“Ci consideriamo nel diritto di usare le nostre armi contro le strutture militari di quei paesi che consentono l’uso delle loro armi contro le nostre strutture”. Questo il passaggio più importante del discorso con cui ieri Putin ha commentato il lancio del missile ipersonico Oreshnik contro un impianto industriale di Dnipro, che secondo i russi produceva missili. Un vettore che non può essere intercettato da nessun sistema difensivo del mondo, ha precisato lo zar per far comprendere meglio il messaggio.
Dopo l’utilizzo di missili a lungo raggio ATACMS e Storm Shadow contro il territorio russo, ha specificato Putin, “il conflitto regionale in Ucraina […] ha acquisito elementi di carattere globale”. Insomma, la guerra per procura dell’Ucraina sostenuta dalla Nato contro la Russia è finita ed è iniziato un conflitto diretto tra Mosca e la Nato.
D’altronde, Putin lo aveva detto chiaramente lo scorso settembre, mentre si stava decidendo di dare luce verde agli attacchi di Kiev in territorio russo con i missili a lungo raggio della Nato (richiesta allora negata).
Nell’occasione aveva avvertito che tale escalation avrebbe cambiato “chiaramente l’essenza stessa, la natura stessa del conflitto in modo drammatico. Vorrà dire che i paesi della NATO, gli Stati Uniti e i paesi europei, saranno in guerra con la Russia. E se così sarà, allora, tenendo presente il cambiamento nell’essenza del conflitto, prenderemo decisioni appropriate in risposta alle minacce che ci saranno poste”.
C’era la possibilità che la risposta di Mosca si sarebbe limitata a fornire armi avanzate a Paesi ed entità ostili alla Nato, ma la Russia ha evidentemente ritenuto che tale reazione non fosse adeguata.
L’attacco in profondità a un centro di comando russo con i missili britannici Storm Shadow e il placet americano alla fornitura di mine anti-uomo all’Ucraina, che hanno fatto seguito al primo attacco portato con gli ATACMS, ha infatti inviato un ulteriore segnale a Mosca, che cioè l’improvvida decisione sull’uso degli ATACMS fosse solo l’inizio di un’escalation senza freni e in via di accelerazione.
Un’accelerazione che, tra le altre cose, poteva preannunciare il placet alla fornitura di missili Tomahawk, richiesti anch’essi da Kiev e finora negati, con una gittata di 2500 km, in grado cioè di bersagliare tutta l’area europea della Russia e oltre (gli ATACMS arrivano solo a 300 km). Da qui la reazione durissima di Mosca, intesa a far capire che certi avvertimenti vanno presi sul serio.
Si sta verificando quel che accadde all’inizio dell’invasione russa, con gli americani che hanno ignorato del tutto i ripetuti avvertimenti riguardo l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, con i russi a ripetere che tale passo rappresentava una linea rossa che avrebbe fatto scattare una risposta di natura militare.
Derubricando tali avvertimenti a boutade, pur essendo consapevoli che non lo erano affatto, gli americani hanno di fatto spinto la Russia a invadere, nella certezza di impantanarla in una guerra di logoramento che l’avrebbe isolata e portata al collasso ed avrebbe consegnato l’Europa all’anglosfera.
Non è andata così, a parte la consegna del Vecchio Continente, che peraltro resta di certa relatività come denota la riluttanza a proseguire il conflitto di alcuni Paesi, e con risultati meno fausti del previsto a causa dell’impoverimento progressivo del continente provocato dal conflitto.
Gli strateghi da salotto che hanno sbagliato tutto quel che c’era da sbagliare sono convinti che stavolta sia la volta buona (la coazione a ripetere sempre gli stessi errori appartiene alla follia). Sperano cioè di raggiungere gli obiettivi non raggiunti finora con questa nuova escalation.
Da una parte, se la Russia non reagisce, sperano di infliggerle “gravi danni” con i nuovi e futuri armamenti, allo scopo di logorarne le capacità militari ed economiche ed erodere il potere di Putin.
Ma l’obiettivo più recondito resta quello di trascinare la Russia in una guerra di logoramento che la porti al collasso totale, stavolta non più usando l’Ucraina per procura, ma l’intera Europa o parte di essa (ad esempio, i Paesi dell’Est).
Per questo Putin ha parlato di guerra di natura “globale”, che cioè ricomprende gli Stati Uniti, e ha specificato che la risposta russa sarà colpo su colpo, cioè non un attacco massivo, ma modulato secondo le minacce portate al suo Paese. Ma è ovvio che qualora un missile russo dovesse colpire la base missilistica appena costruita dagli States in Polonia, non potrà non avere conseguenze globali.
Dopo la dimostrazione di forza e il seguente avvertimento di Putin, nessuno dei suoi antagonisti può più adire all’escamotage usato finora dall’Occidente per spingere sul superamento delle linee rosse, cioè quello di derubricare gli avvertimenti dello zar a bluff, come ha fatto ad esempio il geniale ministro degli esteri francese Jean-Noel Barrot, che il 20 novembre, quando la Russia ha annunciato al mondo la nuova dottrina nucleare – e prima della dimostrazione di forza successiva – ha detto che si trattava di mera “retorica“.
Ora il mondo è cosciente che la Russia non è disposta a subire i colpi della Nato senza rispondere. Sta all’Occidente decidere se continuare sulla strada che può portare a una guerra termonucleare o trovare una via di uscita da questo tunnel dell’orrore nel quale ha trascinato l’intero pianeta.
Una postilla merita la considerazione che tale escalation sia necessaria a preparare il terreno alla pace annunciata da Trump, cioè l’attuale potere imperiale avrebbe innescato l’escalation per guadagnare all’Ucraina una posizione di forza nei futuri negoziati.
È una sciocchezza, ma potrebbe diventare una narrativa buona per uscire da questo nefasto tunnel con onore. I guerrafondai potrebbero addirittura fregiarsi del titolo di pacificatori. Ma perché ciò avvenga, occorre evitare disastrosi errori di calcolo. Stavolta, si è attraversata una linea rossa di portata nucleare.
Di interesse notare che Mark Rutte si è recato negli Usa per incontrare Trump. La destinazione fa ritenere che il nuovo Segretario della Nato stia cercando una via di uscita. Giorni di sospensione.
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