di Leonardo Sinigaglia
Il grande attacco missilistico iraniano della scorsa notta ha finalmente dato una risposta appropriata all’arroganza sionista, mostrando al mondo intero come Teheran sia perfettamente in grado di colpire l’entità sionista distruggendo le sue infrastrutture militari e d’intelligence e soverchiando le sue difese aeree, già duramente provate da un anno di intensa attività. Similmente all’operazione Tempesta di al-Aqsa lanciata dalla resistenza palestinese il sette ottobre scorso, anche la “Promessa Veritiera-2” ha smentito l’idea che Israele sarebbe una “fortezza inattaccabile”, dalla quale ci si potrebbe difendere solo passivamente.
La verità è che l’entità sionista è entrata ormai in una crisi profonda e, probabilmente, irreversibile. La logica dell’escalation che ha caratterizzato la condotta militare di Netanyahu non deve essere letta come un segno di forza e sicurezza, ma al contrario come un disperato tentativo di intimorire i propri nemici strategici per impedire che questi possano continuare ad esercitare una pressione ormai diventata insostenibile per l’autoproclamato “Stato ebraico”. Il ricorso sistematico al terrore e all’omicidio politico testimoniano come questa disperazione si trasformi in incoscienza, finendo per provocare proprio quelle reazioni che non potranno che peggiorare la situazione complessiva del regime sionista. Il prolungato e brutale assedio di Gaza non ha permesso la distruzione di Hamas, che continua ad avere numerose formazioni militari capaci di azioni coordinate ed efficaci, ma ha unicamente portato al deterioramento dell’immagine internazionale dell’entità sionista, a un alto numero di caduti e al logoramento delle capacità belliche dell’IDF. Similmente, l’assassinio di Nasrallah e i pesati bombardamenti contro il Libano non permetteranno il ritorno dei coloni nel Nord della Palestina occupata, ma aumenteranno unicamente il numero di soldati sionisti uccisi in combattimento e quello degli israeliani costretti ad avacuare gli insediamenti, come già provato dall’estensione della portata degli attacchi di Hezbollah. Allo stesso modo non ci si può aspettare che attacchi (illegali) di rappresaglia contro la (legale) azione iraniana possano provocare qualcosa di diverso da bombardamenti ancora più intensi contro centri militari e strategici sionisti, come promesso peraltro dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica.
L’attacco iraniano è avvenuto a seguito del raid terroristico sionista che ha tolto la vita al Segretario Generale di Hezbollah Hassan Nasrallah e al generale Abbas Nilforoushan, ma era atteso già dall’uccisione del dirigente di Hamas Ismail Haniyeh, assassinato mentre si trovava in visita in Iran. Il presidente iraniano Massud Pezeshkian ha chiarito i motivi del ritardo della rappresaglia contro l’entità sionista dichiarando che ciò fu dovuto a un accordo che si pensava fosse stato raggiunto con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, i quali avevano garantito che la rinuncia iraniana a ripagare il crimine sarebbe stata ricompensata dal raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza sulla base dei termini proposti dalla Resistenza e da un alleggerimento delle sanzioni contro Teheran. Tale accordo sarebbe stato mediato e voluto soprattutto da Mohammad Javad Zarif, recentemente tornato a ricoprire l’incarico di Vicepresidente per gli affari strategici, mentre la Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei, si sarebbe invece espressa in senso contrario, raccomandando una risposta dura e immediata contro il nemico sionista.
I risultati ottenuti da questo accordo divennero noti ed evidenti ormai allo stesso Pezeshkian: non solo la mattanza a Gaza non si è interrotta, ma l’entità sionista ha incrementato gli attacchi contro la Cisgiordania e ha aggredito il Libano, provocando quasi 1500 morti in due settimane di ferocissimi bombardamenti. Dell’alleggerimento delle sanzioni, inutile dirlo, nemmeno una traccia. Per quanto si possa parzialmente comprendere l’intento di tale accordo, atto ad evitare nuove sofferenze per la popolazione palestinese, appare invece totalmente inconcepibile come parte della dirigenza iraniana possa avere avuto la benché minima fiducia nelle promesse degli USA e dell’Occidente allargato. E’ certamente chiaro come Washington sia infastidita dal comportamento incontrollato di Israele, ma è da sprovveduti pensare che ciò possa forzare la mano all’Occidente facendogli abbandonare il sostegno al sionismo, o persino modificare uno dei tratti caratteristici del regime statunitense, quello della totale inaffidabilità.
Mossi da un’ideologia suprematista ed eccezionalista, per la quale sarebbero, come ricordato anche da Biden, “l’unica nazione indispensabile”, chiamata da Dio a dominare il mondo e ricostruirlo a propria immagine e somiglianza, gli Stati Uniti non hanno storicamente mai dato prova di essere interlocutori affidabili. Ciò non è dimostrato solamente dalle centinaia di accordi siglati con le popolazioni indiane e poi puntualmente infranti, accordi visti unicamente come strumento per facilitare lo sterminio o la ghettizzazione di quelli che erano visti come subumani, ma anche dai recentissimi esempi forniti dal caso ucraino e dallo stesso accordo sul nucleare ottenuto dall’Iran nel 2015.
Nonostante le rassicurazioni e le garanzie fornite agli USA alla Federazione Russa, non solo la NATO si è espansa verso Oriente arrivando a minacciare i confini stessi di Mosca, ma, sovvertito il governo ucraino e innescata una guerra civile, essi hanno lavorato per trasformare l’Ucraina in un’enorme base militare con la quale minacciare la Russia, approfittando per tale fine proprio degli accordi di pace raggiunti durante i negoziati di Minsk 1 e 2. La Russia è stata ripagata per la fiducia mostrata nelle parole e nei sorrisi dell’Occidente con una guerra per procura che ha già causato immense devastazioni e con un regime sanzionatorio “mai visto prima”. Similmente è accaduto all’Iran quando, cercando un modus vivendi con gli Stati Uniti capace di garantire una fine quantomeno parziale dell’isolamento internazionale, accettò di ritardare la sua ricerca nucleare, aprendo anche il paese alle ispezioni di agenti internazionali. Gli iraniani sono stati ripagati della fiducia mostrata con il ritiro americano dall’accordo, l’inasprimento delle sanzioni e la costante riproposizione di tentativi di rivoluzione colorata.
Tutto ciò mostra come con gli Stati Uniti e i loro vassalli non sia possibile concepire nessun tipo di accordo. Essi non ritengono di essere vincolati dal diritto internazionale, non accettano nemmeno di autolimitarsi per delineare un certo campo di accettabilità dello scontro. Fedeli alla massima might is right, essi ritengono di poter agire nella più totale libertà, sopprimendo in maniera extragiudiziale dirigenti politici stranieri, fomentando conflitti civili, affamando città e sterminando interi quartieri per il sospetto che alcuni armati possano trovarsi al loro interno. Quella che loro sono pronti ad applicare è una guerra totale che non tiene conto di desuete distinzioni come quella tra militari e civili, ma che invece è finalizzata all’annientamento completo e definitivo di un nemico che viene percepito come minaccia esistenziale. Questa mentalità trova la sua rappresentazione più chiara in Libano e Palestina, ma, col declinare dell’egemonia e lo sviluppo del mondo multipolare, non potrà che manifestarsi in ogni altra zona di conflitto in cui il morente impero sarà obbligato a dare battaglia.
L’unico linguaggio che l’impero e i suoi servi comprendono è quello della forza. Non ci si può aspettare né pietà né onestà da chi non ne ha mai mostrate in tutta la sua Storia. Come insegnano le immagini di ieri sera, a ogni colpo degli imperialisti serve rispondere con un colpo ancora più forte.
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