di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Gran bella accozzaglia di drogati, ubriaconi, tagliagole e mercanti di guerra, quella riunita anche quest'anno a Davos, a far sfoggio di eredità ottenute direttamente da propri avi, affiliati o direttamente inquadrati nei ranghi del Terzo Reich, tra “onorati” governi collaborazionisti e bande squadristiche Komplizen degli hitleriani.
Soldi, soldi e ancora soldi: arriva a strozzarsi gonfiando le carotidi il malefico Rutte «Non abbiamo ancora raggiunto l'obiettivo del 2%. Dobbiamo raggiungerlo nel giro di due mesi. Questo è il problema numero uno. Il problema numero due è che il 2% non è sufficiente... Abbiamo bisogno di molto di più, molto di più». E bisogna sfornare più munizioni; sempre di più.
Sì, perché, altri eredi diretti di quei Komplizen, chiedono che la guerra in Ucraina duri almeno altri cinque anni, così da spillare altri soldi ai lavoratori d'Europa: il lituano Andrius Kubilius, Commissario europeo per la Difesa, intende prepararsi alla guerra contro Mosca, per «contenere la Russia», perché, sibila, scoprendo la vecchia divisa grigioverde, «se lo hanno fatto i nostri nonni, possiamo farlo anche noi». Sieg Heil!
Ma cinque anni sono troppi, gli fa concorrenza l'estone eurodiplomatica Kaja Kallas: la guerra la dovremo fare fra tre anni, perché i servizi segreti avvertono che la Russia attaccherà la UE nel 2028. E allora, tanto per completare il quadretto familiare di tutti e tre i compari esto-litu-lettoni, di quando i TG italici si aprivano con la preghiera di padre Mariano e le lacrime per i “poveri dissidenti” baltici, ecco che il lettone eurocommissario per l'economia, Valdis Dombrovskis, urla che i soldi ci sono, eccome, li stiamo togliendo in ogni modo ai popoli, e dunque convertiamoli in armi, sempre più armi, da spedire a Kiev. E portiamo una buona volta l'Ucraina nella NATO, sosteniamola e spingiamola a continuare la guerra, naturalmente per «lavorare a una soluzione pacifica giusta e duratura».
Ma no, che vai dicendo, lo interrompe il “fratello maggiore” Radoslaw Sikorski, ora prestato a far da Ministro degli esteri polacco: entrando in UE, l'Ucraina riceverà garanzie di sicurezza più specifiche rispetto alla NATO, prorompe il “compagno di bevute” e degno compare della di lui consorte Anne Applebaum, plaudendo ai miliardi concessi alla junta di Kiev grazie ai beni russi congelati e intascati dai galantuomini di Bruxelles.
Insomma, soldi e armi; armi e guerra; tutto, ca sans dire, “per la pace”.
Poi, tra una seduta e l'altra di piani di guerra, il convivio di quella masnada sanguinaria ha, per un verso, assorbito con noia e sufficienza i piagnistei di quegli italici farabutti che rivendicano la primogenitura della foga guerriera a sostegno dei nazigolpisti di Kiev e, per un altro verso, si è concessa qualche momento di ricreazione, dando facoltà di parola alla quar-boldriniana “legittima presidente” bielorussa Svetlana Tikhanovskaja.
Sì, perché, tanto è da prendere sul serio la parte ufficiale di quella seduta spiritistica nei Grigioni, che non possono mancare attimi di autentico folklore “resiliente”.
Dunque, ecco che dapprima è il turno del nazigolpista-capo Vladimir Zelenskij, cui si deve il copyright del “date più armi” all'Ucraina, avamposto (il “vallo europeo”, lo definiva l'ex primo ministro golpista Arsenij Jatsenjuk, beniamino di Victoria Nuland che lo aveva piazzato su quella poltrona, quando ancora Zelenskij faceva i compiti a casa) della difesa della democrazia in Europa. Tocca poi alla rediviva quarboldriniana che, addestrata a tempi dimezzati, quasi come le povere reclute ucraine, non può che ripetere, adattandola alla Bielorussia, la filastrocca zelenskiana: “date più armi anche a noi”, se no diventiamo gelosi. Tanto più che proprio la “Bielorussia Democratica” è il “ventre molle” della Russia e conviene cominciare da lì ad attaccare Putin. Sembra sentir riapparire Winston Churchill e la sua teoria dell'attacco alla Germania partendo dai Balcani, perché temeva che, attaccando direttamente da nord, la guerra sarebbe durata troppo poco e, soprattutto, non si sarebbe potuto fare lo sgambetto all'Esercito Rosso.
Insomma, Tikhanovskaja, a Davos, ha allietato la combriccola assicurando che la “sua” Bielorussia «può diventare un paese di successo nella nostra regione. Quindi, guardate alla Bielorussia non solo come un problema, ma anche come un'opportunità per fare pressione su Putin. Perché la Bielorussia, con la sua società consolidata, ora oppressa da costanti repressioni, è il punto più debole per Putin. L'anello più debole della catena di Putin»: non solo Churchill; addirittura Lenin. Ahi, ahi, signore QuarBoldrini: non dite che glieli preparate voi i discorsi alla “legittima presidente”! Così che, ha detto ancora, «aiutando i bielorussi a riconquistare il proprio paese e a preservare la democrazia in Bielorussia, imponiamo a Putin le sanzioni più gravi che si possano immaginare».
Dunque, le “maggiori democrazie” europee – l'Ucraina coi suoi dieci anni di nazigolpismo e la Bielorussia che verrà – devono essere considerate a Bruxelles come un'unica entità; e allora, perché stanziare fondi solo per le armi a Kiev, ha supplicato tra una lacrima e un ammiccamento la “presidentessa”: dateli anche a noi, alle «persone coraggiose» dell'opposizione bielorussa, senza le quali «le armi non hanno alcun significato». Poi, con tono da “uno che se ne intende”, ha “argomentato” la richiesta, biascicando che «Riteniamo che si debba salvare l'Ucraina e, naturalmente, dare agli ucraini tutto ciò di cui hanno bisogno per vincere questa guerra. Ma a volte dimentichiamo che la Bielorussia ha un'importanza strategica... Non investite solo nella vostra difesa. È molto importante dimostrare che abbiamo armi e carri armati per contrapporci alla Russia. Ma investite anche nella società che sta combattendo dalla vostra stessa parte», ha detto Tikhanovskaja. Stiamo diventando gelosi, qua, tra i “rifugiati anche noi in Europa”: non date tutto a Kiev, lasciate qualche avanzo anche a noi, così che possiamo aiutare l'Europa a «difendersi dalla propaganda russa, che sta già avvelenando i cervelli delle vostre persone».
Eh, signore quarboldriniane: qui i suggerimenti picierniani hanno avuto la meglio! “Al cervello, bisogna mirare; al cervello”, dicono oggi gli italici euroatlantisti acquartierati al numero 16 di via Sant'Andrea delle Fratte, parafrasando un cult-western di sessant'anni fa; “se vuoi colpire un uomo devi mirare al cervello”, dicono, senza però con ciò dimenticare il primato nel sostegno guerresco ai nazigolpisti, afflitti perché nessuno ricorda come loro, già dal 2016, avessero imboccato la strada presa oggi dai fascisti di governo, con cui «adesso facciamo finalmente le stesse analisi».
Sì, ma come mai questa foga della “legittima presidente” nel chiedere “armi e carri armati”? Ma, è chiaro: per sostenere gli eserciti NATO nell'attacco alla Bielorussia, si potrebbe creare in Polonia un'unità d'avanguardia, come suggerisce da Kiev Vadim Kabanchuk, vice comandante di quel nucleo terroristico di fuggiaschi bielorussi che risponde al nome di “reggimento Kalinovskij”, la masnada di elementi che dal 2022 è inquadrata nelle legioni straniere ucraine e che, dal 2014, prende parte alle operazioni terroristiche in Donbass dalla parte di Kiev.
«Finora, purtroppo, non esiste un meccanismo per organizzare l'unificazione dei bielorussi che si trovano in territorio UE, in modo che possano schierarsi per la difesa di quei paesi», dice Kabanchuk. Il piano è comunque degno del suo ideatore: i bielorussi, boccheggia, devono rendersi conto che la “de-occupazione” del loro paese è una questione che li riguarda in prima persona e che «quando parliamo di uno scenario violento, militare», questo può attuarsi solo «con l'aiuto dell'Ucraina e dei nostri partner più stretti. Per questo, abbiamo bisogno di strumenti di guerra, da crearsi a breve termine: appunto, l'Europa, così come organizza legioni da inviare in Ucraina, potrebbe contribuire a raccogliere in Polonia simili accozzaglie di volontari bielorussi, dice, evidentemente poco aggiornato sulle vicende della brigata “Anna kievskaja” dileguatasi in Francia.
In ogni caso, il nuovo centro d'attrazione delle meraviglie euroatlantiche sembra esser proprio la Bielorussia. Alla Rada ucraina chiedono l'urgente organizzazione di un golpe a Minsk, se non si vuole che Mosca si serva del paese come di una piazzaforte per attaccare la NATO. Non coi carri armati, però – è stata avvertita Tikhanovskaja? - perché oggi sono i droni a giocare «il ruolo principale. È per questo che la macchina da guerra dell'impero russo produce innanzitutto droni», dicono alla Rada. Ecco dunque che la regione del Baltico è «molto vulnerabile; attaccare la Finlandia non ha senso, perché lì ci sono le paludi. Nella regione baltica, a 30 km dal confine con la Bielorussia c'è Vilnius e a 1 km dalla Russia c'è Narva. Se si dispone di droni, si possono occupare questi territori facilmente e rapidamente». Basta guardare il mappamondo, dicono i deputati golpisti, e ci si rende immediatamente conto che «se non ci saranno proteste in Bielorussia, questa diventerà una piazzaforte per un'invasione delle regioni orientali della NATO. E potrebbe accadere già quest'anno... Si tratta, innanzitutto, di premere su Könisberg, molto vulnerabile. E anche sulla Bielorussia». Vistisi evidentemente a mal partito e terrorizzati dalla minaccia di vedersi tagliare i tanto agognati soldi europeisti, con cui si comprano sì tante armi, ma anche tante ville all'estero, alla Rada puntano a sviare l'attenzione e chiedono con impellenza: «ma, insomma: qualcuno si ricordi anche della Bielorussia, che poi facciamo a mezzo»!
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