PICCOLE NOTE
Victoria Nuland ha candidamente dichiarato che gli Stati Uniti hanno fatto naufragare i negoziati di Istanbul ad aprile del 2022, quando Kiev e Mosca erano ormai a un passo dal raggiungere la pace. L’ex Sottosegretario di Stato Usa per gli affari politici ha dichiarato che le autorità ucraine, al momento di chiudere l’accordo – che era stato concordato e messo nero su bianco in quasi tutte le sue parti – gli ucraini si sono rivolti ai loro alleati, anzitutto gli Stati Uniti, ricevendo il niet che ha fatto fallire tutto.
Chiaramente la Nuland ha definito quegli accordi del tutto svantaggiosi per l’Ucraina, per evitare che il niet di allora sia visto come sanguinario (come in effetti è stato), perché venivano posti dei limiti all’arsenale di Kiev e ai russi non era chiesto di “ritirarsi”, cosicché l’Ucraina ne sarebbe uscita indebolita.
Così l’intesa, raggiunta sul 90% delle questioni in sospeso, come ricordava l’ex consigliere di Zelensky Oleksij Arestovych, con pochi dettagli finali da definire nell’ambito dell’incontro conclusivo tra Putin e Zelensky, fu sabotato.
Resta che se è vero quanto afferma la Nuland, che cioè la Russia aveva chiesto un limite agli armamenti di Kiev, con questa che aveva accettato nella sostanza, non è assolutamente vero che Mosca avrebbe continuato a controllare la parte del Donbass allora occupata.
Lo aveva scritto Fiona Hill su Foreign Policy nel settembre-ottobre del 2022, riportando le indiscrezioni di diversi funzionari statunitensi e lo ha ribadito l’ex Cancelliere tedesco Gerhard Schröder che ha partecipato ai negoziati.
La guerra fino all’ultimo ucraino doveva proseguire ed è proseguita. E, dopo tanta devastazione e tanto sangue sparso, ormai l’opzione del ritiro dal Donbass è uscita fuori dall’orizzonte delle prospettive russe.
Ai fatti dell’aprile 2022, e alle spinte per sabotare i negoziati allora in corso tra russi e ucraini, abbiamo dedicato diversi articoli, così che la vera novità di quest’ultima conferma è la fonte, perché la Nuland allora aveva un ruolo di primo piano.
Infatti, oltre all’incarico istituzionale, era lei a dettare in toto l’agenda Usa sull’Ucraina. Un ruolo che ha usato per spingere le trattative fuori dai binari (la sua, infatti, è una piena ammissione in tal senso).
Interessante che la Nuland non abbia detto nulla di tutto ciò nei due anni di guerra, lasciando che l’informazione libera cercasse a tentoni i motivi e i dettagli del fallimento delle trattative e che quella mainstream ignorasse del tutto un momento tanto cruciale del conflitto, anzi bollasse come disinformazione russa le rivelazioni in tal senso…
Di interesse, sul punto, un passaggio del discorso di Vladimir Putin al recente Eastern Economic Forum di Vladivostok: “Le ‘autorità ufficiali’ di Kiev si sono rammaricate del fatto che, se solo avessero dato seguito al ‘documento ufficiale firmato’, negoziato con i rappresentanti russi ai colloqui di Istanbul nel marzo 2022, ‘piuttosto che obbedire ai loro padroni di altri paesi, la guerra sarebbe finita molto tempo fa’”.ì
Lo riporta M. K. Bhadrakumar su Indianpunchline in un articolo nel quale annota come nel suo discorso Putin abbia evitato di identificare la controparte come “regime di Kiev”, definendola invece come “governo di Kiev”. Un’apertura, che però non verrà accolta, come denota il consueto iper-attivismo di Zelensky.
L’attivismo di Zelensky, però, stavolta non è stato premiato. Infatti, alla riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina di Ramstein, dalla quale sperava di portare a casa il placet ufficiale all’impiego di missili a lungo raggio contro la Russia, non solo non ha ottenuto alcuna luce verde, ma ha anche dovuto incassare le dichiarazioni pessimistiche di Lloyd Austin.
Il Capo del Pentagono, infatti, ha dichiarato che “nessuna arma sarà decisiva per consentire all’Ucraina di respingere l’invasione su vasta scala della Russia e che l’impiego di armi a lungo raggio degli Stati Uniti contro la Russia non cambierebbe le sorti della guerra a favore dell’Ucraina” (così nella sintesi di Radio Free Europe).
Un pessimismo che si riscontra anche nell’articolo a firma congiunta del Capo della Cia Willam Burns e del Capo dell’MI6 britannico Richard Moore pubblicato sul Financial Times, i quali, pur incensando l’incursione ucraina in Russia – lode necessaria per placare il pessimismo dilagante sulla stessa – scrivono di non aver chiara la strategia dell’amministrazione Biden, anche se, ovviamente, esortano a non deviare dalla via intrapresa.
Ma il pessimismo resta, tanto che Indianpuchline sintetizza in questo modo le conclusioni dell’articolo: “Burns e Moore hanno lasciato intendere che le operazioni segrete (terroristiche) di Krylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina, sono l’unica opzione rimasta in questa guerra per procura. Che deriva shakespeariana per una superpotenza!”. Detto questo, tale strategia può implementarsi con i missili a lungo raggio, che probabilmente arriveranno prima o poi.
Quanto all’offensiva di Kursk, Bhadrakumar sintetizza in maniera interessante quanto sta avvenendo: “Col senno di poi, l’offensiva di Kursk di Zelensky si è rivelata un errore di altezza himalayana, che ha portato la guerra a un punto di svolta a favore della Russia”.
“[…] la follia ucraina di dispiegare le sue brigate migliori e i mezzi corazzati occidentali nella regione di Kursk per raggiungere una posizione inattaccabile […] apre [ai russi] le porte per molteplici opzioni per il futuro”. L’avanzata a Kursk, infatti, è stata bloccata, e l’avanzata russa nel Donbass procede a ritmi accelerati. E la pace resta una chimera, a meno che le elezioni americane portino novità. Sperare è d’obbligo, come è d’obbligo evitare illusioni.
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