Pagare le tasse in base alla ricchezza

di Michele Blanco*

Le disuguaglianze aumentano, inesorabilmente dal 2020: cinque uomini, Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett, hanno più che raddoppiato il loro patrimonio, da 405 a 869 miliardi di dollari. Se facciamo un rapido calcolo, hanno guadagnato circa 14 milioni l’ora. Allo stesso tempo i 5 miliardi di persone povere sono rimaste lì dov’erano, nella stessa identica povertà, se non aumentata. Questo è quanto emerge dal rapporto Oxfam “Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi”. In questo contesto il sistema democratico erge questi personaggi a esempi da seguire per arrivare al successo personale, mentre chi è povero viene considerato un fallito, nullafacente e un peso per la società. Negli Stati cosiddetti “canaglia” gente come questa è “oligarca”, mentre da noi sono considerati “imprenditori di successo”: fa niente se non pagano mezzo centesimo di tasse in proporzione ai loro veri e propri “furti finanziari”.

Infatti chi è ricco non paga le tasse, l’1% della popolazione più ricco paga sempre meno tasse. Le imposte sono diventate regressive per i più abbienti mentre i redditi per la stragrande maggioranza della popolazione italiana continuano a diminuire. Le disuguaglianze fiscali sono in aumento con i ricchi che in proporzione pagano meno tasse di chi fa fatica ad arrivare a fine mese - 5% degli italiani più abbienti pagano un’aliquota inferiore al 95% di tutti gli altri contribuenti.

Le persone con redditi medio-bassi si impoveriscono ma per i ricchi l’attuale momento storico è sempre radioso e sempre più lo sarà, e lo conferma uno studio serissimo congiunto di Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Università di Milano-Bicocca, pubblicato dalla rivista scientifica Journal of the European Economic Association.

Il sistema fiscale italiano appare solo “blandamente progressivo” e, come sottolinea questo studio, “diventa addirittura regressivo”. Lo studio ha confermato - come si sospettava da tempo - che esistono importanti differenze in relazione alla tipologia di reddito prevalente: sono i lavoratori dipendenti a pagare più imposte, seguìti dai lavoratori autonomi, dai pensionati e, infine, da chi percepisce soprattutto rendite finanziarie e locazioni immobiliari.

Lo studio, fatto con grande serietà e disamina di dati pluriennali, stima che dal 2004 al 2015, mentre il reddito nazionale reale si riduceva del 15%, il 50% più povero degli italiani subiva la maggiore perdita con un calo di reddito di circa il 30%. All’interno del 50% più povero, ad essere più colpiti sono stati i giovani tra i 18 e i 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito. La disuguaglianza di genere risulta significativa per ogni classe di reddito e raggiunge valori estremi nell’1% più ricco della distribuzione, dove “le donne guadagnano circa la metà degli uomini”.

Lo studio della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università Bicocca mostra che il 50% più povero degli italiani maggiorenni detiene meno del 17% del reddito nazionale e vive con meno di 13mila euro all’anno. Invece, sottolinea Elisa Palagi, autrice dello studio e ricercatrice di Economia alla Scuola Superiore Sant’Anna “l’1% più ricco del Paese detiene circa il 12% del reddito nazionale, cioè una media di 310mila euro all’anno, ottenuti soprattutto da redditi finanziari, profitti societari e redditi da lavoro autonomo, in gran parte derivante dal ruolo di amministratori societari. Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie ai redditi da lavoro dipendente. In particolare, i 50mila italiani che compongono lo 0.1% più ricco del Paese detengono il 4.5% del reddito nazionale con entrate medie superiori al milione di euro annuo, cifra che potrebbe essere raggiunta dal 50% più povero soltanto risparmiando l’intero reddito per 76 anni.

L’elemento più preoccupante riguarda il fatto che i ricchi non pagano le tasse come dovrebbero. La minore incidenza fiscale per i redditi più elevati è spiegata principalmente da fattori come l’effettiva regressività dell’IVA (che grava meno sui cittadini abbienti che risparmiano di più; dal minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100mila euro; dalla maggiore rilevanza per i contribuenti più ricchi delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari, tassati con un’aliquota del 12% o del 26%. Lo studio ha messo in luce “la necessità di avviare una profonda e seria discussione sullo stato attuale dell’iniquo sistema fiscale italiano. L’evidenza di una regressività che favorisce solo le fasce di reddito più elevate sottolinea l’urgenza di riforme mirate che non penalizzino i redditi più bassi, ma mirino a correggere gli squilibri presenti riducendo le disuguaglianze e promuovendo una distribuzione del carico fiscale in modo proporzionato”. Ma tutto quanto viene proposto al dibattito attuale, la flat tax e la riduzione delle aliquote vanno nella direzione diametralmente opposta.

Secondo l’ex Segretario al Lavoro americano Robert Reich durante la presidenza Clinton, la disuguaglianza, anche quella che si sta affermando nel nostro Paese, si è imposta con tale forza da far vacillare crescita economica e democrazia. Esistono collegamenti tra povertà e prosperità, esigenze di sviluppo e politiche sociali e si impone un ragionamento sulle regole del gioco, la governance economica e una emergente tendenza che il rapporto analizza con metodo, ovvero l’incontrollata espansione del settore finanziario, anche nella arena della agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Cosa fare per contrastare la disuguaglianza? Diversi studi realizzati negli ultimi anni ritengono indispensabili alcune caratteristiche: fondamentale sarebbe un sistema fortemente progressivo per il pagamento delle tasse, con una tassazione più gravosa per le rendite finanziarie in modo tale da dare una spinta all’economia reale; importanti per una effettiva riduzione delle diseguaglianze sono misure come il miglioramento nell’accesso all’istruzione con un incremento nell’offerta di servizi pubblici e l’adozione di un salario minimo garantito. Come si vede si tratta di strumenti che richiedono un deciso intervento pubblico, spesso non gradito a chi detiene il potere economico finanziario (e la ricchezza) e difficile da attuare in un contesto di scarsità di risorse pubbliche e di limitazioni poste alla spesa pubblica.

Il World Social Report di UNDESA sottolinea in particolare come l’accesso universale all’istruzione sia la vera chiave per prevenire e contrastare le disuguaglianze. Tuttavia, occorre che il sistema educativo sia davvero accessibile a tutti altrimenti il rischio è di esacerbare le disuguaglianze. È impor tante agire su tutte le forme di disuguaglianza, non solo quella economica: tutte le forme di discriminazione che ostacolano la partecipazione sociale ed economica dei gruppi svantaggiati - donne, disabili, minoranze etniche - devono essere rimosse. Sono tutti processi a lungo termine, ma non c’è altra strada se si vogliono ridurre le disuguaglianze ed evitare che le conseguenze generino crescenti conflitti sociali.

In Europa, i Paesi con la ricchezza più equi-distribuita sono i paesi scandinavi, la Germania e addirittura alcuni paesi dell’est (Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca), con un indice di Gini compreso tra lo 0,25 e lo 0,30. La forza dell’economia tedesca e il sistema di welfare in vigore nei paesi nordici sono i fattori determinanti dell’equa ridistribuzione del reddito. Nel resto del mondo, l’unica “grande potenza” ad avere un indice di concentrazione così basso è il Giappone. In Italia negli ultimi venti anni, l’indice di Gini ha toccato il suo punto più basso nel 2001, quando era a 0,29, indice di una società più egualitaria. Da allora ha continuato a salire, seppur con fasi alterne, fino allo 0,331 del 2016, dato più alto degli ultimi venti anni.

In conclusione, lo studio ha messo in luce la necessità di avviare una profonda e seria discussione sullo stato attuale dell’iniquo sistema fiscale italiano e la necessità di una riforma in chiave più inclusiva, capace di sostenere una crescita economica sostenibile. Cosa aspettiamo a provare ad invertire questa preoccupante tendenza?

*Articolo già pubblicato su "La Fonte periodico dei terremotati o di resistenza umana", aprile 2024, Anno 21, n. 4, pp. 18-19.

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