L’esercito israeliano si è ritirato da Jenin dopo dieci giorni di guerra senza quartiere, ma ha comunicato che le operazioni militari contro la Cisgiordania proseguiranno. Solo una pausa tattica, dunque, della mattanza in corso.
Su quanto sta avvenendo in Cisgiordania, l’editoriale di Haaretz: “Israele ha deciso di trasformare la Cisgiordania nella Striscia di Gaza. I metodi operativi sono gli stessi, così come le armi. Anche gli obiettivi sono simili e i risultati non tarderanno ad arrivare: Israele si sveglierà presto con un’altra Gaza, questa volta sul suo confine orientale, con tutto ciò che questo implica”.
“Dallo scoppio della guerra, Israele ha cambiato la sua politica in Cisgiordania e i palestinesi che la abitano hanno dovuto affrontare una nuova e ancora più dura realtà. Il primo passo è stata la chiusura completa e la cancellazione di tutti i permessi di lavoro in Israele. La libertà di movimento è stata ridotta al minimo e l’accesso ai luoghi di lavoro è stato limitato anche all’interno della Cisgiordania, aggravando ulteriormente la situazione economica”.
“Inoltre, l’esercito ha iniziato a usare nuove tattiche di combattimento, alcune delle quali erano state utilizzate finora solo a Gaza e in Libano: droni e aerei dell’aeronautica sono assurti a ??principale strumento di distruzione, venendo impiegati contro sospetti ricercati e persone innocenti, in numeri mai registrati dai tempi della seconda intifada”.
“[…] In sostanza, la nuova politica riguarda l’avanzamento dell’annessione della Cisgiordania. […] Con la vaga giustificazione della ‘guerra al terrore’, dal 7 ottobre l’esercito ha ucciso almeno 621 palestinesi in Cisgiordania. […] In parallelo, è aumentata notevolmente anche la violenza dei coloni, raggiungendo livelli senza precedenti. Pogrom e rivolte nei villaggi palestinesi sono diventati una routine, per lo più sotto la protezione dell’esercito”.
“[…] La distruzione seminata dall’esercito nei campi profughi somiglia a quella di Gaza. Operazioni come queste si sono sempre rivelate inutili, con l’unico risultato, in assenza di un piano politico, di spingere ulteriormente i cittadini della Cisgiordania alla disperazione e alla lotta armata”.
“Il ministro della Cisgiordania, Bezalel Smotrich, e il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, sotto la guida di Netanyahu e con la partecipazione dell’esercito, stanno facendo tutto il possibile per aprire un altro fronte oltre a quelli già in fiamme. Presto otterranno ciò che desiderano”.
Da aggiungere che il ministro della Difesa Yoav Gallant, peraltro un oppositore interno a Netanyahu, al quale contesta con veemenza il sabotaggio dei negoziati con Hamas, due giorni fa ha dichiarato che nel corso dell’operazione in Cisgiordania l’esercito ha “falciato l’erba” al terrorismo, ma in prospettiva è chiamato a “estirparne le radici“.
L’uso dell’espressione “falciare l’erba” non è affatto casuale sulla bocca del ministro, essendo stata usata in passato per definire le diverse operazioni militari israeliane a Gaza. Così che anche l’idea di eliminare le radici non può non richiamare le attuali operazioni alzo zero condotte nella Striscia.
Non è solo la leadership politica a essere preda di una feroce deriva muscolare. Significativo, sul punto un sondaggio del Pew Research Center che ha rilevato, tra le altre cose, come “Il 59 percento [degli israeliani] ritenga che i post [sui social] che esprimono solidarietà per i civili di Gaza dovrebbero subire restrizioni”.
Una mancanza di empatia, per usare un blando eufemismo, stigmatizzata in maniera durissima in una nota di Gideon Levy su Haaretz, che confronta il partecipato e giusto dolore per la recente morte di sei ragazzi presi in ostaggio da Hamas “e il totale disprezzo per il destino simile di persone della loro età, innocenti, ingenue e belle come loro, e altrettanto vittime innocenti, della parte palestinese”.
“Mentre il mondo è sconvolto dal destino di Gaza – prosegue Levy – non ha mai dimostrato lo stesso rispetto per le vittime palestinesi. Il presidente degli Stati Uniti non chiama i parenti dei palestinesi caduti, nemmeno se, come i Goldberg-Polin, avevano la cittadinanza americana. Gli Stati Uniti non hanno mai chiesto il rilascio delle migliaia di palestinesi rapiti che Israele trattiene senza processo. Una giovane donna israeliana uccisa al festival Nova suscita più simpatia e compassione nel mondo di una rifugiata adolescente di Jabalya”.
“Tutto è già stato detto sulla trascuratezza e l’occultamento della sofferenza dei palestinesi all’interno dell’opinione pubblica israeliana, e non è stato ancora detto abbastanza. Il palestinese ucciso a Gaza che aveva un volto, un nome e una storia e la cui uccisione ha sconvolto Israele non è ancora nato”.
“I 17.000 bambini uccisi nella Striscia dall’inizio della guerra avevano anche loro speranze e sogni e famiglie distrutte dalla loro morte. Non suscitano nessun interesse nella maggioranza degli israeliani; una minoranza addirittura gioisce della loro morte. Nel mondo al di fuori di Israele sono registrate come orribili uccisioni, ma anche lì, di solito, non hanno né nomi né volti”.
“I cuori degli israeliani sono per le vittime israeliane. Niente potrebbe essere più comprensibile o umano. Ma il lamento nazionale su tale scala per sei ostaggi, in contrasto con il totale disprezzo per le decine di migliaia di vittime palestinesi, è malato e immorale: disumanizzazione senza un briciolo di umanità per le vittime, nemmeno per i bambini uccisi; per i bambini sfollati, orfani, malati, affamati o con gli arti amputati”.
“[…] Più Israele piange per i suoi ostaggi e i suoi morti, più diventa evidente l’inconcepibile divario tra il dolore della nazione e la completa apatia per le vittime palestinesi. Non è difficile immaginare come si sentano i cittadini di Gaza di fronte al mondo, che è stato scosso dai sei ostaggi israeliani morti mentre, allo stesso tempo, perdeva interesse con allarmante velocità per i 40.000 palestinesi deceduti”.
“Inoltre, quando si parla di rapiti, si parla solo degli ostaggi israeliani. Che dire delle centinaia, migliaia di palestinesi rapiti dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania; dei cosiddetti detenuti amministrativi, trattenuti senza processo; dei ‘combattenti illegali’ [privati delle garanzie stabilite dalla Convenzione di Ginevera ndr] e dei lavoratori innocenti catturati e il cui numero resta ignoto? Alcuni di essi, come minimo, sono ristretti in condizioni infernali. Anch’essi hanno famiglie preoccupate che da 10 mesi non hanno la minima idea di cosa gli sia successo; anche a questi vengono negate le visite del Comitato Internazionale della Croce Rossa”.
“Questa settimana Sheren Falah Saab ha fatto un lavoro superlativo raccontando la storia di un palestinese di Gaza, Mohammad “Medo” Halimy, un TikToker di 19 anni ucciso mentre andava a caricare il telefono. L’articolo è stato un raggio di luce nell’oscurità. Un palestinese morto a Gaza con un nome e un volto, grazie a TikTok e a Falah Saab”.
“La storia di Medo provoca un nodo alla gola, non meno del video di Eden Yerushalmi [uno deli ostaggi israeliani ndr] che Hamas ha diffuso questa settimana. È ancora permesso dire questo nell’Israele di oggi?” Un discorso che può essere allargato all’intero Occidente, dove, nei media mainstream, vige un’analoga miopia, per usare un ulteriore eufemismo.
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