di Daniele Lanza
Dal carosello di parole ed espressioni – ancora vaghe - che trapela dalle trattative (non conclusive) tra russi e ucraini, la più indefinibile, la più ambigua è quella di “denazificazione”.
Espressione semplice, ma in realtà per nulla facile: la verità è che il pubblico occidentale qui si trova davanti ad un tranello semantico che pervade il discorso russo, tanto nelle circostanze presenti quanto più in generale nella narrazione patriottica di questo paese.
Dunque, COME esprimermi affinché il lettore nostrano mi comprenda? Esiste una versione breve ed una lunga della risposta: quella breve consiste nel dire che l’accezione russa del termine “fascista” e “comunista” è alterata rispetto al canone cui siamo abituati a credere, sotto certi aspetti addirittura capovolta (paradossalmente). La risposta lunga invece è più articolata e ci costringe a fare un salto più indietro nel tempo al fine di poter formulare riflessioni di più ampio raggio.
La Rivoluzione d’ottobre del 1917 segna la fine di un’era (già sorpassata ed anacronistica) e ipso facto l’inizio di una multisfaccettata, tormentata transizione alla modernità, secondo un sentiero non condiviso col resto dei paesi Europei e occidentali in particolare. Come cercai di sottolineare, una rivoluzione socialista rappresentò una macro-contraddizione in termini: la corrente ideologica più rivoluzionaria, modernista che sia stata concepita nell’alveo del pensiero politico dell’occidente nel corso del XIX sec. (immaginata per coronare le punte più progredite dell’Europa del tempo), va invece a “adagiarsi” sull’improbabile letto rappresentato dal cosmo russo imperiale, contesto che si distingue – comparativamente ad altri imperi coevi – per arretratezza e chiusura al mondo esterno. Come sottolineammo un’unione di opposti unica nel suo genere, nel corso della quale arcaismi, millenarismi rurali e altri elementi unici della dimensione slava andavano a fondersi col cosmopolitismo, messianismo ed altri del verbo di Marx (secondo Lenin): sul piano della cultura viene a prendere forma una sagoma tutta d’un pezzo ma dalle molteplici ed insospettabili proprietà nascoste. A fronte del brillante entusiasmo rivoluzionario che si fissa e stabilizza in magniloquente retorica, la società intera è pervasa – qua e là – di elementi del passato.
Se il lettore ci pensa anche solo un momento, la cosa è naturale: come poteva tutto a un tratto scomparire un passato plurisecolare come se non fosse mai esistito prima? Gli strati più superficiali della psiche possono essere rimossi, riprogrammati, ma più si va in profondità meno l’operazione è fattibile (tanto più quando proprio chi è incaricato di rimuovere questi strati è egli stesso non del tutto “trasformato” dentro di sé). Persiste in maniera indefinibile un elemento CONSERVATORE di fondo che si esprime spesso in entusiasta e sincero patriottismo.
Sì, a questo si voleva arrivare con questa premessa: il cuore del problema, il concetto di PATRIA in terra di Russia. Spessore e profondità del tema VIETANO di disquisirne seriamente, su qualsiasi arena virtuale che sia un social o altro (è una sostanziale offesa a chi – tra cui il sottoscritto – si occupa professionalmente di questo capitolo nella, a sua volta vastissima storia dei nazionalismi e identitarismi. Vorrei quindi solo trasmettere un concetto generale: gli eventi del 1917 segnano una svolta nella storia del nazionalismo russo contemporaneo. La rivoluzione socialista rappresenta uno stadio nevralgico di evoluzione di quest’ultimo.
Su un piano formale, il nazionalismo grande russo scompare: bandito dall’ideologia istituzionale, vietato (o più propriamente superato in quanto anacronistico), sostituito da una nuova forma di identità collettiva che è il patriottismo civico dell’era sovietica (un nazionalismo civico se vogliamo, analogo a quello francese post 1789). Quest’ultimo tuttavia benché su un piano strettamente storico e politico nulla abbia a che fare con quanto lo precede, in realtà sul piano della psiche collettiva si serve in fin dei conti del nazionalismo grande russo come materia grezza di base, trasfigurata e riassemblata per adattarsi allo scopo: in particolare l’internazionalismo comunista in qualche modo va ad ammorbidirne i tratti più etnocentrici – caratteristici degli etnonazionalismi – rinvigorendone invece la vocazione universale più latente (una caratteristica “imperiale” – comparabile a Bisanzio o Roma - quella del nazionalismo russo di essere al tempo medesimo sé (rappresentante del proprio epicentro etnico russo), ma anche “OLTRE SE’” (inglobante realtà non russe o nemmeno slave). Come detto, discorso complicatissimo. Mi rendo conto qui ed ora che molte espressioni usate sono inappropriate, ma non riesco a fare di meglio in questa sede.
In sostanza la rivoluzione cambiò la società che conquistò, ma al tempo medesimo assorbì, metabolizzò elementi preesistenti ben radicati nel sostrato (come nel contesto delle religioni accade nel caso dei sincretismi): la fusione dei concetti di socialismo e patria si fece talmente profonda da non poter essere facilmente disgiunta in larghe fasce della società. Il termine “COMUNISTA” andava a braccetto con quello di “patriota”: “comunista” era il difensore delle istituzioni, dello stato, della tradizione, difensore spessissimo in uniforme con gradi e mostrine. Era persona retta, d’ordine, che rispettava la catena di comando e le gerarchie, che non trascurava lo studio della storia nazionale e rispettava l’etichetta. La famiglia naturale, cellula della società, era il suo luogo di riposo espletati i doveri nei confronti della società e dello stato (si iniziava con l’essere bravi pionieri nell'infanzia).
Chi abbia letto queste righe potrebbe restare basito: per i parametri occidentali sembra in tutto e per tutto la descrizione di un elemento di DESTRA, decisamente conservatore (perché la rivoluzione c’era già stata, ed anziché rovesciare lo stato o indebolirlo occorreva al contrario, difenderlo, rafforzarlo). La memoria sovietica non ha pertanto l’accezione che il comunismo ha nell’Europa occidentale (o nei paesi dove non ha preso piede), indicando viceversa una mentalità assai più inquadrata e a difesa di un ordine di vecchio stampo (a modo suo, certo: “conservatrice nella sua rivoluzionarietà”, perdonatemi il gioco di parole).
SECONDO MOMENTO: la fornace degli anni 40 contro il terzo Reich.
Vista la portata, nella psiche collettiva avviene una seconda rivoluzione,la palingenesi bellica. Il patriottismo rivoluzionario standard si fa ancor più brillante di quanto non fosse stato e individua nell’invasore “fascista” il nemico. La grande guerra patriottica è un macro-tassello nel processo di nation building sovietico.
Da notare che da quel momento in poi – dopo l’esperienza storica del XX secolo che rasenta l’annientamento – la parola “NAZISTA” va ad indicare l’alieno bellicoso, lo straniero che attenta alla sacralità della sicurezza russa, a prescindere dal colore politico che ufficialmente indossa: in parole poverissime e comprensibili, è “nazista” chiunque (qualsiasi regime – destra o sinistra che sia) sia nemico o potenziale invasore del paese. Viceversa, può non esser considerato veramente “fascista” chi è in buoni rapporti con esso e che sia in alleanza con esso.
NAZISTA o FASCISTA, nel gergo russo significa STRANIERO in senso aggressivo, mortale (più che non un tesserato a tali partiti). Si potrebbe osservare che l’utilizzo di tale termine richiami alla lontana la fobia (in questo caso fondata) della Russia più profonda nei confronti del forestiero, quindi qualcosa che sottolinea il contrasto tra “interno/esterno” al cosmo russo che non un’ideologica lotta tra sinistra/destra come viene interpretato in occidente. (dove prevale una più comprensibile visione di contrasto tra le ideologie storiche, dimenticando il contesto locale)
Attenzione quindi a non interpretare mai con categorie troppo semplici, troppo lineari le reazioni di altri popoli.
DENAZIFICARE l'Ucraina significa quindi contrastare gli elementi nazionalisti di tale società (soprattutto nella misura in cui tale nazionalismo sia ANTIRUSSO: questo è la chiave di tutto, nemmeno tanto nel nazionalismo in sé, quanto nella misura in cui quest'ultimo possa rivelarsi dannoso all'interessa della comunità russofona e quindi di Mosca in ultima istanza).
Con questa semplice disamina spero di aver chiarito lo spiacevole equivoco semantico che tuttora circola nei paesi europei.
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