méheut sul New York Times il 7 agosto, in un articolo in cui riferiva come diversi analisti, nel commentare tale ipotesi, concludevano che “l’esercito russo ha ampie riserve di truppe da impegnare nella lotta e che l’attacco rischia di mettere ulteriormente a dura prova le forze ucraine, già in inferiorità numerica”.
Nello specifico, uno di questi analisti, Pasi Paroinen, del Black Bird Group, spiegava: “Operativamente e strategicamente, questo attacco non ha assolutamente alcun senso. Sembra un grossolano spreco di uomini e risorse di cui c’è un gran bisogno altrove”.
Sempre il Nyt, riportava quanto scriveva su un social Rob Lee, autorevole ricercatore del Foreign Policy Research Institute: “La Russia ha già maggiori forze/capacità convenzionali nell’area, un comando e un controllo migliori, e ha unità di leva che possono essere schierate e che non sono utilizzate in Ucraina. È improbabile che questa operazione costringerà la Russia a ritirare forze significative dall’Ucraina”.
In realtà, l’unica vera minaccia dell’incursione era un’altra ed era quella annotata da un altro articolo di Strana: “L’obiettivo strategico più ovvio che può essere raggiunto attraverso un’offensiva [in quella zona] è il controllo della centrale nucleare di Kursk. Si tratterebbe, infatti di una ‘conquista’ molto importante”.
In effetti, se gli ucraini fossero riusciti a impossessarsi della centrale, avrebbero potuto ricattare Mosca, avendo creato una criticità “atomica”. D’altronde, è dall’inizio della guerra che Kiev sta cercando di creare un allarme nucleare; da quando cioè, nei primi giorni di invasione, Zelensky iniziò ad allarmare sulle bombe russe che cadevano sulla centrale atomica di Zaporozhye. Senza contare le tante bombe ucraine cadute sulla stessa centrale quando è passata sotto il controllo russo (per l’Occidente si trattava di bombe russe, che evidentemente si divertivano a bombardare i propri soldati).
Detto questo, la centrale atomica di Kursk è a 50 Km dal confine e l’obiettivo di creare la criticità succitata è ormai sfumato. Ma che fosse questo lo scopo dell’incursione lo potrebbe suggerire anche un articolo rivelatore, quanto misterioso, del New York Times del 26 luglio, cioè pochi giorni prima dell’attacco, che raccontava alcuni retroscena della telefonata intercorsa, all’inizio del mese, tra il ministro della Difesa russo Andrei Belousov e il suo omologo americano Lloyd Austin.
Senza specificare il vero motivo dell’improvvisa chiamata di Belousov, il Nyt rivelava, però, che questi aveva avvertito la controparte che la Russia aveva “scoperto un’operazione segreta ucraina in corso contro la Russia che, secondo loro, aveva ottenuto la benedizione americana”. Qualcosa di grosso e pericoloso, evidentemente, tanto che Lloyd Austin, dopo aver assicurato che l’America non ne sapeva nulla, aveva prontamente chiamato Kiev “per dirgli, in sostanza, se state pensando di fare qualcosa del genere, non fatelo”.
Una bomba sporca è l’ipotesi più plausibile, data l’urgenza del contatto, della reazione Usa e dell’intervento del Pentagono su Kiev. Allarme tanto temuto dalle due potenze che la conversazione si era conclusa con l’accordo di tenere le linee di comunicazione aperte.
Falliti tutti gli obiettivi reali e quelli di (fantasiosa) prospettiva, l’unico obiettivo che potrebbe essere stato raggiunto dall’incursione ucraina tra quelli enunciati è quello di alimentare ancora una volta l’incendio della guerra, rinfocolando le fiamme che iniziavano a spegnersi, tanto che la stessa leadership ucraina aveva iniziato a parlare di negoziati con i russi (ma era mera propaganda).
Sul punto, è necessario anche osservare la tempistica: il 1° agosto Russia e Stati Uniti avevano portato a compimento uno scambio di prigionieri storico, che aveva coinvolto circa 24 persone. Tanti avevano ipotizzato che, come accadeva ai tempi della Guerra Fredda, potesse precedere una più ampia distensione tra le due potenze e che prefigurasse l’inizio della fine della guerra. L’incursione in terra russa delle legioni suicide ucraine serviva a spazzare via tale opzione (tanto che, ad esempio, dello scambio di prigionieri, pure storico nella portata, non si parla più…).
Alla macelleria ucraina, però, serve altra carne, e carne fresca. Così a Kiev sta prendendo sempre più forza l’idea di abbassare l’età della leva, fino ad arrivare ai 18 anni, per rinfoltire i consunti quadri dell’esercito (e incrementare vieppiù il numero dei morti ammazzati). A spingere in tale direzione, come riferisce Strana, anche “l’autorevole deputato Fyodor Venislavsky, secondo il quale i partner occidentali sollevano periodicamente la questione con l’Ucraina“. D’altronde, la guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino, per perpetuarsi, richiede sempre nuovi sacrifici umani…
Il quadro delineato necessita di aggiunte, altre e più alte. Ci torneremo.
di Alessandro Orsini* Risposta, molto rispettosa, a Liliana Segre. Il dibattito sul genocidio a Gaza, reale o presunto che sia, non può prescindere dalle scienze sociali. Nel suo...
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico In più di una circostanza ho scritto che oltre agli USA a vivere una situazione estremamente complessa in materia di conti con l'estero (debito/credito...
di Clara Statello per l'AntiDiplomatico Esattamente una settimana fa, il premier ungherese Viktor Orban, di ritorno da un incontro con Donald Trump a Mar-a-Lago, annunciava che queste sarebbero...
di Alessandro Orsini* Il Corriere della Sera oggi si entusiasma per la caduta del rublo. Lasciatemi spiegare la situazione chiaramente. Se andasse in bancarotta, la Russia distruggerebbe...
Copyright L'Antidiplomatico 2015 all rights reserved
L'AntiDiplomatico è una testata registrata in data 08/09/2015 presso il Tribunale civile di Roma al n° 162/2015 del registro di stampa