Recensione de ‘’ Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione’’
Al festival del giornalismo di Perugia dello scorso anno la giornalista d’inchiesta Stefania Maurizi ha presentato ‘’Il potere segreto’’, libro riccamente documentato sulla storia dell’organizzazione internazionale Wikileaks e sulla persecuzione giudiziario-politica subita da Julian Assange, suo co-fondatore e figura che viene identificata con l’organizzazione stessa.
Nel suo volume l’autrice citava, tra le altre, anche le dichiarazioni del Relatore speciale dell’ONU sulla tortura, il professore di Diritti umani e Diritto internazionale Nils Melzer.
Il libro di S. Maurizi ha rappresentato e, al tempo stesso, ha potenziato la manifesta svolta nell’opinione pubblica circa l’operato di Wikileaks e l’immagine dello stesso Assange, non piu’ percepito quasi unanimemente come il narcisista, stupratore, delinquente che attenta alla democrazia - come da 13 anni viene descritto per neutralizzare la portata delle sue denunce - ma come colui che ha deciso di svelare i crimini orrendi contro esseri umani privi di difesa, commissionati proprio dalle istituzioni di quegli Stati che, in quanto formalmente democratici, dovrebbero garantire il rispetto dei diritti umani, elemento base che dovrebbe distinguere le dittature dallo Stato di diritto.
Sembrera’ strano, ma forse non e’ casuale, che quest’anno alla nuova edizione del festival, fondato col meritevole scopo di esaltare l’importanza della liberta’ di stampa, la questione Assange non abbia trovato spazio in nessuno dei 5 giorni dedicati a presentazioni e dibattiti, nonostante la recente uscita dell’importante volume del Relatore speciale ONU Nils Melzer, ‘‘Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione’’, pubblicato da Fazi editore e con la prefazione della stessa Stefania Maurizi.
Quattrocentosessanta pagine in cui l’autore ripercorre dettagliatamente gli eventi giuridicamente, oltre che umanamente ‘'incredibili’' in cui lui stesso, nonostante la sua veste pubblica di Relatore speciale dell’ONU, si e’ imbattuto da quando ha deciso di accettare la richiesta di aiuto rivoltagli dagli avvocati di Assange, richiesta precedentemente rifiutata. Un rifiuto, ammette onestamente Melzer, dettato dall’aver fatto propria la narrazione calunniosa confezionata dai media secondo quel meccanismo comunicativo che rende ‘veritiero il suono delle bugie e rispettabile un delitto, dando aspetto di consistenza al puro vento’ come sinteticamente spiegato da G. Orwell e riportato dall’autore.
Solo nel marzo del 2019 Melzer, finalmente, si rende conto di aver sotto gli occhi documenti che provano l’intenzione di distruggere Assange criminalizzandolo e, con lui, criminalizzando il giornalismo d’inchiesta, in una strumentale identificazione della segretezza, che copre i criminali, con la riservatezza che, invece, protegge le fonti.
Esaminando i fatti dalla nascita di Wikileaks alla pubblicazione del video segreto (collateral murder) ottenuto da Chelsea Manning, alla pubblicazione degli Iraq war logs e degli Afgan war diary, passando per le accuse di stupro nel 2010, in realta’ mai presentate dalle due ragazze svedesi con le quali aveva avuto rapporti sessuali, e via via per tutti gli avvenimenti, compreso l’asilo prima e l’arresto poi nell’ambasciata ecuadoriana, fino al carcere di Belmarsh e alle condizioni estremamente umilianti che subisce senza alcuna condanna ma con la costante minaccia di un’estradizione negli USA dove rischia di morire in un carcere di cosiddetta massima sicurezza per aver denunciato i crimini di guerra dell’esercito USA, Melzer scopre la vera figura di Assange, lontanissima dalla distorta presentazione mediatica.
Nelle sue indagini scopre e descrive anche i tormentosi mesi trascorsi, fino al tentato suicidio, in uno di quei carceri di massima sicurezza da Chelsea Manning, poi graziata da Obama ma nuovamente arrestata per non aver voluto testimoniare contro Assange.
La ricostruzione dei fatti che Melzer documenta nelle 460 pagine del volume e’ un continuo pugno allo stomaco del lettore nonostante il garbo dell’esposizione. E’ uno squarcio da cui si vede con spietato nitore la corruzione di governi, magistrati, militari e persino giornalisti di paesi comunemente ritenuti democratici, e la loro complicità con la parte peggiore del potere USA.
Uno squarcio da cui traspare anche l’insignificanza del diritto umanitario universale, della legalità internazionale e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che ne dovrebbe essere garante e che, al contrario, soccombe davanti al potere degli USA, non tanto per corruzione dei suoi funzionari, quanto per impossibilita’ di ottenere rispetto di quei principi che restano solo parole vuote di fronte a chi, senza vergogna, le ripete negandole nei fatti fino a rendersi colpevole o complice di orrendi atti criminali come, ad esempio, il presidente Obama, indegno Nobel per la pace, il quale ha assicurato ‘la completa impunita’ per la tortura sponsorizzata dallo Stato’ e impedito ‘qualsiasi forma di attribuzione di responsabilita’ per i crimini di guerra degli Stati Uniti’ come appare dallo studio di documenti relativi al periodo del suo mandato.
Tra i casi citati da Melzer e seguiti nel suo ruolo di Relatore speciale ONU con successo prossimo allo zero, veniamo a scoprire altre situazioni, come l’esistenza dei black sites, mai chiusi nonostante se ne denunciassero le pratiche di tortura, o la pratica efferata delle S.A.M., o il caso dell’ex funzionario CIA Kiriakou che, come Assange, fu accusato di spionaggio per aver denunciato l’abuso di torture (come ad esempio sottoporre un prigioniero per 183 volte alla tortura del waterboarding) e finito in carcere al posto dei torturatori in quanto colpevole di averli denunciati. E questo ancora sotto la presidenza del democratico Obama. Quanto basta per capire che ‘'democrazia'’ o ‘'diritti umani'’ sono solo termini privi di contenuto e usati per ingannare l’opinione pubblica, almeno finché resta massa dormiente che preferisce non sapere.
Pagina dopo pagina, infamia dopo infamia, complicita’ su complicita’, corruzione di ministri, magistrati, giornalisti e funzionari, britannici e svedesi in primis, ma anche ecuadoriani e australiani che in varia misura si contendono il primato della vergogna per ottenere considerazione dagli USA, il lettore potrebbe essere colpito da sconforto per impotenza e da inutile rassegnazione. Ma l’autore evita che questo accada lanciando qua e la’ messaggi positivi molto forti a partire dall’analisi del suo stesso comportamento, modificatosi mano a mano che veniva a conoscere la verita’ tanto che in un paragrafo definisce il suo passaggio da funzionario ben inserito nel sistema, e in quanto tale nominato Relatore speciale nel 2016, a dissidente all’interno del sistema stesso proprio grazie all’indagine condotta sul caso Assange.
Melzer si rende conto, e giustamente se ne compiace, che la pubblicazione dei suoi comunicati senza filtri diplomatici, seppur non ha toccato le istituzioni, e’ riuscita a far crescere consapevolezza perché ‘’il buon seme della verità - come lui lo definisce - ha cominciato a diffondersi’’. E’ convinto che questo servira’ a far capire che il caso Assange ci riguarda tutti, come ci riguarda tutti il diritto all’informazione vera, quel ‘'quarto potere'’ che la stampa mainstream sembra non essere piu’ in grado di esercitare verso i potenti in quanto prona, fino all’autocensura, al potere politico da questi esercitato.
Nils Melzer dice chiaro fin dall’introduzione, e lo ripete ancora nell’epilogo, che lui non e’ l’avvocato di Assange, il suo lavoro e’ stato svolto nel ruolo di Relatore speciale dell’ONU a servizio della verita’, dell’umanita’, dello Stato di diritto. Per questo non dobbiamo lasciarci distrarre dalle accuse, peraltro strumentali, sull’uomo Assange, ma puntare i riflettori sui suoi persecutori, perché ’’Assange non e’ oggetto di persecuzione per i suoi crimini ma per i crimini dei potenti. La loro impunità e’ il vero oggetto del processo di Assange’’.
Se i media che realmente credono nello Stato di diritto e non accettano che lo svelare i crimini diventi esso stesso un crimine, se quindi credono davvero nella liberta’ di stampa, devono schierarsi con coraggio svegliando l’opinione pubblica e ottenendo la fine della persecuzione di Julian Assange. Non per motivi umanitari, sicuramente nobili, ma per una necessita’ sociale poiche’, conclude Nils Menzer ‘’nel momento in cui la verita’ sara’ diventata un crimine, vivremo tutti nella tirannia’’.
In conclusione, dopo aver letto ‘’Il processo a Julian Assange’’ non si puo’ non capire che il segreto d’ufficio su fatti criminosi non e’ riservatezza ma violazione della liberta’ di stampa e del diritto dei cittadini a conoscere, violazione del diritto a quella conoscenza che risveglia dal sonno della ragione voluto dai potenti.
Patrizia Cecconi
di Alessandro Orsini* Risposta, molto rispettosa, a Liliana Segre. Il dibattito sul genocidio a Gaza, reale o presunto che sia, non può prescindere dalle scienze sociali. Nel suo...
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico In più di una circostanza ho scritto che oltre agli USA a vivere una situazione estremamente complessa in materia di conti con l'estero (debito/credito...
di Clara Statello per l'AntiDiplomatico L’Unione Europea è stata sconfitta nella guerra in Ucraina. Lo ha detto domenica sera il premier ungherese Victor Orban parlando al canale...
di Clara Statello per l'AntiDiplomatico Esattamente una settimana fa, il premier ungherese Viktor Orban, di ritorno da un incontro con Donald Trump a Mar-a-Lago, annunciava che queste sarebbero...
Copyright L'Antidiplomatico 2015 all rights reserved
L'AntiDiplomatico è una testata registrata in data 08/09/2015 presso il Tribunale civile di Roma al n° 162/2015 del registro di stampa