La caduta del governo siriano di Bashar al-Assad e la presa di Damasco da parte del gruppo armato Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) rappresentano un punto di svolta per la regione. Sebbene i media occidentali celebrino la "liberazione" della capitale, una lettura più attenta rivela un'operazione orchestrata da potenze esterne con finalità geopolitiche ben precise. HTS, gruppo con legami storici con Al-Qaeda, ha assunto il controllo di città strategiche come Hama, Homs e Dara’a. In parallelo, Israele ha rafforzato la propria presenza militare nel Golan, superando per la prima volta dal 1974 la linea di confine con la Siria. Carri armati israeliani sono stati avvistati nella città di Quneitra e in altre zone chiave, con l'obiettivo dichiarato di "proteggere le proprie posizioni".
La stampa israeliana ha inoltre rivelato contatti diretti tra Tel Aviv e HTS, a dimostrazione di una strategia comune per mantenere la Siria divisa e sotto controllo. Mentre i miliziani occupavano Damasco, gli Stati Uniti hanno colto l'occasione per rilanciare la retorica del "cambio di regime". Donald Trump ha dichiarato che Assad "è fuggito" dopo aver perso il sostegno della Russia, una narrazione che si inserisce nella lunga tradizione statunitense di destabilizzazione dei governi non allineati. Non va dimenticato, infatti, che Washington controlla i principali giacimenti petroliferi siriani e impone sanzioni asfissianti, contribuendo al collasso economico del paese.
Di fronte a questa situazione, l'Iran ha riaffermato la propria posizione di difesa della sovranità siriana. Il Ministero degli Esteri iraniano ha ribadito che solo il popolo siriano ha il diritto di decidere il futuro del proprio paese, senza "ingerenze distruttive" da parte di attori stranieri. Teheran ha invitato tutte le parti a porre fine ai conflitti militari e ad avviare un dialogo nazionale inclusivo, basato sulla Risoluzione 2254 dell'ONU, che garantisca l'integrità territoriale della Siria e la partecipazione di tutte le componenti sociali.
Anche i paesi arabi, come Qatar, Arabia Saudita, Iraq, Egitto e Giordania, hanno espresso preoccupazione per il rischio di caos e frammentazione. Durante il Forum di Doha, è stata ribadita la necessità di una soluzione politica che metta fine alle ostilità e garantisca il ritorno sicuro dei rifugiati. Tuttavia, la presenza sul campo di attori come Stati Uniti, Israele e Turchia fa temere uno scenario analogo a quello iracheno o libico, dove la "transizione democratica" ha portato solo guerra civile e saccheggi. L’analisi di questa vicenda non può ignorare il ruolo nefasto delle potenze esterne. Israele, Stati Uniti e Turchia agiscono non per "liberare" la Siria, ma per spezzarne l’unità e appropriarsi delle sue risorse. La narrazione della "transizione pacifica" nasconde una realtà ben diversa: il saccheggio delle risorse petrolifere, l’occupazione militare e la manipolazione delle fazioni locali per creare uno Stato debole e frammentato. Il popolo siriano, intrappolato in questo gioco di potere globale, rischia di essere l’ennesima vittima di una strategia di destabilizzazione a lungo termine.
*Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
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https://edition.cnn.com/world/live-news/syria-civil-war-12-08-2024/index.html
https://tehrantimes.com/news/507218/Syrian-President-Assad-s-rule-ended
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