PICCOLE NOTE
La terza guerra mondiale può attendere, questo il verdetto uscito dalle urne degli Stati Uniti. Resta da vedere se sia rimandata a titolo provvisorio o meno, ma il mondo può tirare un pur breve sospiro di sollievo. Vince Trump nonostante gran parte delle querule élite europee e di parte importante di quelle, ben più aggressive, americane abbiano fatto di tutto per evitare tale esito, come dimostrano, ad esempio, i sondaggi pubblicati dai media mainstream, che davano un testa a testa e un leggero vantaggio della Harris che era solo nelle loro fantasie distaccate dalla realtà.
Il senso delle élite americane per Kamala è raffigurato in maniera plastica dai risultati del distretto della Columbia, cioè i voti di Washington, con la Harris che ha raccolto più del 90% dei consensi. Risultato che indica quanto il cammino di Trump sarà accidentato.
E perdono le élite della Gran Bretagna, appiattite su Kamala, come dimostra il titolo di un articolo del Times, il giornale di riferimento di tale ambito, che recitava: “Kamala Harris in vantaggio in un numero sufficiente di stati indecisi per vincere, secondo un sondaggio del Times”. Tanto appiattite che il partito di governo ha inviato emissari ad aiutare la campagna della Harris, che qualcosa hanno pure fatto se stiamo ai risultati, dove tante ex colonie inglesi hanno visto la vittoria dei democratici.
Se accenniamo a tale particolare che può apparire secondario è per un motivo geopolitico primario: Londra teme che venga meno la sua guerra per procura in Ucraina, che sta immiserendo, sia a livello politico che economico, l’Europa a tutto vantaggio del Regno Unito, che spera in un ritorno di qualcosa di simile fasti del passato.
Alla Harris non ha giovato il genocidio palestinese, con i tanti voti degli islamici e dei suoi attivisti di base andati persi o reindirizzati altrove, tra i quali quelli incassati da Jill Stein, l’ebrea leader del partito dei verdi che ha denunciato a chiare lettere l’aggressività israeliana.
Il team della vacua Harris ha puntato tutto sulle élite della comunità ebraica statunitense che fanno riferimento all’AIPAC (ignorando, peraltro, la complessità dell’ebraismo americano), nella convinzione che il suo appoggio risultasse decisivo. Non è andata così.
Certo, il fatto che Trump abbia promesso di chiudere la guerra ucraina e abbia detto a Netanyahu di chiudere il conflitto mediorientale prima del suo insediamento sono parole, e forse hanno ragione i tanti che dicono che non cambierà nulla, ma almeno si può sperare in un cambiamento, cosa che la vittoria di Kamala non permetteva, anzi.
La sua vittoria avrebbe, infatti, avuto come esito di ingaggiare in maniera più aggressiva l’America nei conflitti globali e di aprirne di nuovi, nulla importando i rischi di una guerra nucleare, come dimostrano le insistenze dei falchi Usa e ucraini per ottenere un placet a Kiev per bombardare il territorio russo in profondità con i missili americani.
Quanto a Trump, è rimarchevole, sul punto, come durante tutta la campagna elettorale non abbia mai mutato la sua posizione riguardo un appeasement con Putin e Xi Jinping, nonostante ciò non gli procurasse voti aggiuntivi e facesse montare ancor più la rabbia dei falchi nei suoi confronti.
E che, soprattutto nell’ultima parte della campagna, abbia polemizzato in maniera aperta con i bellicosi alfieri neocon, anzitutto Liz Cheney e John Bolton, quest’ultimo bollato come “l’idiota” che voleva far guerra un po’ a tutti, come ha raccontato in un esilarante intervista a Tucker Carlson.
Non sappiamo se Trump riuscirà. Hanno provato a farlo fuori già due volte prima delle elezioni ed è già un fatto rilevante che sia arrivato vivo al voto (peraltro, potrebbe passare a miglior vita già nei prossimi giorni).
Inoltre, è alto il rischio che imbarchi nella sua amministrazione nuovi falchi, come accaduto nella pregressa presidenza e come da allarme di Daniel McAdams, direttore esecutivo del Ron Paul Institute. Mentre è certo che se farà i passi distensivi preventivati dovrà affrontare inciampi volti a frenarli, magari nuovi procedimenti di impeachement, come quelli che hanno contrassegnato la sua precedente reggenza.
Ma questo è l’incerto futuro, che, va rimarcato, a differenza della passata presidenza, non dovrà affrontare da solo, potendo contare allora solo sui suoi sostenitori e quattro politici scappati di casa. Oggi, al contrario, ha diversi fidati nel partito repubblicano, a differenza di allora nel quale era un intruso da ostracizzare e combattere. E lo sostiene anche parte dell’establishment statunitense, che vede con preoccupazione arricchirsi solo la macchina bellica a detrimento dei loro meno mortiferi affari.
Trump può poi contare sul sostegno di Elon Musk e di tante altre figure carismatiche anti-sistema emerse negli ultimi anni grazie alla sua “rivoluzione”, come si leggeva su un articolo dell’American Conservative.
Ma, al di là dell’incerto futuro, che potrebbe pure essere molto fosco (non siamo tanto ingenui), resta che, al presente, la guerra globale è spostata più in là. Tale il verdetto delle urne, al quale ha contribuito anche il senescente presidente Biden, che peraltro si è rifiutato di attendere i risultati con la Harris e al quale, negli ultimi giorni, il sito trumpiano Revolver, che già aveva colto la sua simpatia (e non solo) per Trump, aveva chiesto di gettare la maschera e schierarsi apertamente con il candidato repubblicano.
E con Biden, chissà se altri del partito democratico, che sapevano perfettamente il destino che attendeva l’America e il mondo se avesse vinto Kamala, hanno frenato come potevano la corsa della Harris (Sanders, ad esempio, si è sentito pochino…).
Da notare, poi, che, a differenza di quanto si pensi, l’establishment e i neocon, nello scegliere Kamala, non avevano affatto sbagliato cavallo. Infatti, la Harris li rappresentava in maniera icastica; rappresentava lo squilibrio mentale di cui sono preda.
La candidata squilibrata sarebbe stata una perfetta inquilina della Casa Bianca nel loro mondo impazzito. Hanno perso. E ha vinto il Tribuno della plebe, perché non va dimenticato che i voti di Trump provengono anzitutto dai plebei, da quella classe con cui le oligarchie si interfacciano solo al momento di chiederne i voti, mentre lui, il Tribuno, ha avuto l’accortezza di stabilire un contatto permanente con essi. Postura che secondo il lessico di certe oligarchie è bollata come bieco populismo e che in passato era propria della democrazia.
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