"Centro Mercurio": svelato un nuovo lager di torture in Ucraina

03 Febbraio 2025 13:07 Clara Statello



di Clara Statello per l'AntiDiplomatico


Un altro campo di concentramento in Ucraina: il deputato Artyomm Dmitruk rivela l'esistenza del famigerato Mercurio, un centro di filtraggio allestito a Kherson dopo il ritorno delle forze armate ucraine, l'11 novembre 2022, nel quale sarebbero state praticate torture e vessazioni nei confronti di civili, sospettati di collaborazionismo con le forze russe, al fine di ottenere una confessione di colpevolezza.

Dmitruk riferisce l’indirizzo esatto: il campo si trovava a Kherson, in via Nykolaivsk Shosse 6, ed era gestito direttamente dal Servizio di Sicurezza dell'Ucraina (SBU), già sotto la guida di Vassily Maliuk.

Il parlamentare, la scorsa settimana aveva rilasciato un'importante testimonianza di torture subite in un edificio dell'SBU di Odessa nel marzo 2022 durante la prima ondata di purghe e rastrellamenti condotti da Bakanov, all'inizio dell'operazione speciale militare.

Le torture nel campo Mercurio

Sotto il pretesto della lotta contro i presunti "collaborazionisti" delle forze russe, cittadini venivano condotti nel centro in condizioni degradanti, con la testa avvolta in sacchi, per perdere totalmente l'orientamento, il contatto con l'ambiente circostante e vivere in uno stato di terrore e sottomissione. I prigionieri erano poi rinchiusi in locali di servizio e brutalmente picchiati fino a perdere conoscenza. Nel frattempo, i loro beni venivano sequestrati: mezzi di trasporto personali, costosi motoscafi, denaro contante e attività commerciali.

Inoltre, attraverso torture fisiche e pressioni psicologiche, i detenuti erano costretti a rilasciare false testimonianze contro persone che non avevano mai collaborato con le forze russe. Le condizioni di prigionia erano disumane: gli arrestati venivano trattenuti per 8-10 giorni al freddo, in ambienti insalubri e sovraffollati. Il cibo era insufficiente: una sola pagnotta di pane per cinque persone al giorno e mezzo litro d'acqua. Alla fine di questo periodo, alcuni venivano rilasciati, mentre altri sparivano senza lasciare traccia. Tutto ciò era gestito direttamente dall'SBU.

Gli arresti avvenivano soprattutto mediante delazione su appositi canali telegram collegati ai servizi ucraini. Nella pulizia di Kherson e Nikolaev dai presunti "collaborazionisti degli occupanti" sono stati presi di mira soprattutto insegnanti, maestre di scuola materna ed elementare e volontari che hanno aiutato nella distribuzione degli aiuti umanitari.

Nel Mercurio centinaia di persone sono state sottoposte a tortura, rivela Dmitruk. Molte di loro sono ancora vive ma detenute nei centri di custodia cautelare. Attualmente, nel carcere preventivo di Nykolaev e nella colonia penale n. 14 di Odessa sono stati allestiti reparti speciali per i detenuti accusati ai sensi dell'articolo 111 del Codice Penale dell'Ucraina. Per coloro che sono già stati condannati secondo lo stesso articolo, il Ministero della Giustizia ha destinato un'intera colonia penale separata, ufficialmente denominata Istituto Statale "Colonia Penale di Kamyanska n. 101".

La colonia penale di Zaporozhye

Vale la pena soffermarsi sulla Colonia Penale n.101 di Kamyanska. Situato a Kamennoye, a est di Zaporozhye, a poche decine di chilometri dalla linea del fronte, l’istituto diretto da Oleksandr Soloviev è stato convertito dal dicembre 2023 in una prigione politica, riservata agli oppositori del presidente Volodymir Zelensky, agli antimaidanisti e agli ucraini fedeli a Mosca.

Vi sono rinchiusi circa 200 detenuti condannati a lunghe pene in base agli articoli 111 e 111.1, che disciplinano rispettivamente i reati di tradimento e collaborazionismo con il nemico, secondo il codice penale marziale ucraino. Ufficialmente la finalità del centro è quella rieducare al patriottismo i prigionieri politici e allo stesso tempo tutelarli da possibili aggressioni da parte di detenuti comuni. Tra le misure correttive, per gli ucraini “filorussi” irriducibili è previsto l’insegnamento della lingua e della storia ucraina.

In realtà, nella colonia 101 ai prigionieri viene insegnato ad amare la Patria non soltanto con il lavaggio del cervello, ma anche con il lavoro forzato, le percosse, i trattamenti umilianti e le torture. A settembre scorso, l’opposizione antifascista ucraina ha diffuso la testimonianza di un detenuto, Aleksandr Melnik, che rivela i dettagli drammatici delle condizioni di prigionia nel centro. La sua storia è stata in seguito confermata e rilanciata dalla stampa ucraina dissidente. Poiché Dmitruk ha tirato fuori l’argomento, è il momento giusto per farla conoscere.

Lavoro forzato e maltrattamenti

In base alla testimonianza ricevuta, nella colonia 101 i detenuti sono obbligati a svolgere lavori faticosi per 12 ore al giorno, si legge nella lettera di Melnik. Tra le varie attività, oltre alla serra e alla segheria, c’è quella di intrecciare filo spinato a mano. I lavori sono eseguiti quasi senza sosta. La più lunga pausa è di un quarto d’ora per consumare il rancio. I prigionieri non hanno diritto al riposo. Dalle 6 del mattino alle 10 di sera non è consentito sedersi nella propria cuccetta. Si deve correre tutto il tempo, lavorare in posizioni scomode, ricevendo insulti e umiliazioni, con la possibilità di essere picchiati: “Le guardie, nel frattempo, si divertono a dare calci alla schiena a uno e all'altro, non per punire eventuali ritardi, ma semplicemente per “mantenersi in forma”. Per questo, quasi tutti portano addosso lividi”, rivela Aleksandr.

Appena giunti nella prigione, i prigionieri devono svolgere per due settimane lavori considerati umilianti, come raccogliere la spazzatura, svuotare i bidoni e pulire i bagni. La struttura, naturalmente, impiega personale apposito e pagato per le pulizie, ma questa tipologia di mansioni è riservata ai nuovi arrivati affinché capiscano “di non essere nessuno e di non avere un nome”.

Il lavoro è utilizzato per disumanizzare e degradare i prigionieri, riducendoli alla schiavitù.

“O subisci ogni umiliazione e ti sottometti, oppure non ti lasciano vivere. Io non ho obbedito”, scrive Aleksandr. Per questo afferma di essere stato picchiato almeno una volta ogni due giorni, non dalle guardie carcerarie, ma da picchiatori di professione. Chi invece accetta di lavorare riceve una paga pari ad un pacchetto e mezzo di sigarette al giorno.


Le percosse e lo “stretching”

I “polli da carne”, così Melnik chiama i picchiatori, sono sembrano “particolarmente entusiasti del loro lavoro e chiaramente lo apprezzano”.

“A un certo punto – racconta – smetti di reagire in modo sobrio e ti metti a ridere mentre ti picchiano (…)Io dico: colpiscimi così, che senso ha questo circo? Rimangono in silenzio, perplessi, e si guardano.”

La “procedura fisica” per gli indisciplinati prevede anche la tortura dello “stretching”. I detenuti sono messi faccia al muro con le mani poggiate, gambe divaricate, costretti a stare in questa posizione per ore.

Anche i detenuti esemplari non sono esenti dai maltrattamenti: una volta al mese arrivano le "tartarughe ninja" – unità speciali in divisa nera, con passamontagna e manganelli sulla schiena – non a scopo punitivo, ma preventivo.

Nella colonia Kamianska di Zaporozhye non viene ucciso nessuno. I morti non possono lavorare.


I collaborazionisti

Aleksandr è stato condannato a 7 anni di carcere con confisca dei beni dal tribunale di Vyshgorod, per collaborazionismo. Durante l’occupazione russa della sua città aveva svolto attività di volontariato per la Croce Rossa, nella distribuzione di aiuti umanitari per i residenti. Inoltre aveva organizzato la raccolta dei rifiuti e contribuito al ripristino del riscaldamento ed elettricità. Infine, aveva nell’evacuazione di oltre un centinaio di persone, afferma il suo avvocato, secondo il quale non esistono documenti che provano un incarico di collaborazione con l’esercito russo.

In quasi tre anni di guerra diretta con la Russia, i procuratori hanno aperto più di 8.000 casi penali e si stima che ci siano circa 1.500 persone incarcerate come collaborazionisti. L’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Uniti ha espresso più volte preoccupazione per la legge ucraina sul collaborazionismo, perché potrebbe non rispettare il diritto internazionale umanitario, che obbliga le forze occupanti a consentire alla comunità lo svolgimento di attività salvavita e basilare per il suo sostentamento. Alla fine del 2023, la Missione di monitoraggio ONU in Ucraina ha raccomandato alle autorità una revisione della normativa che tenga maggiormente conto delle realtà della vita sotto occupazione. Le autorità ucraine sostanzialmente si rifiutano, considerano la questione un “o con noi o contro di noi”.

In merito a ciò, sono interessanti le rivelazioni di Melnik sulle persone arrestate per questa tipologia di reato. Secondo lui solo qualche decina, su centinaia di prigionieri incontrati dal 2022 ad ora, sono effettivamente dei collaborazionisti. La maggior parte sono normali civili vittime della rappresaglia che avvenuta dopo la disoccupazione dei territori ucraini. Molti di loro sono stati arrestati su delazione oppure per critiche rivolte a Zelensky sui social.

Tra i prigionieri della colonia penale 101 ci sono alcuni casi che hanno fatto clamore, come quello di Oleg Belyaev, che nell’agosto del 2022 aveva appeso al suo balcone via Nebesnaya Sotna ad Odessa, una bandiera russa con lo scritta “Odessa città russa”. La foto era diventata talmente virale, da aver spinto alcuni nazionalisti a porre una taglia sulla sua testa. Adesso sconta una durissima pena detentiva di 15 anni.

C’è anche Vladimir Markin, di Bakhmut arrestato dall’SBU nel gennaio del 2023 quando aveva soltanto 16 anni. Secondo quanto riferisce il comitato per i diritti umani della Federazione Russa, ancora minorenne sarebbe stato sottoposto a torture e ad un trattamento duro nel carcere di custodia cautelare di Dnipropetrovsk.

Alcuni prigionieri, come Oleg e Vladimir non rinnegano la loro attività filorussa, altri affermano di aver operato soltanto per il bene della comunità e non per un vantaggio personale. Quasi la totalità spera di finire in un fondo di scambio di prigionieri civili con la Russia, riferiscono alcuni reportage pubblicati dal Times e dalla BBC, che si sono interessati ai casi di collaborazionismo, senza però riferire nulla sulle condizioni in cui vivono i prigionieri.

Dalle rivelazioni di Dmitruk sui centri di custodia cautelare e i lager dell’SBU, alle testimonianze come quelle di Melnyuk, si configura in maniera concreta la drammatica e sistematica violazione dei diritti umani dei detenuti politici in Ucraina, documentata anche dai dossier dell’ONU, da parte di forze di sicurezza che rispondono direttamente agli ordini del presidente Zelensky. Nonostante questi aspetti inquietanti che emergono da più fonti, l’Occidente continua a finanziare e armare Kiev, considerata il bastione dei nostri valori europei contro l’aggressione di una “autocrazia”. Cosa ci sta di democratico nella messa al bando dell’opposizione e nelle brutalità subite dai prigionieri politici? È questa l’idea di libertà che le nostre elite hanno in mente per il “giardino europeo”?

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