Gibuti, il porto di tutti.... tranne che dei gibutiani!


di Paolo Arigotti

Gibuti è uno dei microstati del continente nero, incastonato nello strategico Corno d’Africa. Con una superficie di circa 23mila chilometri quadrati (e 370 chilometri di coste), di poco inferiore a quella della Lombardia, ha una popolazione stimata in poco più di un milione e cento mila anime. La situazione economica e sociale non è tra le più floride: secondo la Banca Mondiale, nel 2022 il PIL ammontava a 3,515 miliardi di dollari, quello pro-capite era di poco superiore ai tremila dollari annui. Va ancora peggio se guardiamo alla condizione della gran parte della popolazione: ancora nel 2017 le istituzioni internazionali riportavano come l’80 per cento degli abitanti viveva in condizioni di povertà e circa un quinto nell’indigenza più assoluta[1], tanto che per indice di sviluppo umano Gibuti, sempre nel 2022[2], era 171º posto, su 191 nazioni prese in considerazione.

Tuttavia, i soli dati ufficiali – non sempre privi di contestazioni – non sarebbero sufficienti a tracciare un quadro efficace della situazione.

Uno dei dati più agghiaccianti, ripreso anche dall’UNICEF, riguarda le mutilazioni femminili: si calcola che più di nove bambine su dieci siano sottoposte a queste barbarie, nonostante il codice penale (in vigore dalla metà degli anni Novanta) le vieti espressamente, che oltretutto causano spesso la morte delle piccole, viste le condizioni igienico sanitarie praticamente inesistenti in cui vengono praticate; fortunatamente si intravvedono i primi segnali di un cambio di rotta, grazie a una rete di uomini e ragazzi che lotta per l’abolizione di queste orrende consuetudini[3].

Nel paese, a fianco del diritto civile di matrice francese, trova ancora applicazione la sharia, specie nei rapporti familiari, tenuto conto che la quasi totalità degli abitanti professa la fede islamica (religione di stato). E non aiuta il bassissimo livello d’istruzione - ancora nel 2017 circa la metà dei gibutiani era analfabeta – e le precarie condizioni di vita.

Cominciamo col dire che la maggior parte dei cittadini risiede nella capitale Gibuti, e si trova spesso a convivere coi moltissimi migranti, per lo più irregolari (e con stragi in mare all’ordine del giorno[4]), provenienti per lo più dai vicini Etiopia, Somalia e Yemen: nel caso dei profughi provenienti da quest’ultima e sventurata nazione, separata da Gibuti da un tratto di mare lungo meno di 30 chilometri, molto ha inciso il sanguinoso conflitto civile, sul gravano pesantissime responsabilità delle potenze occidentali e regionali[5]. Solo di recente, un accordo tra le autorità yemenite e quelle gibutiane ha permesso una riduzione del 15 per cento dei flussi irregolari, come rilevato dalla stessa Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM)[6].

Inutile dire che il forte afflusso di migranti è all’origine di non pochi problemi di ordine economico e sociale, a cominciare dagli approvvigionamenti di cibo e acqua. I circa centomila profughi provenienti dal Corno d’Africa e dallo Yemen hanno aumentato le tensioni e precarizzato ulteriormente le condizioni di vita dei residenti, accrescendo la dipendenza dagli aiuti umanitari internazionali, per lo più di provenienza europea. Infatti, a causa del terreno e del clima desertico e siccitoso, solo una percentuale infinitesimale (circa lo 0,04 per cento) della superficie è coltivabile, per cui Gibuti dipende quasi completamente dalle importazioni di generi alimentari, a cominciare dal grano russo e ucraino, in parte compromesso dallo scoppio della guerra.

Quale retaggio della dipendenza dalla ex madrepatria, ancora oggi una delle basi militari di Parigi più importanti sul continente nero ha sede a Gibuti; e non è certo l’unica, visto che dal 2002 è stata installata anche la base statunitense di Camp Lemonnier, in grado di ospitare fino a cinquemila militari[7], e perfino un presidio italiano – la base militare di supporto (BMIS) “Amedeo Guillet” [8] – impiegata nel quadro delle operazioni belliche nel Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano. E con l’eccezione della Federazione russa (la cui presenza in terra d’Africa è più che altro concentrata nel Sahel), praticamente tutte le principali potenze militari mondiali hanno un hub nel minuscolo fazzoletto di deserto sotto la sovranità di Gibuti, ovviamente non a caso, in funzione dei rispettivi interessi geopolitici. Tra gli altri, ricordiamo la Cina, il Giappone e l’Arabia Saudita, mentre già si sta parlando di una base indiana e, forse, russa.

Una delle maggiori potenzialità di Gibuti è rappresentata, difatti, dalla sua posizione strategica, non solo dal punto di vista militare, che fa gola a molte nazioni. Lo scalo sul mar Rosso è lo sbocco privilegiato e prioritario per i flussi commerciali da e per l’Etiopia, privata dell’accesso al mare dall’indipendenza eritrea; inoltre, lo scoppio della guerra in Ucraina e le tensioni tra Stati Uniti e Iran, per non parlare delle azioni degli Houthi in contrasto ai massacri di Gaza, hanno accresciuto la rilevanza dello stretto di Bab al-Mandab, quello che divide Gibuti dallo Yemen, congiungendo il Mar Rosso con l’Oceano Indiano, importantissimo per i traffici di petrolio, senza dimenticare che mar Rosso e oceano Indiano fanno da soli circa il 40 per cento dei commerci mondiali. Inoltre, a causa dell’instabilità di Somalia e Yemen, lo scalo di Gibuti ha assunto un ruolo molto importante nelle azioni di contrasto alla pirateria e al terrorismo; nel maggio 2014 il paese subì un attentato ad opera del gruppo terroristico al-Shabaab, che prendeva di mira i militari francesi di stanza a Gibuti.

Il problema è lo stesso che si riscontra sempre parlando di Africa: le enormi potenzialità che abbiamo descritto non vanno minimamente a vantaggio della popolazione, ma solo di potenze straniere e/o della ristretta élite al potere. Basti dire che gli approvvigionamenti appannaggio dei contingenti stranieri, che arrivano dall’estero visto che cibo e acqua in loco scarseggiano, non vengono minimamente destinati ai gibutiani, che patiscono sete e fame, cosa che il governo potrebbe legittimamente pretendere, vista l’ingombrante presenza[9].

Chi occorre ringraziare per questo bel quadretto? Sicuramente incidono la diffusa corruzione e i forti rapporti con l’Occidente e le potenze straniere, che foraggiano un sistema di potere che fa ben poco per il benessere della popolazione.

Per comprendere la storia recente di questo paese occorre partire dalla composizione etnica della sua popolazione. A Gibuti ci sono due etnie maggioritarie: gli Afar, che ci concentrano per lo più a nord e gli Issa del sud, rispettivamente di origine etiope e somala, che parlano per lo più arabo e francese, idioma figlio della lunga dominazione coloniale di Parigi, conclusa solo nella seconda metà degli anni Settanta.

In realtà, nella prima fase della sua storia, che condusse al referendum sull’indipendenza del maggio ‘77, Gibuti vide la collaborazione unitaria delle diverse etnie, riunite nella lega popolare per l’indipendenza (LPAI). Come primo capo dello Stato fu eletto Hassan Gouled Aptidon, di etnia Issa e leader dell'LPAI, mentre primo ministro venne nominato Ahmed Dini, in rappresentanza degli Afar. L’intesa iniziale subì una brusca interruzione a causa di una serie di attentati e incidenti, che condussero già nel 1979 allo scioglimento dell'LPAI da parte di Gouled, per dare vita a un nuovo partito politico, il Rassemblement Populaire pour le Progrès (RPP), divenuto due anni più tardi, in base alla nuova Costituzione, l’unica forza politica legalmente ammessa. Gli Issa si garantirono così il controllo assoluto del paese, estromettendo gli Afar, dando vita a un clima di crescente tensione, destinato a sfociare all’inizio degli anni Novanta in una vera e propria rivolta armata, guidata dal Front pour la Restauration de l'Unité et de la Démocratie (FRUD), capeggiata dall’etnia rivale.

Il clima da guerra civile indusse Gouled a concedere una nuova Costituzione, entrata in vigore nel 1992, che apriva al pluralismo politico, ma che non cambiò le cose. Alle prime elezioni parlamentari, grazie all’esclusione delle principali forze di opposizione, il partito di governo si aggiudicò la totalità dei seggi. La Francia tentò inutilmente una mediazione, respinta inizialmente da Gouled (rieletto per l’ennesima volta nel 1993), che temeva il sostegno offerto da Parigi all’etnia rivale, ma alla fine fu grazie ai buoni uffici della ex madre patria che si giunse a un accordo, entrato in vigore nel 1994, che prevedeva la condivisione del potere politico e militare tra le due etnie e l’amnistia per gli insorti; le milizie impiegate nella guerra civile – in buona parte integrate nelle forze regolari – non ricevettero quasi mai stipendi e pensioni loro promesse.

Le successive elezioni parlamentari, nelle quali i due maggiori partiti – in rappresentanza di Issa e Afar, presentatisi assieme – videro il trionfo del blocco unico, che si aggiudicò la totalità dei seggi. Nel 1999, dopo le dimissioni di Gouled, a prendere il suo posto fu l’attuale capo dello stato, nipote del suo predecessore e primo ministro in carica, Ismail Omar Guelleh, da quel momento sempre riconfermato. Le ultime presidenziali si sono tenute nel 2021 e Guelleh ha prevalso con circa il 98 per cento dei voti, dopo che una riforma costituzionale ha eliminato il tetto ai mandati presidenziali; ad onor del vero, Ahmed Tidiane Souare, capo degli osservatori per conto dell’Unione Africana, ha confermato la libertà delle operazioni elettorali e l’assenza di brogli[10].

Ciò non toglie che l’assetto di potere è tutt’altro che libero. In base al Democracy Index (Indice di democrazia), elaborato dal The Economist per il 2023[11] quello di Gibuti viene classificato come “regime autoritario” (l’Italia era 34esima, su 165 stati), mentre per libertà di stampa si colloca nella posizione numero 143 (su 180), stando ai dati elaborati nel 2024 da Reporter senza frontiere[12]. Tra i “primati” che può vantare il padre padrone di Gibuti segnaliamo il mancato rispetto delle regole democratiche, la violazione dei diritti civili e politici nei confronti delle opposizioni, la diffusa corruzione e il sospetto di favorire traffici illegali.

L’assetto di potere, come accennavamo, viene tenuto in vita dalle potenze che hanno l’interesse a conservare le loro installazioni e interessi a Gibuti.

E di investimenti, invece che di sfruttamento puro e semplice, il piccolo paese avrebbe un grande bisogno, per ricavarne importanti opportunità. Se si pensa che solo grazie alle attività portuali, Gibuti ha registrato una forte ripresa nel 2023 (+6,7 per cento di PIL), si comprende bene che gli spazi esistono; pensiamo alle risorse marine che potrebbero aprire al turismo di massa, ai cavi di telecomunicazione sottomarini che potrebbero sviluppare nuove industrie digitali e di servizi, al potenziale legato a fonti rinnovabili (geotermico, solare ed eolico); perfino le tensioni nel mar Rosso potrebbero accrescere il giro d’affari, come già si è visto agli inizi del 2024, specie per le attività portuali, che restano la principale fonte di ricchezza (per pochi eletti). A tal proposito, a fine 2023 i rappresentanti di Gibuti, Somalia ed Eritrea hanno rifiutato di discutere un accordo portuale che non rispetti la loro sovranità territoriale da parte della vicina Etiopia, che sborsa al piccolo stato africano più di un miliardo di dollari all’anno per usare i suoi scali[13].

Non mancano gli investimenti di matrice cinese. A parte la base installata nel 2016, la prima e finora l’unica detenuta all’estero dal Dragone, Pechino ha investito circa tre miliardi di dollari nel rinnovamento della linea ferroviaria, lunga 760 chilometri, che collega Gibuti con Addis Abeba, operativa da ottobre 2016; un ulteriore contributo per questa infrastruttura è arrivato da un recente accordo tra Etiopia e Banca Mondiale[14]. Inoltre, i cinesi hanno acquistato il 25 per cento delle azioni del porto di Gibuti e i 2/3 del terminal di Doraleh, un’estensione dello scalo della capitale. Nel complesso, Pechino ha investito oltre dieci miliardi nel piccolo paese del Corno d’Africa, pure in vista della creazione di un’area di libero scambio, puntando alla creazione di nuove installazioni civili e militari[15]. Non è improbabile che nei piani di Pechino ci possa essere lo sviluppo di un corridoio infrastrutturale tra Gibuti e la costa occidentale, che passando per il Sahel consentirebbe di attivare un secondo avamposto in direzione dei paesi che si affacciano sull’Atlantico[16]. E non finisce qui, visto che la Hong Kong Aerospace Technology Group Ltd, società privata collegata alla compagnia statale China Great Wall Industry Corporation, ha firmato nel 2023 un accordo col governo per la costruzione di nuove infrastrutture, tra le quali centrali elettriche, impianti idrici, strade, porti marittimi e soprattutto uno spazioporto, con sette rampe di lancio e tre impianti di prova per i propulsori a razzo, che si prevede sarà realizzato entro i prossimi cinque anni e che potrebbe aprire a scenari molto interessanti per installazioni satellitari di primaria importanza [17] .

Eppure, nonostante gli investimenti e le importanti prospettive di sviluppo “Gibuti non è riuscito finora a portare benefici alla popolazione, riempiendo solo le tasche dell’élite politica del paese a causa di una corruzione dilagante del governo di Guelleh, cosa che ha comportato la violazione dei diritti umani”[18]. Inutile ribadire che se o fin quando la dirigenza politica del paese continuerà a favorire le ingerenze straniere, difficilmente questi assetti – e le condizioni di vita della popolazione – potranno migliorare.

Come ha scritto[19] Michele Manfrin per L’Indipendente Gibuti resta un”… paese ad alto valore geostrategico, commerciale e militare, appare l’emblema di un mondo multipolare dove le potenze si confrontano camminando spericolatamente sul filo sottile che separa pace e guerra.”

Come dire un hub strategico, che è il porto di tutti, tranne che dei gibutiani.

FONTI

www.unimondo.org/Guide/Sviluppo/Sviluppo-umano/Gibuti-un-paese-a-due-velocita-164137

www.arte.tv/it/videos/114573-009-A/dietro-le-mappe/

www.treccani.it/enciclopedia/gibuti_res-a8a846a5-a826-11e2-9d1b-00271042e8d9_(Atlante-Geopolitico)/

www.worldbank.org/en/country/djibouti/overview

www.ansa.it/sito/notizie/mondo/news_dalle_ambasciate/2024/05/02/visita-italiana-a-gibuti-per-la-pace-nel-corno-dafrica_b3f644e2-bceb-4951-a83c-c5af96a13635.html

www.ispionline.it/it/pubblicazione/corsa-al-corno-dafrica-interessi-globali-e-competizione-regionale-21371

mondointernazionale.org/focus-allegati/djibouti-una-nuova-dubai-cause-e-limiti-dellascesa-djiboutina

www.africarivista.it/a-gibuti-gli-uomini-lottano-contro-le-mutilazioni-genitali-femminili/222133/

www.internazionale.it/ultime-notizie/2024/04/10/gibuti-naufragio-migranti

www.africarivista.it/migrazioni-misure-gibutine-e-yemenite-riducono-i-flussi/219033/

www.africarivista.it/etiopia-730-milioni-dalla-banca-mondiale-per-il-corridoio-addis-gibuti/220817/

iari.site/2021/04/14/gli-scenari-geopolitici-ed-economici-del-gibuti-di-ismail-omar-guelleh/

www.notiziegeopolitiche.net/etiopia-gibuti-e-eritrea-contrarie-ad-accordi-per-i-porti/

www.limesonline.com/rivista/una-base-a-gibuti-non-si-nega-quasi-a-nessuno-14631168/

www.geopolitica.info/lascesa-di-gibuti-come-hub-militare-strategico/

www.analisidifesa.it/2023/12/la-crisi-del-mar-rosso-e-la-protezione-degli-interessi-italiani/

www.limesonline.com/rivista/il-caos-saheliano-danneggia-la-cina-14647272/

eritrealive.com/lafrica-e-come-la-raccontano-di-daniel-wedi-korbaria/

www.limesonline.com/limesplus/la-cina-investe-a-gibuti-e-punta-allo-spazio-14716407/

www.china-files.com/africa-rossa-in-attesa-del-piano-mattei-la-cina-si-allarga-in-africa/

it.insideover.com/difesa/il-filo-di-perle-cinese-la-rete-di-basi-per-lassalto-ai-mari.html

www.limesonline.com/rivista/l-africa-e-strategica-per-gli-stati-uniti-ma-non-la-capiamo--14647268/

www.lindipendente.online/2021/06/10/litalia-aumenta-le-forze-in-gibuti-il-microstato-da-cui-si-controlla-il-corno-dafrica/

www.remocontro.it/2024/02/17/cina-basi-militari-dafrica-stati-uniti-e-occidente-in-allarme/

www.notiziegeopolitiche.net/gibuti-elezioni-omar-guelleh-e-stato-rieletto-presidente/

www.lindipendente.online/2022/01/17/gibuti-il-piccolo-stato-africano-dove-si-confrontano-le-potenze-mondiali/

[1] www.unimondo.org/Guide/Sviluppo/Sviluppo-umano/Gibuti-un-paese-a-due-velocita-164137

[2] it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_indice_di_sviluppo_umano

[3] www.africarivista.it/a-gibuti-gli-uomini-lottano-contro-le-mutilazioni-genitali-femminili/222133/

[4] www.internazionale.it/ultime-notizie/2024/04/10/gibuti-naufragio-migranti

[5] www.youtube.com/watch?v=CsqCgWz6CjA&t=6s

[6] www.africarivista.it/migrazioni-misure-gibutine-e-yemenite-riducono-i-flussi/219033/

[7] www.africarivista.it/gibuti-non-dara-agli-usa-le-basi-per-interventi-militari-in-etiopia/

[8] www.ansa.it/sito/notizie/mondo/news_dalle_ambasciate/2024/05/02/visita-italiana-a-gibuti-per-la-pace-nel-corno-dafrica_b3f644e2-bceb-4951-a83c-c5af96a13635.html

[9] www.agi.it/estero/news/2022-03-19/gibuti-siccita-si-salvano-solo-i-soldati-stranieri-16045404/

[10] iari.site/2021/04/14/gli-scenari-geopolitici-ed-economici-del-gibuti-di-ismail-omar-guelleh/

[11] www.nigrizia.it/notizia/democrazie-in-pericolo-africa-non-solo-indice

[12] rsf.org/en/index/score-saf?year=2024

[13] www.notiziegeopolitiche.net/etiopia-gibuti-e-eritrea-contrarie-ad-accordi-per-i-porti/

[14] www.africarivista.it/etiopia-730-milioni-dalla-banca-mondiale-per-il-corridoio-addis-gibuti/220817/

[15] it.insideover.com/difesa/il-filo-di-perle-cinese-la-rete-di-basi-per-lassalto-ai-mari.html

[16] www.limesonline.com/rivista/il-caos-saheliano-danneggia-la-cina-14647272/

[17] www.limesonline.com/limesplus/la-cina-investe-a-gibuti-e-punta-allo-spazio-14716407/

[18] GIBUTI. ELEZIONI: OMAR GUELLEH È STATO RIELETTO PRESIDENTE, 11 Aprile 2021, di Alberto Galvi - www.notiziegeopolitiche.net/gibuti-elezioni-omar-guelleh-e-stato-rieletto-presidente/

[19] www.lindipendente.online/2022/01/17/gibuti-il-piccolo-stato-africano-dove-si-confrontano-le-potenze-mondiali/

Le più recenti da Spunti di riflessione

On Fire

Alessandro Orsini - Una risposta, molto rispettosa, a Liliana Segre

  di Alessandro Orsini*  Risposta, molto rispettosa, a Liliana Segre. Il dibattito sul genocidio a Gaza, reale o presunto che sia, non può prescindere dalle scienze sociali. Nel suo...

La doppia Waterloo della Francia

   di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico In più di una circostanza ho scritto che oltre agli USA a vivere una situazione estremamente complessa in materia di conti con l'estero (debito/credito...

Ex analista Pentagono sul vero obiettivo dell'"escalation non necessaria” di Biden

  Come ha riportato ieri il New York Times, che ha citato funzionari statunitensi a conoscenza della questione, il presidente degli Stati uniti d’America, Joe Biden avrebbe approvato l'impiego...

Prof. Jeffrey Sachs: "La situazione è molto più seria di quanto pensiamo"

  In una conferenza tenuta nella capitale armena Yerevan e ripresa oggi da Svetlana Ekimenko su Sputnik, l'economista di fama mondiale Jeffrey Sachs ha dichiarato come il "mondo sia in bilico e sull'orlo...

Copyright L'Antidiplomatico 2015 all rights reserved
L'AntiDiplomatico è una testata registrata in data 08/09/2015 presso il Tribunale civile di Roma al n° 162/2015 del registro di stampa