II mondo multipolare sta nascendo

di Michele Blanco*

L'attuale situazione politica mondiale vede con grandi probabilità, nei prossimi decenni, un nuovo possibile “ordine” globale con nuovi emergenti equilibri politici ed economici. L’assetto geopolitico del mondo sta inesorabilmente cambiando. Il periodo storico che stiamo attraversando sembra, sempre più, un periodo di transizione, nel quale si assiste al passaggio da un assetto fondamentalmente unipolare a uno probabilmente multipolare.
Molti tra i Paesi che per lungo tempo abbiamo definito, con un certo grado di arroganza tipica delle élite occidentali, “Terzo mondo” stanno acquisendo sempre più voce e forza economica nel contesto internazionale, contribuendo all’instaurarsi di questo nuovo equilibrio.
Ma quali dinamiche stanno rendendo tutto questo possibile? Dove affondano le radici storiche di tale cambiamento? Chi tutelerà le popolazioni da questo frammentarsi di poteri - e quindi, potenzialmente, dal possibile moltiplicarsi degli oppressori?
Che il mondo si avvii a diventare multipolare è un dato di fatto della storia, reso ovvio dall’ascesa economica, politica e militare di nuovi attori globali. Cina, India, le varie monarchie arabe del Golfo, Brasile, Turchia, Russia, Sudafrica ed altri ancora sono i Paesi che chiedono una ridefinizione dell’ordine mondiale stabilito alla fine della seconda guerra mondiale; considerando la caduta dell’Unione Sovietica, oggi sostanzialmente l’ordine risulta basato su leggi, regole e organizzazioni sovranazionali progettate e controllate dagli Stati Uniti d'America.
Fino ad oggi quando i mass media dominanti d’Occidente vagheggiano di ciò che pensa o decide la comunità internazionale in realtà definiscono con questo termine un limitato gruppo di Stati che rappresenta appena 1,3 miliardi di cittadini del mondo - quelli che risiedono nei Paesi occidentali più Giappone, Australia e Nuova Zelanda - mentre altri 6,7 miliardi sono esclusi dal privilegio di vedersi rappresentati in questo club esclusivo che parla, o vuole convincere di farlo, a nome del mondo intero.
Si tratta di una disparità che ha retto fino a che i Paesi di questa maggioranza di cittadini del mondo potevano essere considerati poveri, in gran parte sottomessi, o in via di sviluppo e, anche, divisi tra di loro, ma ormai molti di questi sono potenze reali con economie forti e in piena espansione, eserciti moderni e tecnologie all’avanguardia. Lo hanno capito benissimo e si stanno organizzando.
L’alleanza dei paesi BRICS è un raggruppamento delle economie mondiali emergenti formato dai Paesi del precedente BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) con l'aggiunta di Sudafrica (nel 2010) e di Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti (nel 2024). L'acronimo originale "BRIC" fu coniato nel 2001 dall'economista della Goldman Sachs, Jim O'Neill, per descrivere le economie in rapida crescita che avrebbero, secondo la sua previsione, dominato collettivamente l'economia globale entro il 2050.
Come è normale che sia, questi Paesi vogliono non solo entrare, con potere decisionale, a far parte della comunità internazionale, ma anche riuscire ad avere voce in capitolo per ridiscuterne e cambiare le regole. Stati Uniti e i suoi supini alleati potranno decidere se aprire la porta negoziando oppure aspettare che venga inesorabilmente sfondata: il risultato finale evidentemente non cambierà. Come in ogni fase storica di ridefinizione degli equilibri globali, un nuovo ordine mondiale con grande probabilità sorgerà.
Si auspica con un negoziato pacifico, perché l’alternativa sarebbe un allargamento degli innumerevoli conflitti in corso, come in Ucraina (e per procura in Medio Oriente e in tantissime nazioni africane) che, passando per Taiwan, potrebbe addirittura portare a una nuova guerra mondiale. Questo il quadro che praticamente tutti gli analisti seri, indipendenti della geopolitica danno per scontato. Di fronte a questo scenario di inevitabile ridefinizione degli equilibri politici ed economici globali c’è chi si dispera per l’unilateralismo occidentale perduto e chi festeggia per l’ascesa di nuove potenze.
Certo, un mondo multipolare è maggiormente rappresentativo delle varie potenze presenti e potenzialmente più equo e, si spera, ovviamente più democratico. Ma molto probabilmente però il nuovo ordine globale, purtroppo, non sarà automaticamente un mondo più giusto e con maggiore redistribuzione delle ricchezze. Fino ad oggi l’umanità non è ancora riuscita a liberarsi di una logica, purtroppo, atavica che gli equilibri tra Stati si regolano oggi allo stesso modo, identico, di cento come di mille anni fa: attraverso la legge di natura che vige nel mondo animale, dove il più forte cerca di dominare i più deboli con la forza e la sopraffazione.
Se non si supera questa logica, la differenza tra un mondo unipolare e uno multipolare risiederà solo nel fatto che nel primo c’era un unico soggetto dominante e nel secondo ci saranno più potenze a contendersi pezzi di pianeta da assoggettare alle proprie sfere d’influenza. Il nuovo ordine mondiale rischia così di essere una riedizione di una logica vecchissima e per miliardi di umani la realtà continuerà ad essere quella che oggi vivono le popolazioni africane, indigene, palestinesi, curde e di tanti altri popoli ancora: vivere sotto il dominio diretto o neocoloniale di una potenza estera più forte. Per chi ha a cuore un mondo più giusto, egualitario, caratterizzato da un futuro di pace, tolleranza e emancipazione umana bisogna auspicare la nascita di un equilibrio realmente e radicalmente nuovo.
Come ci ha indicato il grande giurista italiano Luigi Ferrajoli, un’alternativa istituzionale e politica è assolutamente possibile e la sua stella polare è una nuova e giusta “Costituzione della Terra”.
Bisogna assolutamente chiarire che non si tratta di un’ipotesi utopistica. Al contrario, è la sola risposta veramente razionale e realistica possibile allo stesso dilemma che Thomas Hobbes affrontò quattro secoli fa: la generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure il patto di convivenza pacifica, tra tutti gli essere umani, basato sul divieto assoluto della guerra e sulla garanzia dell’abitabilità del pianeta e perciò della vita di tutti. La vera utopia certamente sbagliata è l’idea assurda che la realtà possa rimanere così com’è: questa è l’ipotesi più inverosimile e, soprattutto, pericolosa se non disastrosa, per il futuro dell’intera umanità.
È una illusione molto ingiusta quella di poter continuare a fondare, con la grande indifferenza che attualmente mostriamo, le nostre democrazie occidentali e il nostro tenore di vita sulla fame, lo sfruttamento e la miseria sbagliata e irrazionale del resto del mondo, sulla forza delle armi e sullo sviluppo ecologicamente insostenibile e distruttivo delle nostre economie. C’è necessità di una Costituzione della Terra che istituisca un demanio planetario a tutela dei beni vitali della natura, metta al bando le armi, a cominciare da quelle nucleari, che introduca un fisco globale che faccia pagare le giuste tasse a tutti. Con nuove e idonee istituzioni globali di garanzia in difesa delle libertà fondamentali e in attuazione dei diritti sociali, come istruzione garantita per tutti, sanità gratuita per tutti, si può realizzare un vero universalismo dei diritti umani, assicurare la pace e, condizione fondamentale, la vivibilità del pianeta e la sopravvivenza dell’umanità nella giustizia sociale ed economica.
Una Costituzione della Terra non è assolutamente un’utopia: è l’unica strada realistica, razionale, per salvare il pianeta, per affrontare e diminuire la crescita delle disuguaglianze e la morte di milioni di persone nel mondo per fame e mancanza di farmaci e cure adeguate, per occuparsi del dramma immenso delle migrazioni forzate, per difendersi dai poteri selvaggi che minacciano la sicurezza dell’intera popolazione mondiale con i loro armamenti nucleari.

*Già pubblicato su "La Fonte periodico dei terremotati o di resistenza umana", giugno 2024, Anno 21, n. 6, pp. 20-21.

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