Ucraina, 20 anni di colpi di stato e bramosie guerrafondaie occidentali

23 Novembre 2024 14:00 Fabrizio Poggi

Venti anni dalla “rivoluzione arancione” e dieci anni di majdan stanno arrivando alla logica conclusione in Ucraina; e non solo in Ucraina. Il 21 novembre 2004 si teneva il secondo turno delle elezioni presidenziali nel paese e Viktor Janukovic ne usciva vincitore, con uno scarto del 3% di voti sull'avversario, Viktor Jushchenko. Ma, nella serata dello stesso giorno, la folla si radunava in majdan Nezaležnosti (piazza Indipendenza) per acclamare la vittoria di Jushchenko, i cui sostenitori (per lo più delle regioni occidentali del paese), insieme a media e osservatori occidentali da USA e UE, sostenevano che la vittoria di Janukovic fosse dovuta a brogli elettorali.

Viktor Jushchenko era sostenitore dell'integrazione europea e la sua campagna elettorale, come fu ammesso in seguito al Congresso USA, era stata finanziata dal governo americano in funzione esclusivamente anti-russa.

Il 3 dicembre 2004 la Corte suprema ucraina giudicava non validi i risultati del 21 novembre e indiceva un nuovo turno elettorale per il 26 dicembre. A fare da intermediari per cercare di risolvere la crisi vennero chiamati, chissà perché, i presidenti di Lituania e Polonia, Valdas Adamkus e Aleksander Kwacniewski, insieme al rappresentante UE Javier Solana, al segretario generale OSCE Jàn Kubiš e allo speaker della Duma russa Boris Gryzlov. Tra una riunione e l'altra, venne sciolta la Commissione elettorale e proclamata una nuova compagine che, il 10 gennaio 2005, proclamò vincitore Viktor Jushchenko col 51,99% dei voti, contro Viktor Janukovic (44,2%). Della coalizione che sosteneva Jushchenko faceva parte anche il “Blocco Julija Timošenko”, la cui esponente – la stessa che nella primavera del 2014 avrebbe dichiarato di voler lanciare un'atomica sul Donbass - ottenne il posto di primo ministro.

Nel 2010, Janukovic fu infine eletto presidente, ma la sua indecisione, insieme alle crescenti pressioni di USA e UE, portarono all'euromajdan. La distanza politica e ideologica di Kiev e della parte occidentale del paese, nota Ukraina.ru, dalle regioni meridionali e orientali si acuì ancora di più che nel 2004 e la separazione delle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk ne fu la naturale conseguenza, unita a «una grande tragedia per l'intera popolazione che, a causa dell'incapacità e della mancata volontà delle autorità di perseguire una politica indipendente, di neutralità dai blocchi, non è mai venuta a formare, dopo il crollo dell'URSS, una nazione davvero unica».

In questi giorni, la Ministra degli esteri finlandese Elina Valtonen ha criticato l'idea della neutralità e della “finlandizzazione” dell'Ucraina quale condizione per porre fine al conflitto armato in corso. Questo perché, a suo dire, non si può prestare fede a Mosca nell'osservanza degli accordi internazionali. Dunque, anche l'Ucraina nazi-golpista, al pari della Finlandia che, dice Valtonen, nella Seconda guerra mondiale aveva respinto l'aggressione russa (ma, non era il regime filofascista finlandese a essere alleato della Germania hitleriana?) e, dopo, pur essendo neutrale, aveva continuato ad armarsi, temendo un'altra guerra, fino al momento (ma questo Valtonen ha omesso di aggiungerlo) in cui è entrata nella NATO, nell'aprile 2023, anche l'Ucraina dovrebbe respingere ogni idea di neutralità.

Allo stesso modo della Finlandia, anche l'Ucraina dovrebbe continuare a combattere, perché «è stata attaccata da Mosca, pur essendo neutrale». Neutrale?!? Nonostante che lo status di neutralità fosse sancito dalla Costituzione sin dal 1991, a partire dal golpe “arancione” del 2004 Kiev ha chiesto sempre più insistentemente l'adesione alla NATO e dopo il successivo golpe del 2014, la richiesta di adesione è diventata un ritornello costante dei nazi-golpisti.

E cosa ha ottenuto il popolo ucraino da vent'anni di “rivoluzione” golpista e dalle scelte che USA, UE, NATO, Paesi vicini (Finlandia compresa; ma soprattutto Polonia e Paesi baltici) hanno via via imposto alla Kiev degli eredi di Stepan Bandera? In definitiva: la guerra e il dimezzamento della popolazione, tra imposizioni di Banca Mondiale, FMI, fughe all'estero in cerca di lavoro e vita pacifica e, in ultimo, sterminio dei soldati mandati al macello per imposizione di Washington, Bruxelles e loro scagnozzi del tipo di Elina Valtonen.

E ora, per quanto Zelenskij chieda ai suoi padrini occidentali di prender parte attiva nel conflitto con la Russia, i principali burattinai del regime golpista ribadiscono la posizione che hanno sempre avuto: tocca agli ucraini combattere per gli interessi dell'Occidente, mentre quello stesso Occidente partecipa al conflitto solo come cricca di guerrafondai, mandanti, registi e sponsor del conflitto. L'ultimo, in ordine di tempo, a proclamarlo, è stato il capo del Comitato militare della NATO, il danese Rob Bauer. Senza mezze parole, ha detto di essere «assolutamente certo che se i russi non avessero armi nucleari, saremmo già in Ucraina e li avremmo cacciati via. Lo avremmo fatto. Ma loro hanno le armi nucleari. Quindi non è come in Afghanistan». Chiaro, no? C'è un po' di paura, da quelle parti?

E, appunto a questo proposito, scrive OdnaRodina.ru, vale la pena ricordare che il conflitto in Ucraina è iniziato proprio per la volontà di una parte dei vertici ucraini, controllati dall'Occidente, di aderire NATO; quasi tutti gli anni 2000 hanno visto aspre battaglie politiche, anche cruente e, di regola, chi era contrario all'adesione brandiva una semplice verità: l'adesione alla NATO significa guerra con la Russia e questo non deve accadere. E invece è accaduto.

Poi, dopo il golpe del 2014 e l'instaurazione della dittatura nazi-nazionalista filo-occidentale, la popolazione ucraina è stata indottrinata con l'idea che solo la NATO potesse garantire la sicurezza del Paese. Questo, pur se i vertici nazi-golpisti sapevano perfettamente che un ulteriore avvicinamento alla NATO avrebbe comportato un conflitto con la Russia; ma loro si dicevano sicuri che, nel caso, USA-UE-NATO li avrebbero difesi. Non è andata così: i principali paesi NATO hanno dimostrato, nei fatti, di essere pronti a combattere con la Russia, sì, ma solo per interposta persona, con la chair à canon ucraina. Ora, soprattutto dopo i sei colpi di “noccioli” balistici, lo dicono apertamente. Lo dice Bauer, lo dice Valtonen: ucraini, non vi dovete arrendere, dovete continuare a morire per il “mondo libero”.

Gli “alleati” occidentali, in risposta agli appelli di Zelenskij di fornire più mezzi contraerei, più F-16, più missili a lunga gittata, continuano a ripetere a Kiev che il problema principale sta nella carenza di soldati ucraini e nella necessità di mobilitare ormai anche donne, anziani, ragazzi, infermi e criminali comuni, dal momento che, oggi, a detta delle agenzie occidentali, appena il 10-20% dei mobilitati è “volontario”; il rimanente 80% è catturato in strada e mandato al macello.

Ecco cosa hanno regalato al popolo ucraino il golpe del 2004 e quello del 2014.

Oggi, a due giorni dal “test” missilistico russo sul “JužMaš” di Dnepropetrovsk, il vice capo del Consiglio di sicurezza russo, Dmitrij Medvedev, intervistato da Al Arabiya, ha espresso la propria valutazione sulla possibilità di porre fine al conflitto in Ucraina: «Se il blocco NATO si pone su un terreno realistico e cessa di alimentare la guerra in Ucraina, questo conflitto può essere concluso senza alcun costo per l'umanità. In ogni caso, senza nuovi costi». Medvedev ha aggiunto che, al contrario, il via libera concesso dalla NATO a Kiev all'impiego di missili a lunga gittata non fa altro che allontanare la possibilità di metter fine al conflitto. In fondo, nonostante tutto, c'è ancora qualche idiota che, sul Corriere, paragona Vladimir Putin al pastore che grida “al lupo, al lupo”. Imbecilli guerrafondai.

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