Il Secondo Olocausto e le Nazioni Unite - Pino Arlacchi



di Alessandro Bianchi



"Sono diventato pessimista sull’esito della partita Israele-Palestina". Pino Arlacchi, ex vicesegretario generale e Direttore del programma antidroga e anticrimine dell’ONU torna a dialogare con "Egemonia". Uno dei più noti sociologi e criminologi a livello mondiale, cultore delle materie internazionalistiche e in particolare delle dinamiche delle Nazioni Unite, autore di saggi importanti su terrorismo e finanza, a Pino Arlacchi abbiamo chiesto di aiutarci ad inquadrare il massacro israeliano in atto alla luce del diritto internazionale e, soprattutto, offrire proposte concrete che potrebbero essere prese per dare al regime di Tel Aviv una pressione internazionale che oggi manca.


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L'INTERVISTA



Sulla definizione del massacro in corso da parte di Israele si dibatte molto sul termine da utilizzare. Come lo definirebbe Lei alla luce del diritto internazionale?

"La rottura dell’ultimo tabù al riguardo è stata la delibera della Corte internazionale di giustizia che ha definito i massacri di Gaza un tentato genocidio. Pochi si sono accorti delle conseguenze di questa svolta. Media e governi occidentali -nonché il Palazzo di Vetro- hanno immediatamente calato il sipario sul tema. La svolta è stata, in realtà, il riconoscimento di un fatto talmente imbarazzante da non poter essere accettato, in precedenza, neppure da molti critici del sionismo. Non si può più negare che quanto avviene davanti ai nostri occhi è il tentativo di sterminare un popolo e non la vendetta per una catastrofe subita un anno fa. Non siamo di fronte ad un eccesso di legittima difesa. Sono d’ accordo con chi definisce la carneficina dei palestinesi come un secondo Olocausto. Le proporzioni sono ancora diverse rispetto ai 6 milioni di vittime dell’epoca di Auschwitz, ma è solo questione di tempo. Non mi riferisco solo alle atrocità che devono accadere, ma anche a quelle di 76 anni passati."


Un secondo olocausto? Quali le maggiori similitudini con il primo?

Non ci sono qui camere a gas, ma sono all’ opera gli stessi infernali meccanismi del primo Olocausto. Il padre degli studi sul genocidio, Lemkin, ha elencato 9 caratteristiche del genocidio, osservabili tutte e nove nel comportamento del governo e dell’esercito israeliano a Gaza. Ciò che mi ferisce in modo speciale è l’annichilimento della dimensione umana, l’assimilazione delle proprie vittime agli animali. Un volantino nazista del 1941 così esprimeva uno stato d’animo diffuso nell’esercito tedesco: << insulteremmo gli animali se descrivessimo questi uomini ebrei come bestie. Essi sono l’incarnazione dell’odio satanico verso l’intero genere umano>>.


Ci ricorda qualcosa...

Il ministro della difesa Gallant, 82 anni dopo, ha dichiarato: << Stiamo combattendo contro animali umani, e dobbiamo comportarci di conseguenza >>. Netanyahu ha dissentito affermando che lui non definiva i militanti di Hamas come animali umani perché ciò avrebbe insultato gli animali. Il vice-presidente del Knesset ha scritto che Gaza andrebbe cancellata dalla faccia della terra, per poi dichiarare che a Gaza “non ci sono persone non implicate, dobbiamo andare lì ed uccidere, uccidere, uccidere. Dobbiamo ucciderli prima che loro uccidano noi”. Un veterano di guerra novantacinquenne – nel ricevere un’onorificenza da parte del presidente Herzog per avere fornito un “esempio meraviglioso a generazioni di soldati” - ha esortato le truppe che si accingevano ad invadere Gaza a “spazzare via le loro memorie, le loro famiglie, le loro madri ed i loro figli”.


L’uso della violenza totale per distruggere un’intera popolazione ridotta ad un’entità subumana alla base della logica genocidale di Israele. Però questa non è una logica che inizia il 7 ottobre?

Se adottiamo la chiave di lettura genocidiale, dobbiamo riconoscere che lo sterminio palestinese parte dalla “Nabka” la catastrofe del 1948 da cui è nato lo Stato di Israele. Il suo atto fondativo ha visto 700mila palestinesi cacciati con la violenza dalle loro case e dalla loro terra dalla milizia sionista che divenne l’esercito di Israele. Tutto ciò facendosi beffa dei piani di insediamento stabiliti dall’ ONU, ed inaugurando una catena di crimini e di illegalità che arriva fino ai nostri giorni. E che sta alla radice della fondazione dello stato di Israele nonchè di Al Fatah, Hamas, Hezbollah e simili. Alle 700mila vittime della Nabka vanno aggiunte quelle dei massacri successivi: 1956 Kafr Qassim, 1982 Sabra and Shatila, 1999 Kafr Qana, 2002 Jenin, più i tre assalti a Gaza precedenti, le tre invasioni del Libano e lo stillicidio di morti palestinesi durante le Intifada, in Cisgiordania, Gerusalemme, Israele. Pulizie etniche e soprusi della vita di tutti i giorni per 76 anni di fila. Si raggiunge presto la cifra di almeno 900mila morti e un paio di milioni di feriti. Non siamo ai 6 milioni del primo Olocausto, ma la qualità è la stessa.

Su questo punto però la propaganda che cerca di legittimare lo sterminio in corso a Gaza usa il mantra "ci sono anche le vittime israeliane". Cosa risponde?

Le vittime israeliane sono una frazione di questa cifra. Gli scontri con i palestinesi ed i loro sostenitori hanno visto cadere pochissimi israeliani. Nel 1967, durante la guerra dei 6 giorni, ci sono state 15mila vittime dal lato arabo e 700-800 dal lato di Israele, tra cui solo 20 civili. La guerra del Yom Kippur del 1973, ha significato altre 15mila perdite arabe e 2.600 israeliane. A Gaza il 7 ottobre dell’anno scorso si sono verificate per la prima volta 1200 vittime civili israeliane più 350 perdite militari nell’ ultimo anno, contro 42mila civili palestinesi che includono un paio di migliaia di combattenti di Hamas. La proporzione è di 1 a 27. Ma il genocidio secondo il diritto internazionale non si misura solo con il numero delle vittime. È una tipica guerra occidentale post-1945, con poche vittime dalla parte più forte e la devastazione dall’altra parte. Dopo la seconda guerra mondiale gli occidentali hanno fatto sempre guerre a basso costo di vite umane per loro, contrapposte a un costo altissimo per i loro avversari. Guerre tutte inutili, sporche, oscene, perse regolarmente dai perpetratori sul piano militare o su quello politico. La guerra in Iraq iniziata nel 2003 è costata meno di 5mila caduti dal lato americano e un milione di morti tra civili e militari iracheni. Una vittima USA contro 200. Il calcolo per la guerra in Afghanistan è di circa uno a 90.


Molti più morti, in percentuale, che a Gaza oggi...

Si sa che gli americani fanno sempre le cose in grande. Ma dopo il genocidio degli indiani, si sono limitati a compiere un solo atto analogo, nel 1945, usando lo strumento genocidiale per eccellenza ad Hiroshima e Nagasaki. Ci furono “solo” 200mila morti, ma è in quelle circostanze che si è avverata l’idea dell’annichilimento dello stesso genere umano


A proposito di nucleare. La grande incognita oggi di tutti è la possibilità che Israele possa arrivare ad utilizzare l'atomica nei suoi deliri di violenza. La ritiene una opzione credibile?

C’è chi lo dice e lo auspica. Ma si tratta per fortuna di voci paranoidi e psicopatiche dell’estrema destra di Tel Aviv. Per adesso, non credo a questa ipotesi. Ma con prudenza. Perché prima di Gaza non credevo neppure all’ipotesi di un genocidio contro i palestinesi. Da studioso delle relazioni internazionali mi rendevo e mi rendo conto delle conseguenze legali che ha la definizione di genocidio. Nel caso di un genocidio certificato, scatta l’obbligo di intervento per i paesi che hanno firmato la Convenzione contro il genocidio. Ed è proprio ciò che questi paesi si sono rifiutati di fare nel 1994 di fronte al caso Rwanda, che somiglia a Gaza proprio per il fatto di essersi svolto davanti agli occhi di tutti. Il vigliacco escamotage usato per non alzare un dito fu che si trattava di semplici massacri.


Ripeto la domanda. Israele potrebbe arrivare ad usare l’atomica?

Israele non userà l’atomica a meno che non voglia finire come il Nazismo, con la propria autodistruzione fisica. Chiunque usa l’atomica si espone a un contrattacco atomico. La guerra nucleare non può essere vinta. Ma Netanyahu sta tentando di spingere l’Iran proprio in quella direzione. Senza riflettere sulla dimensione suicida di uno scontro atomico tra un paese di 10 milioni scarsi di abitanti contro uno di 91 milioni, che può procurarsi le testate in pochi mesi e che in situazioni estreme può contare sull’appoggio di tutte le nazioni che circondano Israele.

Lei è sicuramente uno dei massimi esperti delle Nazioni Unite in Italia. Ha ricoperto posizioni apicali in quell'organizzazione e conosce bene i meccanismi decisionali che la muovono da dentro. La sua incapacità di dare risposte rispetto al massacro di Gaza indigna al punto che sempre più persone si chiedono a ragione che senso abbia oggi l'ONU. Che ruolo secondo lei dovrebbero giocare le Nazioni Unite e quali decisioni dovrebbero prendere?

L’ONU ha scritto in Rwanda la pagina forse più vergognosa della sua storia. Le Nazioni Unite erano presenti sul posto con un contingente militare in grado di stroncare sul nascere un bagno di sangue costato 800mila vite umane in pochi mesi. Ma era una missione di “peace keeping” e non di “peace enforcing”: fu questa l’incredibile versione che fu offerta dal quartier generale dell’ONU per rifiutare la richiesta di intervento da parte del generale canadese che comandava i caschi blu. Arrivato all’ONU nel 1997, ho dovuto subito prendere atto del divieto assoluto di fare domande sul Rwanda. Se ci provavo, mi si intimava di occuparmi delle mie faccende di droga e di mafie, trascurando il fatto che come Vicesegretario Generale avevo il diritto di ficcare il naso dovunque ritenessi opportuno>>.


Anche il caso Israele-Palestina può finire come il Rwanda?

È più difficile. Qui c’è la pronuncia della Corte internazionale di Giustizia dello scorso luglio che può finire anche con una condanna di Israele. E c’è una maggioranza globale di paesi e di persone inorridita dal macello di innocenti a Gaza. Quanto può durare la copertura americana e dei media occidentali di fronte ad un’opinione mondiale schierata sempre più in difesa dei palestinesi?.


Cosa può fare dunque l’ONU?

Sto già proponendo di espellere Israele dall’ Assemblea generale, come già avvenuto con il Sudafrica dell’apartheid nel 1974. Occorre stabilire un embargo mondiale alla fornitura di armi a Israele. Per finire con una conferenza internazionale che determini una soluzione del conflitto tra Tel Aviv e il resto del mondo attraverso metodi che prevedano anche l’uso della forza. Sono pessimista anche perché non ci sono i leader, gli statisti all’ altezza della situazione. In Sudafrica c’era un uomo del calibro di Nelson Mandela, che arrivò al punto, da ex capo dell’ala terroristica dell’ANC, di imporre ai suoi di riconciliarsi con i torturatori bianchi pur di raggiungere la pace. Nethaniau è da ricovero. Biden, beh, lasciamo stare. E lasciamo stare anche la Von der Layen. Trump ha scarso senso della realtà perchè crede che se vince comanderà l’America, nonostante i tre avvertimenti che lo Stato Profondo gli ha già inviato. Il Segretario Generale dell’ONU si è fatto dichiarare persona non grata da Israele solo per avere fatto il 10% di quanto avrebbe potuto fare adoperando le sue prerogative. Papa Francesco è l’unico che si salva, ma la sua è una autorità morale che non può scendere troppo in campo>>.

Nell'incapacità della comunità internazionale di dare risposte efficaci nel breve periodo, siamo costretti a dipendere dalle follie estremiste del regime di Tel Aviv. Quali saranno secondo Lei le prossime mosse del governo Netanyahu? E avranno successo?

Stanno cercando l’autodistruzione, fisica e politica. Su quella politica sono già molto avanti, essendo lo stato-paria del pianeta. La Corea del Nord può almeno contare sulla Russia e sulla Cina. Israele ha solo gli USA. I suoi dirigenti hanno in testa due cose, entrambe impossibili da raggiungere. La prima è quella di togliersi di mezzo i palestinesi, sterminandoli e/o costringendoli a fuggire da Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme. Ma i palestinesi residenti sono 5 milioni. E ce ne sono altri 6 milioni fuori, nella diaspora. Sono troppi per essere eliminati. Una soluzione finale richiederebbe risorse tecniche - di sterminio e dispossessamento – enormi, fuori dalla portata di Israele. Senza contare la reazione dei popoli confinanti che finirebbero con l’obbligare i propri governi ad azioni in favore dei palestinesi ben più concrete di quelle adottate finora. La seconda idea è quella del “Grande Israele”, il vecchio delirio sionista di un Israele dal fiume Giordano al Mediterraneo ripreso ogni tanto da Netanyahu - che mostra le relative mappe in televisione - e da altri squilibrati che parlano di arrivare fino all’ Eufrate passando per l’annessione di un bel pezzo di Arabia saudita.

Ma non c’è dissenso interno verso questa follia?

Questo è l’aspetto della questione che più stimola il mio pessimismo. Sono profondamente rattristato dal dover prendere atto della completa incapacità della società israeliana di provare qualunque empatia per la popolazione di Gaza. La gente in Israele non vuole sapere, si rifiuta di sapere ciò che accade a Gaza. La televisione israeliana parla solo dei soldati-eroi caduti, del mumero di terroristi di Hamas “liquidati” quel giorno. Solo ogni tanto fa riferimento agli innocenti massacrati e solo per collegarli alla propaganda nemica e alle fastidiose pressioni internazionali. I tempi delle decine di migliaia di israeliani che scendevano in piazza per protestare contro il massacro di Sabra e Shatila commesso dalle milizie cristiano-maronite assistite dall’ esercito israeliano sono tramontati.

La mancanza di empatia da parte di chi comunque non può non sapere è un altro aspetto che ci riporta al primo Olocausto...

Si. Certo. E’ l’aspetto più paradossale, agghiacciante, dei genocidi. L’ indifferenza semi-consapevole, la riluttanza ad ammettere ciò di cui si è testimoni, l’anestetizzazione delle emozioni più elementari che si scatenano di fronte al male e al dolore assoluti. E’ un argomento che studio da tempo. Proprio a questo proposito ho letto di recente la testimonianza di un carceriere-torturatore dei Kmer rossi cambogiani: << Mi sono trovato proprio in quel posto. Un’immensa prigione! Ma io non ho voluto conoscere o vedere i tormenti di quelli che c’erano dentro. Sono andato via. Sono stato proprio lì dentro, ma non ho voluto vedere lo strazio. I miei sentimenti mi hanno impedito di vederlo. Anche se l’ho avuto davanti agli occhi, non gli ho prestato attenzione>>.

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