Michele Blanco*
Il governo intanto ha varato la nuova legge, il decreto “Lavoro”, che prevede sostanzialmente più precarietà, più possibilità di rinnovare, senza causale, contratti a termine
La questione salariale per milioni di italiani è di fondamentale importanza. Ma le retribuzioni, per la stragrande maggioranza dei lavoratori, sono sempre più basse, non garantiscono una vita dignitosa. Infatti le retribuzioni dei lavoratori italiani sono inferiori alla media europea di 3.700 euro all’anno. La differenza diventa di 8.000 euro se il confronto è con i salari dei lavoratori tedeschi. Le paghe lorde ammontano a circa 27mila euro e la differenza con l’Europa è del 12%, quella con la Germania arriva al 23%.
La significativa differenza si percepisce osservando la crescita degli ultimi anni: tra il 2013 e il 2022, le nostre buste paga sono salite solo del 12%, circa la metà della media europea. In realtà tutto questo vuol dire che in quel periodo il potere d’acquisto delle nostre famiglie, considerando l’ inflazione, è sceso del 2%. Inoltre nel nostro paese la quota profitti è passata dal 31% del PIL del 1960 al 40% del 2018 (+29%), la quota salari è scesa dal 68% del 1960 al 53% del 2020 (-22%).
Il 20% più ricco degli italiani detiene oltre 2/3 della ricchezza nazionale (68,6%) mentre il 60% più povero dei cittadini ha appena il 14% della ricchezza nazionale. Il 10% più ricco della popolazione italiana possiede oltre sei volte la ricchezza della metà più povera. Il 5% più ricco degli italiani detiene da solo il 41,7% della ricchezza nazionale mentre l’80% più povero solo il 31,4%. L’1% più ricco possiede il 23,3% della ricchezza nazionale: più di 40 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana. In questo contesto, non idilliaco, si colloca la ferrea presa di posizione del governo Meloni di chiusura netta a ogni ipotesi di salario minimo. Da anni gli stipendi bassi, poi, contribuiscono a diffondere la povertà, specialmente nelle giovani generazioni che più di tutte fanno i conti con il precariato.
Di contro tornano i maxiassegni per 851 ex senatori e 444 familiari di senatori deceduti. L’importo tornerà dunque ad agganciarsi allo stipendio anziché ai contributi versati. Il governo intanto ha varato la nuova legge, il decreto “Lavoro”, che prevede sostanzialmente più precarietà, più possibilità di rinnovare, senza causale, contratti a termine e nuovi sussidi dello Stato sono previsti solo per le imprese. Sempre il governo, dopo l’IRAP e la proposta della flat tax, vuole la riduzione dell’IRES, quindi fine del reddito di cittadinanza e aiuti solo alle imprese, riduzione di imposte, tolleranza ad elusione ed evasione fiscale, con la soppressione delle funzioni pubbliche, talaltro previste dalla Costituzione, a favore di settori privatistici.
La situazione della sanità, poi, sembra emblematica con il taglio sostanziale della spesa pubblica. Infatti è chiaramente scritto nei documenti ufficiali che la spesa sanitaria pubblica è prevista in riduzione dal 6,7% del PIL nel 2023 al 6,3 nel 2024 fino ad arrivare al 6,2 nel 2025. Un recente studio di Mediobanca mette in luce, con estrema chiarezza, il recente rafforzamento della sanità privata.
Nel 2021, 24 operatori sanitari privati hanno realizzato in Italia un fatturato di 9,2 miliardi di euro, in forte e continua crescita rispetto al passato. L’attuale esecutivo anche per il prossimo anno prevede la crescita della spesa militare, dopo l’aumento di spesa per i vitalizi dei parlamentari. Lo evidenziano le stime preliminari dei dati contenuti nelle tabelle dei bilanci previsionali del Ministero della Difesa e degli altri dicasteri che contribuiscono alla spesa militare italiana (ex MISE e MEF), allegate alla Legge di Bilancio 2023 inviata dal Governo al Parlamento: il nuovo incremento complessivo è di oltre 800 milioni di euro.Tenendo conto anche della spesa pensionistica militare netta a carico dell’INPS, in aggiunta alle dotazioni di fondi dei Ministeri, si passa infatti dai 25,7 miliardi previsionali del 2022 ai 26,5 stimati per il prossimo anno.
A trainare l’aumento è il bilancio ordinario della Difesa che passa da 25,9 a 27,7 miliardi in virtù dei maggiori costi del personale di Esercito, Marina e Aeronautica (oltre 600 milioni in più) e delle maggiori risorse dirette destinate all’acquisto di nuovi armamenti (quasi 700 milioni in più). Circa cento milioni di euro in più sono previsti per le amministrazioni e i comandi centrali, nonché per indennità varie. Spese alte sono previste per nuovi armamenti fino a oltre 8 miliardi di euro. Nello stesso tempo la spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2022 la somma record di 2.240 miliardi di dollari complessivi, che corrisponde ad una crescita del 3.7% in termini reali rispetto all’anno precedente.
Lo evidenziano le stime diffuse dal SIPRI di Stoccolma. In cifre si tratta di un aumento di ben 127 miliardi in un anno, che supera di gran lunga i 100 miliardi annui che sarebbero necessari a mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico ma che i governanti degli Stati del mondo non riescono a destinare a tale scopo, per scelte politiche assurde e miopi. Secondo i dati appena diffusi la spesa militare statunitense è aumentata dello 0,7%, raggiungendo gli 877 miliardi di dollari: gli Stati Uniti restano di gran lunga al vertice della classifica, con il 39% della spesa militare globale (tre volte maggiore del Paese al secondo posto, la Cina), mentre più di 50milioni di cittadini non hanno nessuna assistenza sanitaria. Pechino ha aumentato la propria spesa militare per il 28° anno consecutivo (+4,2% a 292 miliardi di dollari) raggiungendo il 13% della quota globale.
A causa del conflitto sul territorio ucraino iniziato con l’invasione decisa da Putin si stima che la spesa militare della Russia sia cresciuta del 9,2% nell’ultimo anno, raggiungendo gli 86,4 miliardi di dollari (terzo Stato al mondo).
L’Ucraina è entrata per la prima volta nella top 15 (all’11° posto) a causa di un enorme aumento del 640% della propria spesa militare. Nel 2022 la spesa militare europea è aumentata del 13%, il più grande incremento annuale nella regione nel periodo successivo alla guerra fredda. La spesa totale di tutti i 30 membri della NATO ammonta a 1.232 miliardi di dollari nel 2022, pari al 55% della spesa complessiva.Tutto ciò sta accadendo, mentre si assiste alla graduale riduzione delle politiche di welfare (sanità e istruzione in primis), all’ inadeguatezza delle retribuzioni e delle pensioni nel fronteggiare l’inflazione, dovuta principalmente alla guerra in Ucraina, all’incapacità nel fronteggiare i costi finanziari e sociali del cambiamento climatico e della mancata tutela dell’ambiente. La portata di questi fenomeni dovrebbe preoccupare tutti i cittadini europei, di qualsiasi idea politica. Non si tratta di marciare per la pace o di riscoprire il ‘sol dell’ avvenire’.
Si tratta, invece, di sapere per quali finalità l’Unione Europea è legata alla crescente militarizzazione dell’Occidente, guidato dagli Stati Uniti. Per il nostro Paese la questione non si fossilizza sulla sopportabilità o meno del 2% del bilancio pubblico destinato alle inutili spese militari, bensì sulla consapevolezza di dove stia andando l’ Europa, quella nata per evitare le guerre e valorizzare il bene comune dei cittadini. La militarizzazione dell’Occidente può implicare, purtroppo, la possibilità di un conflitto mondiale, molto più ampio della guerra in Ucraina.
Essa passa inosservata ma è estremamente preoccupante. Le spese per la difesa, sarebbe meglio dire ‘le spese per la guerra’ aumentano anche in Europa. E rischiano di portare, quanto meno, ad un allargamento del conflitto che in Europa rischia di diventare, dagli effetti, terrificante. Come ha scritto Bauman ci troviamo sempre più “in un mondo [di] decomposizione dei legami umani e della comunità, in cui le unioni tendono a essere considerate come cose destinate a essere consumate”; ora infatti consumeremo le armi che sembrano essere l’unica cosa in cui si fanno investimenti. Invece di investire nel benessere dei cittadini si investe nel benessere dei proprietari dell’industria bellica!
*Articolo pubblicato su “La Fonte periodico dei terremotati o di resistenza umana”, settembre 2023, ANNO 20, n. 8, pp. 18-19.
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