L’uccisione di Yahya Sinwar cambia poco o nulla nella guerra in corso, dal momento che in queste organizzazioni morto un capo se ne fa un altro. E Kaled Meshaal, leader di Hamas in esilio, potrebbe già averne preso il posto. Quanto alla distanza tra questi e l’Iran, accennata da diversi analisti che lo danno più vicino alla Turchia che a Teheran, si può solo registrare che il giorno in cui egli è diventato leader di fatto di Hamas, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi è sbarcato in Turchia per una visita di Stato. Il resto è da vedere.
Quanto al morale dei miliziani di Hamas, non cambierà: il video virale israeliano, che immortalerebbe il loro leader ferito che lancia il bastone contro il drone che lo scruta, lo fa apparire ai loro occhi un eroe. Votati al martirio, continueranno a combattere.
Netanyahu ha ovviamente ostentato al mondo il suo nuovo successo, essendo Sinwar l’uomo più odiato dal suo Paese, ma non sembra aver colto l’attimo per chiudere la guerra, come speravano in tanti, né avrebbe potuto dato che, se la guerra finisse, il suo gioco sanguinario potrebbe finire.
Il conflitto proseguirà, ha ribadito, assicurando che la morte di Sinwar segna “l’inizio della fine della guerra“, non mancando di inviare un messaggio all’Iran, che avrebbe schiacciato i popoli del Medio Oriente sotto un regime di terrore, affermando che tale regime si sta sgretolando sotto i loro “occhi” e che Israele porterà luce e prosperità alla regione. Parole che stridono non poco con quanto accade a Gaza, ma tant’è.
Quanto “all’inizio della fine della guerra” con Hamas, di diverso tenore le parole di Benny Gantz, leader del partito di opposizione Unità nazionale, il quale, esultando per la morte di Sinwar, ha aggiunto che le forze israeliane “continueranno a operare nella Striscia di Gaza per molti anni a venire” (Times of israel)…
Ma l’accenno all’Iran di Netanyahu ricorda l’obiettivo finale del conflitto, riportando nuovamente sotto i riflettori mediatici il prossimo attacco all’Iran. Aveva assicurato agli Stati Uniti che non avrebbe colpito né siti nucleari né infrastrutture energetiche, ma a quanto pare ci ha già ripensato. Lo denota il forte monito dei russi a Tel Aviv perché eviti di attaccare i siti nucleari. Evidentemente, avevano informazioni in proposito.
Peraltro, l’attacco a tali obiettivi sarebbe del tutto inutile, dal momento che, come ha dichiarato una settimana fa il capo della Cia Williams Burns, non ci sono prove che l’Iran stia sviluppando l’atomica (NBC News). Inutile a prevenire l’atomica iraniana, tale raid sarebbe utile a gettare ulteriore benzina sull’incendio mediorientale.
Peraltro, come si legge sul Bullettin of The atomic scientist, un attacco contro obiettivi nucleari iraniani non priverebbe Teheran della possibilità di sviluppare l’atomica, anzi, potrebbe innescare un ripensamento rispetto all’attuale politica che prevede un limite all’arricchimento dell’uranio fissato a una “soglia non militare”.
“Il complesso nucleare iraniano – scrive il Bullettin – è troppo disperso, le strutture chiave troppo rafforzate e le competenze nucleari troppo consolidate per essere eliminate con attacchi militari limitati. Le strutture di arricchimento dell’uranio a Natanz e Fordow, dove l’Iran produce il materiale fissile necessario per produrre armi nucleari, sono completamente (nel caso della struttura per l’arricchimento di Fordow) o parzialmente (a Natanz) sotterranee e sono difese in modo pesante”.
“Qualsiasi attacco israeliano che causasse danni ad altri siti nucleari iraniani, come quello per la produzione di centrifughe o le strutture per la conversione dell’uranio o persino il reattore di ricerca ad acqua pesante di Khonab non ancora operativo, farebbe regredire il programma, ma alla fine lascerebbe all’Iran la capacità di continuare ad aumentare l’arricchimento dell’uranio, potenzialmente spostandosi verso la produzione di uranio di grado militare”.
Inoltre, continua a il Bullettin “attacchi alle strutture sotterranee di Fordow e Natanz richiederebbero l’uso di armi in grado di penetrare diverse decine di metri di roccia e cemento armato prima di esplodere all’interno delle strutture. L’unica arma convenzionale che probabilmente potrebbe raggiungere tale obiettivo è l’americano GBU-57A/B Massive Ordnance Penetrator, che, con oltre 12 tonnellate e 6 metri di lunghezza, può essere trasportato solo da grandi bombardieri statunitensi come i B-2 Spirit. Ma anche questo tipo di attacco […] non garantirebbe la distruzione totale del programma nucleare iraniano”.
I B-2 sono stati apparsi negli ultimi giorni, essendo stati inviati a bombardare gli Houti in Yemen. Un monito all’Iran per evitare rappresaglie dopo l’attacco, e forse non solo…
Quanto al coinvolgimento degli Usa in questo scontro, abbiamo già riportato lo scritto di Daniel McAdams che metteva in guardia sull’invio del sistema di difesa aerea THAAD a Tel Aviv, con 100 uomini al seguito, nel quale ammoniva sulla possibilità che siano stati mandati in loco come vittime sacrificali, allo scopo di coinvolgere le forze statunitensi nel conflitto.
Ipotesi estrema, certo, ma restano le domande sulle vere motivazioni sottese all’invio del THAAD, in quanto esso, a quanto pare, sarebbe alquanto inutile. Lo rileva l’ex analista della Cia Larry C. Johnson, il quale, dettaglia come il sistema spari “essenzialmente un grosso proiettile che dovrebbe colpire un missile in arrivo e distruggerlo. È un’arma cinetica, cioè non esplode”.
Quindi, ricorda che gli Usa non ne hanno inviato nessuno in Ucraina. Perché? “Il motivo è semplice: a quanto si dice, ci sono solo nove di questi lanciamissili in tutto il mondo. Ogni lanciamissili è dotato di otto missili, il che significa che se l’Iran lancia 100 missili, il 92% di essi eluderà il THAAD. Poi c’è il problema della ricarica e del rifornimento”.
“A quanto pare, la Lockheed Martin ha prodotto solo 1.000 missili per tale sistema. Non c’è uno stock di proiettili in un qualche magazzino pronti per essere mandati al fronte. Ah sì, quasi dimenticavo. Ogni missile costa 12,6 milioni di dollari. Non è esattamente un proiettile che definiresti economico. Come arma tattica e strategica, il THAAD è un fiasco”.
Allora perché inviarlo? Secondo Johnson sarebbe “una scusa per mettere truppe statunitensi in Israele, nella speranza che ciò impedisca all’Iran di colpire obiettivi presidiati o vicini alle forze statunitensi. È anche un gesto tangibile di sostegno a Israele”. Restano, però, alti i rischi, soprattutto se, nella sua follia, Netanyahu decidesse di attaccare i siti nucleari. Nel caso, l’Iran sarebbe costretto a reagire con forza.
A margine, si può notare che, in una recente intervista, Trump ha detto che non vuole un regime-change in Iran… ci torneremo.
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