IL MARXISMO E L'ERA MULTIPOLARE - SECONDA PARTE

Come ogni Venerdì, ecco il secondo dei 9 appuntamenti dove vi proporremo un importante lavoro di analisi e approfondimento di Leonardo Sinigaglia dal titolo "Marxismo e Multipolarismo".

PRIMA PARTE

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di Leonardo Sinigaglia

2-La prassi come criterio della verità, il materialismo dialettico come metodo

Attraverso l’evoluzione teorica descritta, il marxismo è passato dall’essere l’idea di pochi circoli d’avanguardia ad essere la forza trainante di alcuni tra i più grandi partiti e Stati al mondo, una forza determinante nello scenario internazionale da almeno un secolo, e mai come oggi vitale e potente. Ciò è stato possibile non solo grazie agli sforzi di numerose generazioni di rivoluzionari, ma soprattutto per un metodo, quello dato dal materialismo dialettico, fondato su un costante confronto con la realtà materiale, applicato tanto all’analisi teorica quanto alla prassi politica. Questo metodo parte dalla realtà e alla realtà ritorna, mettendo al bando ogni soggettivismo e deformazione unilaterale. Il criterio prescritto dal materialismo dialettico per avvicinarsi sempre di più alla verità non è l’adesione a dogmi aprioristici, ipse dixit, identitarismi estetici o sofismi verbali, ma la prassi. Solo la prassi, solo i fatti reali permettono di risalire alla verità.

La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teorica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero[1]. L’esame della pratica è l'unico metro adeguato per valutare la verità di un pensiero. Non ne esistono altri, e il marxismo correttamente riconosce ciò. Il problema della definizione del criterio per stabilire la verità non casualmente è scomparso da decenni dallo scenario politico dell’Occidente, anche nella variopinta galassia della cosiddetta “estrema sinistra” locale.

Influenzati dall’ideologia neoliberale e dal pensiero postmoderno, i “marxisti” occidentali sostengono, apertamente o meno, che esistano le verità, con ogni singola persona portatrice di una, o più, visioni qualitativamente equivalenti e parimenti valide. La realtà oggettiva viene negata a favore di una molteplicità di verità relative fondate sul gusto personale, sull’opportunità, sulla volontà soggettiva, che riflettono nient’altro che pensieri e sensazioni dell’individuo, che sceglie di rappresentare se stesso e quello che fa in un dato modo, di “identificarsi” come qualcosa (o qualcuno).

Questa deformazione gnoseologica può ancora prosperare solamente perché l’estrema sinistra occidentale rifiuta di porsi il problema della presa del potere e della trasformazione dell’esistente, ed è quindi totalmente disinteressata ad una prassi che possa ottenere risultati, costruire consenso e modificare rapporti di forza. Essendo limitati nei propri orizzonti a un mero “sopravvivere” come aggregato identitario, per i vari gruppi e gruppuscoli in questione è totalmente indifferente stabilire se ciò che si pensa sia coerente con la realtà oggettiva: quello che importa è rispettare determinati stereotipi e criteri estetico-formali. Ciò potrebbe essere accettabile per chi si pone entro i confini del liberalismo, ma non è compatibile col marxismo.

L’incapacità di fare proprio il metodo marxista, al di là delle rivendicazioni identitarie, porta a una fondamentale incomprensione della realtà concreta, della quale non si riesce a dare spiegazione senza averla prima mutilata e ridotta ai proprio personalissimi schemi interpretativi. L’unione di soggettivismo e identitarismo porta al dogmatismo più becero e rumoroso, sempre pronto a lanciare accuse contro chi osa deviare dall’ortodossia dell’immaginazione per scendere coi piedi per terra. L’adesione alla realtà, indizio per molti di “revisionismo”, “rossobrunismo” e dir si voglia, è il fondamento di un’analisi corretta e di una prassi conseguente. Solo il confronto costante con la realtà concreta permette di ottenere risultati, di compiere passi avanti nel processo conoscitivo e quindi procedere coscientemente verso il fine posto: “Il progresso dei concetti (dialettica soggettiva), riflettendo propriamente la realtà, deve conformarsi a ciò che sta procedendo nel mondo esterno (oggettivo) e non permettere di farsi separare dalla sua base. La coscienza deve sforzarsi di adattarsi al progresso (dialettico) dell’oggetto riflesso[2].

La lotta per riportare il pensiero alla realtà ha caratterizzato il progresso storico del movimento comunista internazionale ed è ciò che ha permesso a questo di prosperare e mostrare la correttezza delle proprie idee e della propria concezione del mondo. Marx ed Engels costruirono una teoria socialista fondata sulla realtà attraverso il metodo scientifico. Lenin adattò l’analisi marxista alla nuova realtà della fase imperialista del capitalismo, abbandonando gli errori e gli schematismi della II Internazionale. Stalin seppe promuovere lo sviluppo del socialismo nel contesto dato dalla crisi generale del capitalismo e del manifestarsi del fascismo, conducendo l’URSS alla vittoria nella Grande Guerra Patriottica. Mao Zedong, rifiutando le dannose tentazioni emulatrici della “via sovietica”, si basò sulla realtà per trovare la strada propria della rivoluzione cinese e portare avanti l’edificazione socialista nel proprio paese e similmente Deng Xiaoping fondò la sua azione riformatrice sul principio di verificare le proprie idee nella realtà per correggere le deviazioni e gli errori in cui era caduto il PCC. Oggi è proprio il confronto serrato con la realtà a rendere il Partito Comunista Cinese guidato dal segretario Xi Jinping in grado di porsi all’avanguardia delle storiche trasformazioni che stanno avvenendo.

Molti comunisti negano nel loro agire pratico il principio marxista e scientifico per il quale l’unico parametro per stabilire la veridicità di un pensiero è la prassi. In troppi non partono dai fatti per analizzare la situazione concreta, ma dai libri, dai “classici marxisti”, pensando così di risultare più “ortodossi” e corretti. In realtà questa è la ricetta perfetta per separarsi dal marxismo e per andare incontro all’errore, se non per finire direttamente a militare nel campo avverso. La ricerca della verità attraverso i fatti costituisce il cuore del materialismo dialettico e della scienza, è “la base della visione del mondo proletaria e la base ideologica del marxismo[3]. È un principio metodologico irrinunciabile che esprime l’unità tra teoria e pratica, poiché il pensiero nasce dai fatti e ad essi ritorna per essere confermato o smentito: “Scopri la verità attraverso la pratica, e ancora attraverso la pratica verifica e sviluppa la verità. Partire dalla conoscenza percettiva e svilupparla attivamente in conoscenza razionale; quindi partire dalla conoscenza razionale e guidare attivamente la pratica rivoluzionaria per cambiare sia il mondo soggettivo che quello oggettivo. Pratica, conoscenza, ancora pratica e ancora conoscenza. Questa forma si ripete in cicli infiniti e con ogni ciclo il contenuto della pratica e della conoscenza sale a un livello superiore. Questa è la totalità della teoria materialistica dialettica della conoscenza, e tale è la teoria materialistica dialettica dell'unità del sapere e del fare[4].

Il militante comunista non deve costruire “utopie socialiste” immaginarie nella sua testa e pretendere che la realtà si adegui ai suoi pensieri, ma, al contrario, deve trovare nel progresso reale degli eventi la strada che porta alla soluzione dei problemi delle masse, aiutando queste nella lotta e arrivando, grazie all’efficacia dell’analisi scientifica del materialismo dialettico, a ricoprire un ruolo guida tra queste. Per arrivare a ciò, per riuscire a portare a termine quello che nel 1899 Vladimir Lenin definiva il dovere di un partito comunista, ossia l’introdurre “decisi ideali socialisti nel movimento spontaneo della classe lavoratrice” per arrivare a “fondere questo movimento spontaneo con le attività del partito rivoluzionario in un unico insieme indivisibile[5]. Il ripudio della pratica come unico criterio per stabilire la verità ha portato la cosiddetta “estrema sinistra” italiana ad essere incapace di avere qualsiasi influenza tra le masse. In concreto, queste, animate da un materialismo istintivo, sommariamente corretto per quanto poco raffinato, si sono dimostrate nell’ultimo decennio politicamente assai più avanzate, coerenti e in contatto con la realtà della stragrande maggioranza delle piccole soggettività “rivoluzionarie” che ospita il nostro paese.

Dai “Forconi” al movimento di contestazione alla gestione pandemica, le masse hanno immediatamente compreso che l’Unione Europea e l’euro sono nemici degli interessi del popolo lavoratore e che le istituzioni italiane sono fondamentalmente organi esecutivi di volontà esterne al nostro paese, totalmente subalterne ad esse e sprovviste della benché minima volontà di tutelare i diritti, la salute e il futuro della cittadinanza. Al contrario, l’estrema sinistra è globalmente rimasta a guardare davanti ai movimenti di massa, gridando al “fascismo” e scagliandosi contro le pretese “infiltrazioni”. Sulla questione europea ha mostrato, anche nei suoi elementi più avanzati, ambiguità e “cerchiobottismo”, e ancora oggi in molti si ostinano a parlare di “un’altra Europa”, senza rilevare il dato fondamentale, ossia che il progetto federale europeo è strutturalmente pensato per tutelare gli interessi di Washington e del grande capitale del continente, essendo essenzialmente un prodotto americano ed imperialista. Questi errori hanno indubbiamente inficiato la causa socialista in Italia, non fornendo nessun argine all’inquadramento del dissenso delle masse in forme di opposizione controllata, dalla Lega a Fratelli d’Italia.

Le masse sono mosse da un “materialismo istintivo” perché sono più a contatto con la realtà, dovendo lavorare per vivere e facendo esperienza diretta della precarizzazione e della crescente difficoltà ad affrontare la quotidianità per loro e per le loro famiglie. Al contrario, i circoli militanti della “sinistra radicale” sono spesso composti da studenti universitari e liceali, pensionati e PMC, accompagnati da sottoproletari e da persone auto-marginalizzateavve mosse da istinti nichilisti. Si tratta di persone in genere prive di responsabilità o reali preoccupazioni materiali, slegate da qualsiasi contesto familiare e sociale al di fuori della propria piccola cerchia di “militanti” e dipendenti dallo Stato per sussidi od occupazioni pubbliche (in specie quella di insegnante). La loro condizione li rende incapaci di rendersi conto dei problemi, delle preoccupazioni, dei punti di vista e degli interessi della stragrande maggioranza della popolazione, e li espone all’infiltrazione ideologica liberale, spesso mediata attraverso il pensiero anarchico o all’estremismo “di sinistra”.

La loro visione del mondo non è infatti materialista, ma metafisica ed antidialettica, e perciò non in grado di restituire contezza della realtà e dei suoi processi di trasformazione. Il dogmatismo e l’identitarismo stereotipato si sostituiscono all’analisi concreta della realtà concreta, isolando singoli aspetti, singole questioni ed astraendole dal contesto generale, e quindi impedendone una valutazione corretta. Ciò è immediatamente rilevabile se si tiene conto delle posizioni politiche generalmente espresse dalla “sinistra radicale” italiana ed occidentale: si sostengono le milizie separatiste curde in Siria perché “progressiste”, ignorando il ruolo che hanno giocato nella frantumazione del paese e nel favorire l’occupazione americana della parte orientale di questo; si osteggia Orban in quanto “conservatore”, ignorando il suo impegno contro l’escalation del conflitto con la Federazione Russa all’interno della NATO e dell’Unione Europea; si appoggia il cosiddetto “movimento LGBTQIA+” in difesa dei “diritti”, nonostante l’importante ruolo giocato dalle organizzazioni che ad esso fanno riferimento nella destabilizzazione dei paesi ostili all’imperialismo statunitense; si vede in qualsiasi voce critica rispetto all’immigrazione di massa una manifestazione di razzismo e xenofobia, anche se sono proprio le politiche suprematiste dell’occidente collettivo a causare, e fomentare, i flussi migratori, ottenendo da ciò in cambio una grande manovalanza da poter sfruttare senza ritegno.

Il materialismo dialettico, metodo analitico del marxismo, è l’opposto della metafisica, in quanto considera tutta la realtà naturale, storica e spirituale come un processo, un moto incessante di cambiamento e trasformazione, e considera tutti i fenomeni nella loro interdipendenza e nel loro movimento, come un insieme connesso ed organico: “Il metodo dialettico ritiene che nessun fenomeno della natura può essere capito se preso a sé, isolatamente, senza legami coi fenomeni che lo circondano, poiché qualsiasi fenomeno, in qualsiasi campo della natura, può diventare un assurdo se lo si considera al di fuori delle con­dizioni che lo circondano, distaccato da esse; e, al contrario, qualsiasi fenomeno può essere compreso e spiegato se lo si considera nei suoi legami inscindibili coi fenomeni che lo circondano, condizionato dai fenomeni che lo circondano[6].

Il materialismo dialettico insegna ad analizzare ciò che accade nella sua totalità e nel suo carattere contraddittorio. A differenza dell’idealismo, che concepisce la Storia come semplice crescita, o decrescita, quantitativa di enti omogenei, isolati e qualitativamente immutabili, il materialismo dialettico vede il reale processo di trasformazione di ogni cosa, fatto avanzare principalmente dal carattere intimamente contraddittorio di ogni fenomeno e come caratterizzato non solo da accumuli quantitativi, ma anche da salti qualitativi, per cui una cosa si trasforma in qualcos’altro in un dato contesto. Studiando il metodo dialettico, Engels arrivò a individuare le sue tre leggi fondamentali:

-la legge della trasformazione della quantità in qualità e vice versa;

-la legge della compenetrazione degli opposti;

-la legge della negazione della negazione[7].

La prima descrive come ogni fenomeno, raggiunto in certo livello di variazione quantitativa, si trasforma qualitativamente, diventa qualcos'altro: arrivato al suo punto d’ebollizione, un liquido evapora, cambiando di stato; raggiunto un certo livello di compenetrazione tra il capitale bancario e quello industriale viene a svilupparsi il capitale finanziario, che sancisce la fine del libero mercato con l’avvento del capitalismo monopolistico; giunto a un certo livello di centralizzazione e monopolizzazione del credito, del potere politico e militare, del progresso tecnico e degli strumenti d’informazione, l’imperialismo statunitense si è trasformato in imperialismo egemonico, dando vita a un sistema multipolare nettamente distinto rispetto alla precedente fase di concorrenza inter-imperialistica.

La seconda definisce l’unità, o identità, degli opposti, ossia il riconoscimento delle tendenze opposte e apparentemente mutuamente esclusive in ogni fenomeno e processo. La contraddittorietà, lontana dall’essere un’assurdità unicamente concepibile nel pensiero, è la base concreta dello sviluppo, che è il prodotto della lotta (interna) tra i due opposti in questione. Lenin individuò nel riconoscimento identità degli opposti la chiave per la comprensione dei processi, senza la quale non si possono che ottenere letture unilaterali e superficiali: “La condizione per la conoscenza di tutti i processi del mondo nel loro “auto-movimento”, nel loro sviluppo spontaneo, nella loro vita reale, è la conoscenza di essi come unità degli opposti[8].

La negazione delle negazione esprime il procedere dialettico per cui gli opposti contraddittori sono superati a favore di una sintesi che è allo stesso tempo negazione e recupero in un contesto mutato. Nell’Anti-Dühring, Friedrich Engels rende il concetto anche tramite la sua rappresentazione matematica, pensando ad un valore a: “Se questo viene negato, otteniamo -a (meno a). Se neghiamo tale negazione, moltiplicando -a per -a, otteniamo +a2, cioè la quantità positiva originaria, ma ad un grado più elevato, elevata alla seconda potenza[9]. Dal punto di vista del processo storico, si può vedere come la lotta di classe tra proletariato e borghesia dia origine al socialismo, che non è semplicemente la negazione dell’ordine capitalista, ma il suo superamento, la sua sublazione, che ne raccoglie l’eredità per spingersi oltre ai suoi limiti.

Nessun processo o fenomeno mostra una contraddizione singola. Al contrario, se ne presentano sempre molteplici, soprattutto nei complessi processi storici, sociali e spirituali della specie umana. Nella pluralità delle contraddizioni ognuna di esse è in una determinata, e transitoria, posizione rispetto alle altre, e necessita di uno strumento di risoluzione appropriato. Mao Zedong, confrontandosi con la complessa situazione cinese, diede particolare importanza alla capacità di riconoscere i rapporti relativi tra le varie contraddizioni e il mutamento di questi: “Se in un processo ci sono più contraddizioni, una di queste deve essere la contraddizione principale che gioca il ruolo principale e decisivo, mentre le altre occupano una posizione secondaria e subordinata. Pertanto, nello studio di qualsiasi processo complesso in cui sono presenti due o più contraddizioni, dobbiamo dedicare ogni sforzo alla ricerca della sua contraddizione principale. Una volta compresa questa contraddizione principale, tutti i problemi possono essere facilmente risolti[10].

La contraddizione fondamentale del capitalismo è quella che oppone proletariato alla borghesia. Questo schema può essere usato di per sé solamente per ragionamenti astratti, in quanto nella realtà concreta quella non è mai l’unica contraddizione presente, né si manifesta in maniera diretta e “pura”. La contraddizione fondamentale di un periodo storico funge da base, ma non rappresenta sempre e comunque quella principale. Ogni tappa di un processo di sviluppo vede una particolare contraddizione svettare sulle altre, divenendo quella principale e caratterizzando la fase.

Nell’epoca dell’imperialismo è chiaro come la contraddizione tra borghesia e proletariato prenda forma in maniera differente, più acuta, caratterizzandosi non solo per lo sfruttamento economico e l’oppressione politica, ma anche per la minaccia posta alla stessa esistenza umana data dalla sempre incombente minaccia di conflitti globali, di scala e violenza inaudite nella Storia dell’Umanità. Ma è altrettanto vero come essa non sia che la base fondamentale sulla quale si costruiscono numerose altre contraddizioni, che in periodi specifici prendono il sopravvento. Nei paesi coloniali dell’inizio del secolo scorso la contraddizione tra contadini poveri o braccianti e grandi latifondisti era indubbiamente prioritaria rispetto a quella tra classe lavoratrice e borghesia. Tra gli Anni ‘30 e ‘40 è chiaro come la contraddizione principale fosse quella data dal disegno egemonico-coloniale hitleriano, con la conseguenza che il movimento comunista internazionale, l’Unione Sovietica, i paesi imperialisti liberali e i paesi coloniali si trovavano materialmente nella condizione in cui ogni contraddizione tra di loro non poteva che assumere un carattere secondario.

Similmente, a seguito della sconfitta dell’Asse, il disegno egemonico degli Stati Uniti andò a caratterizzare la contraddizione principale, concretamente spostando dallo stesso lato dello scontro il campo socialista e i paesi desiderosi di conquistare (o mantenere) la propria indipendenza. La rottura sino-sovietica, che frantumò il campo socialista aprendo la strada finanche a conflitti armati, si può analizzare come il riuscito tentativo da parte delle forze dell’imperialismo di confondere le idee proprio riguardo alla gerarchia delle contraddizioni, divenuto possibile grazie a distorsioni ideologiche e ad errori nella gestione del rapporto tra partiti comunisti e tra Stati socialisti.

La fine della Guerra Fredda e l’affermazione globale dell’unipolarismo statunitense ha reso principale la contraddizione tra multipolarismo e unipolarismo, ossia tra la tendenza storica oggettiva alla costruzione di relazioni internazionali democratiche, di una nuova globalizzazione differente da quella guidata dagli USA e di nuovi spazi di indipendenza nazionale e la ferrea opposizione a tutto ciò del regime imperialista statunitense, intenzionato a difendere la gerarchia internazionale che vede le cricche imperialiste di Washington all’apice e lo stesso sistema imperialista, giunto alla sua fase terminale. Conseguentemente, tutte le forze che concretamente si oppongono all'egemonia statunitense sono da considerarsi amiche; tutte quelle che la appoggiano, sia pure indirettamente e senza cognizione, sono da considerarsi nemiche. Il presidente turco Erdo?an, quando rompe l’unità interna della NATO mantenendo aperto il dialogo economico e diplomatico con la Federazione Russa, è da sostenere, per quanto non prometta né affidabilità, né coerenza; i vari partitucoli “comunisti” occidentali che berciano su presunti “opposti imperialismi” sono da riconoscere come nemici e da combattere, nonostante sventolino bandiere rosse e si agghindino con simbologia sinistreggiante.

La contraddizione non è un’opposizione statica, ma luogo di trasformazione e movimento. La dialettica mostra come questi opposti “possano essere e diventare identici -in quali condizioni sono identici, trasformandosi l'uno nell'altro- perché la mente umana non dovrebbe considerare questi opposti come morti e rigidi, ma come viventi, condizionali, mobili, trasformantesi l'uno nell'altro[11]. Una contraddizione è quindi un processo in cui un qualcosa, partendo da una condizione di inferiorità, si trasforma nel suo opposto, arrivando a dominarlo e a superarlo. Esempio lampante è la rivoluzione socialista, inizialmente assai più debole delle forze del sistema capitalista, ma progressivamente sempre più forte ed oggi arrivata in procinto di essere l’aspetto dominante della contraddizione. Questo processo di trasformazione prevede anche la possibilità per una contraddizione di passare dall’essere antagonistica al non esserlo, e viceversa. Per contraddizione antagonistica si intende quella i cui due aspetti sono opposti inconciliabili, mentre la contraddizione non antagonistica è quella in cui il cambiamento e lo sviluppo di uno dei due aspetti non necessità l’abbattimento dell’altro. In dati contesti una contraddizione antagonistica può trasformarsi in una non-antagonistica, potendo così essere risolta attraverso mezzi “pacifici”. Così per esempio Mao Zedong definisce la natura della contraddizione tra il proletariato cinese e la borghesia nazionale nel contesto della Nuova Cina: “Le contraddizioni tra la classe operaia e la borghesia nazionale sono contraddizioni tra sfruttati e sfruttatori e sono per se stesse contraddizioni antagonistiche. Tuttavia nelle condizioni concrete del nostro paese, se si trattano nel modo dovuto, le contraddizioni antagonistiche tra queste due classi si possono trasformare in contraddizioni non-antagonistiche, possono essere risolte in modo pacifico[12].

L’incapacità di gerarchizzare e valutare qualitativamente in maniera corretta le varie contraddizioni e di procedere dai fatti per trovare la verità porta a separarsi dalla realtà e a cadere in errori fondamentali. Oggigiorno, non riconoscere la contraddizione tra unipolarismo e multipolarismo come contraddizione principale porta direttamente a sostenere, per quanto in maniera magari inconsapevole, il regime egemonico di Washington. Chi respinge il carattere progressivo della lotta per il multipolarismo in genere lo fa partendo dall’assunto che ciò che sta accadendo oggi non sarebbe altro che una riproposizione della competizione inter-imperialistica degli inizi del secolo scorso: una concezione ciclica della Storia che poco ha a che fare con il materialismo dialettico, e che testimonia:

-la mancata comprensione della questione nazionale;

-la mancata comprensione dei rapporti tra economia di mercato e costruzione socialista;

-la promiscuità ideologica col liberalismo e gravi distorsioni nella visione del mondo;

-la mancata comprensione della natura politica ed economica degli attuali attori internazionali e la direzionalità storica della loro azione.

Vale la pena analizzare le questioni qui sopra indicate per chiarire in maniera sufficientemente esauriente la natura dello sviluppo multipolare.

[1] K. Marx, Tesi su Feuerbach, in K. Marx, F. Engels, Scritti scelti, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 188.

[2] V. Adoratskij, Dialectical Materialism, New York, International Publisher Co., 1934, p. 25.

[3] Deng Xiaoping, Emancipate the Mind, Seek Truth from Facts and Unite as One in Looking to the Future, in Selected Works, Vol. II, Beijing, Foreign Languages Press, 1994, p. 153.

[4] Mao Zedong, Sulla pratica, in Opere scelte, Vol. I, Beijing, Foreign Languages Press, 1967, p. 308.

[5] V. Lenin, Our Immediate Task, in Collected Works, Vol. IV, Mosca, Progress, 1960, p. 217.

[6] I. Stalin, Materialismo storico e dialettico, in Questioni del leninismo, Roma, Edizioni Rinascita, 1952, pp. 646-647.

[7] F. Engels, Dialettica della natura, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 77.

[8] V. Lenin, On Dialectics, in Collected Works, Vol. XXXVIII, Mosca, Progress, 1976, p. 358.

[9] F. Engels, Anti-Dühring, Mosca, Progress, 1947, p. 84.

[10] Mao Zedong, On Contradiction, in Selected Works, Vol. I, Beijing, Foreign Languages Press, 1967, p. 332.

[11] V. Lenin, Conspectus of Hegel's The Science of Logic, in Collected Works, Vol. XXXVIII, Mosca, Progress, 1958, pp. 97-98.

[12] Mao Zedong, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, in Opere-teoria della rivoluzione e della costruzione del socialismo, Roma, Newton Compton, 1977, p. 660.

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