Armi ad Israele: a che gioco sta giocando Washington?

di Giacomo Gabellini per l'AntiDiplomatico

Tra il 21 e il 24 aprile, Camera e Senato statunitensi hanno approvato il piano di sostegno collettivo predisposto dall’amministrazione Biden, la quale ha specificato che i pacchetti «assicureranno un sostegno fondamentale a Israele e all’Ucraina; forniranno aiuti umanitari disperatamente necessari a Gaza, Sudan, Haiti e altre località […] e rafforzeranno la sicurezza e la stabilità nella regione dell’Indo-Pacifico». Dei 95 miliardi di dollari previsti complessivamente dal programma, ben 26,4 sono stati destinati all’Israel Security Supplemental Appropriations Act, e più specificamente al potenziamento dei sistemi di difesa aerea Iron Dome, Iron Beam e David’s Sling (5,2 miliardi), alla consegna di armi e munizioni (3,5 miliardi), alla ricostituzione delle riserve militari intaccate per effetto dei trasferimenti a Israele (4,4 miliardi) e alla concessione di aiuti umanitari alla popolazione palestinese (9 miliardi). In altri termini, gli Stati Uniti si adoperano per alleviare le terribili condizioni di vita della popolazione palestinese prodotte dalla campagna bellica israeliana portata avanti grazie al sostegno militare e politico statunitense.

A poco più di una settimana di distanza, il sempre ben informato Barak Ravid ha scritto su «Axios» che, stando alle confidenze rese da due anonimi funzionari israeliani, l’amministrazione Biden aveva ordinato la sospensione di una fornitura di munizioni destinata a Israele.

L’iniziativa rappresenta il primo segnale di discontinuità rispetto alla condotta tenuta dagli Stati Uniti a partire dai fatti di sangue del 7 ottobre, e ha prevedibilmente suscitato grande inquietudine in seno al gabinetto di guerra israeliano.

Dal canto suo, il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha dichiarato nel corso di un’audizione al Congresso che gli Stati Uniti stanno prendendo seriamente in esame la possibilità di sospendere completamente le consegne di armi e munizionamento destinati a Israele a causa dell’operazione militare che l’Israeli Defense Forsce sta portando avanti presso la città di Rafah. «Stiamo riesaminando – ha spiegato Austin – una spedizione di armi che doveva essere trasferita a Israele, nel contesto degli eventi che stanno verificandosi a Rafah. Non abbiamo preso alcuna decisione finale. Abbiamo ritardato la spedizione, e chiarito la nostra contrarietà all’azione israeliana a Rafah che non tiene conto della sicurezza dei cittadini palestinesi nella città. Abbiamo bloccato una spedizione di armi e abbiamo comunicato a Israele cosa ci aspettiamo che facciano prima dell’operazione a Rafah. Non abbiamo preso una decisione definitiva su cosa fare con questa spedizione di armi».

Un pronunciamento paradossale, tenuto conto che le operazioni militari condotte da Israele nella Striscia di Gaza, responsabili della morte di oltre 35.000 vittime civili, sono state sostenute delle consegne di armi e munizioni assicurate dagli stessi Stati Uniti che oggi lamentano che «l’azione israeliana a Rafah non tiene conto della sicurezza dei cittadini palestinesi nella città».

Più che delle condizioni di vita dei civili palestinesi residenti all’interno della Striscia di Gaza, l’amministrazione Biden sembra preoccupata dal crescente prezzo politico che comporta l’appoggio acritico nei confronti di Israele. La brutale repressione delle proteste studentesche verificatesi in numerosi campus universitari statunitensi è inesorabilmente destinata a falcidiare la popolarità di Joe Biden, che a pochi mesi dalle elezioni presidenziali rischia concretamente di inimicarsi il favore dei cittadini di origine araba, dei musulmani e dei giovani democratici. Stesso discorso vale per l’irrituale pronunciamento di Biden stesso, il quale ha spiegato nel corso di un’intervista rilasciata alla «Cnn» che molti palestinesi sono morti a causa degli ordigni forniti a Israele dagli Stati Uniti, e che la sua decisione di bloccare la spedizione di oltre 3.000 bombe pesanti nasce dall’esigenza di evitare che queste ultime vengano impiegate a Rafah. La sospensione di una consegna di materiale militare a Israele risulta indubbiamente confacente alla finalità tassativa di placare il risentimento di fette importanti di elettorato in vista del voto di novembre, ma, come ha sottolineato l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, rischia di «compromettere in modo significativo la capacità di Israele di raggiungere obiettivi militari».

Di qui la decisione dello speaker della Camera Mike Johnson di inviare al presidente Biden una lettera sottoscritta dal leader della minoranza al Senato Mitch McConnell in cui si esprime preoccupazione in merito alla decisione di sospendere le spedizioni di armi e munizioni a Israele e si richiedono chiarimenti entro la fine della settimana.

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