L'onda anomala di Trump su Ucraina, Libano e pandemia


PICCOLE NOTE

L’onda anomala di Trump sta innescando cambiamenti. La guerra ucraina andrà a chiudersi: non solo il nuovo presidente, ma anche tutte le figure scelte a far parte della sua amministrazione hanno dichiarato, chi prima chi dopo, che l’assistenza Usa a Kiev deve finire.

Così si assiste all’ultimo assalto alla diligenza, con gli Stati Uniti che hanno stanziato un ultimo pacchetto di aiuti, cioè dato altri soldi all’apparato militar industriale americano, benefit che corre in parallelo all’ultima isteria di quanti non si rassegnano a tale destino, con il Times che ha rivelato come Kiev, venendo meno gli aiuti esteri, potrebbe comunque cambiare l’esito del conflitto realizzando in breve una bomba nucleare.

Boutade smentita come inutile da Kiev (Strana); e più che inutile, dannosa data la sicura reazione di Mosca. Non è un caso che tale sciocchezza sia scaturita dalla Gran Bretagna: l’establishment inglese è disperato per la probabile fine della guerra che ha messo in ginocchio l’Europa e rilanciato l’anglosfera.

Sulla guerra mediorientale l’elezione di Trump ha dato due frutti, uno ambiguo l’altro meno. Il primo è la spinta di Israele per chiudere il conflitto libanese. Secondo varie fonti, tra cui il Washington Post, Israele vorrebbe raggiungere in fretta un cessate il fuoco, come “regalo” a Trump.


Sviluppi sui negoziati libanesi

Diverse proposte di accordo sono state trasmesse a Nabih Berri, il presidente del Parlamento libanese che negozia per conto di Hezbollah. Si tratta di offerte prendere o lasciare, tutte a beneficio della sicurezza di Israele e del depotenziamento di Hezbollah.

Ma nulla importando quanto riportano i media occidentali, che finora si sono limitati a esaltare la generosità di Usa e Israele contro l’ostinazione del movimento sciita (che ha rigettato finora tutte le offerte), obliterando il fatto che si trattava di proposte che la controparte non poteva semplicemente accettare perché si chiedeva in pratica la sua cancellazione dalla faccia della terra, è importante quanto riferisce al-Akhbar, sito vicino al movimento.

Al-Akhbar, pur ripetendo che non ci sono ancora offerte accettabili, riferisce che “tra il presidente Berri e gli americani si è tornato a parlare seriamente, con passi avanti e altri indietro per quanto riguarda l’accordo”, anche se non si è ancora alle fasi finali.

Le trattative vertono sull’attuazione della risoluzione Onu 1701, mai realizzata, che chiede a Hezbollah di ritirarsi oltre il fiume Litani, a 20 km dal confine israeliano e confine ideale della Grande Israele sognata dai messianici. Tale area sarebbe presidiata dall’esercito libanese, mentre un comitato formato da Paesi occidentali (americani, francesi, britannici) e un Paese arabo vigilerebbe sull’attuazione della risoluzione.

Il punto dolente è la richiesta di Israele di avere mano libera nel caso di inadempienze, dal momento che Hezbollah non si fida che Tel Aviv rinunci del tutto alle ostilità e trovi pretesti per violare gli accordi.

Al di là della querelle, resta di grande interesse quanto dichiarato da un alto funzionario israeliano a Ynet: “Il nostro obiettivo a Gaza era distruggere Hamas, ma la questione libanese è diversa e non miriamo a distruggere Hezbollah, se è possibile raggiungere un accordo con esso che riporti la popolazione [israeliana alle proprie case] e soddisfi le nostre condizioni”.

Il ricordo di Rabin

Va ricordato che oltre 60mila israeliani residenti al confine con il Libano hanno abbandonato le proprie abitazioni a causa della guerra, mentre i villaggi libanesi al confine di Israele sono stati rasi al suolo, i civili morti si contano a migliaia, e Beirut Sud è bombardata giorno e notte.

Sembra davvero che ci siano possibilità di accordo, anche perché l’esercito israeliano non sembra poter conseguire i propri obiettivi, avendo incontrato più resistenza di quanto prevedeva mentre il suo esercito si sta logorando. Così, infatti, un titolo del Jerusalem Post del 31 ottobre: “L’establishment della difesa sta facendo pressioni sul primo ministro per un cessate il fuoco su Gaza e sul fronte libanese”.

A riprova di questo pensiero dominante nell’apparato militare, la pubblicazione da parte dell’esercito di una registrazione di un discorso di Yitzhak Rabin del ’74, nel quale l’ex primo ministro israeliano, assassinato nel ’95, diceva: “Non vedo modi per arrivare a una soluzione del conflitto conflitto arabo-israeliano con mezzi militari […] Se c’è una possibilità, e non sono sicuro che ci sia, di arrivare a una soluzione al conflitto, è solo tramite negoziati politici”. La tempistica della pubblicazione non appare casuale.

A margine, ma neanche tanto, di questi sviluppi della conflittualità mediorientale, la visita del capo dell’Agenzia atomica Rafael Grossi in Iran, che dovrebbe riuscire a togliere a quanti premono per una guerra contro Teheran l’escamotage della minaccia nucleare. Dal canto suo, per bocca del presidente Masoud Pezeshkian, Teheran ha assicurato che “non costruirà mai un’arma atomica“.

Le sorprese di Trump

Rassicurazioni che corrono in parallelo con la strana incursione diplomatica di Elon Musk, che ieri ha incontrato l’ambasciatore iraniano all’Onu per tentare di smussare le tensioni tra il suo Paese e gli Usa (New York Times). Iniziativa anomala dato che non dovrebbe avere voce in capitolo sulla questione, ma dovremo abituarci al fatto che Musk, di fatto il consigliere principale di Trump, metta il naso dappertutto. E, nel caso specifico, è un bene, date le pulsioni anti-iraniane di alcuni esponenti della nuova amministrazione.



Quanto alla nuova amministrazione, ieri ne abbiano tracciato un primo quadro, che oggi va aggiornato con la nomina di Robert Kennedy al dicastero della Sanità. Critico della gestione della pandemia, la nomina promette scintille, come si nota dal subitaneo crollo delle azioni di Pfizer e Moderna.

Tale sviluppo va letto in parallelo alla nomina Rand Paul alla presidenza del Governmental Affairs Committee. Appena eletto, il senatore ha annunciato che la commissione indagherà sugli “insabbiamenti” del Covid. Da ricordare che, in un’audizione al Congresso, Paul aveva detto al dottor Fauci, il dominus della pandemia, che avrebbe dovuto “andare in prigione“… sì, sembra che ne vedremo delle belle.

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