La difesa dei simboli e della memoria storica della rivoluzione sandinista – l’ultima rivoluzione del secolo scorso – salta immediatamente agli occhi del visitatore, in Nicaragua. Una forza che nessun detrattore, interessato all’idea che non esistano alternative al capitalismo, ha potuto occultare, e che continua a orientare le scelte del governo diretto dal presidente, Daniel Ortega, e dalla vicepresidenta, Rosario Murillo.
L’esempio dei compagni e delle compagne che hanno messo la propria vita al servizio di una causa superiore, sacrificandola per il riscatto delle classi popolari, brucia come uno schiaffo su quanti, nella sinistra perbene d’Europa, hanno scavato una voragine anomica e complice, consentendo a vecchi e nuovi fascismi di ammantarsi un presunto “radicalismo antisistema”.
La memoria è una bussola per il presente, e permette anche di correggere per tempo il tiro, quando il nemico cerca di spingerti verso l’abisso. E così, durante il nostro viaggio nello splendido paese di Sandino, parlando senza censure con molte persone comuni, alcuni giovani ci hanno detto di essersi accorti della trappola in cui erano caduti o stavano per cadere nel 2018, quando l’imperialismo Usa ha provato a scrivere anche in Nicaragua un altro triste capitolo delle sue “rivoluzioni colorate”.
Senza riuscirci. E non per caso. La storia del sandinismo vive nelle strade, nei simboli e nei racconti di chi ha vissuto quei tempi o di chi li ha ascoltati e capiti. Per celebrare il sacrificio di Carlos Alberto Fonseca Amador, caduto combattendo la dittatura di Somoza l’8 novembre del 1976, sono poi sorti molti collettivi, comitati e associazioni di sostegno internazionalista, che portano il suo nome, anche in Europa.
Ma a ricordarlo oggi, nel modo in cui sarebbe piaciuto a un rivoluzionario come lui, sono principalmente i popoli del Sud globale, che accompagnano la resistenza del Nicaragua all’interno dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli delle nostre Americhe, fondata da Cuba e dal Venezuela. Il messaggio di Daniel e Rosario è stato trasmesso al Congresso mondiale contro il fascismo, il neofascismo e altre espressioni simili, che si è svolto a Caracas lo scorso settembre, e da cui è nata la proposta di una Internazionale antifascista, antimperialista, anticolonialista e antipatriarcale. E molti deputati sandinisti stanno partecipando al Congresso mondiale dei parlamentari, in corso in questi giorni nella capitale venezuelana, da cui si organizzerà una piattaforma permanente con cui contrastare in concreto scelte e menzogne dell’imperialismo e dei suoi alleati.
La scelta di campo del governo sandinista, che ha alzato la sua voce anche in contrasto con l’ipocrisia dei “tiepidi” presidenti latinoamericani, come si è visto durante il vertice dei Brics in Russia, e con lo sgambetto nei confronti dell’entrata del Venezuela nell’organismo da parte del Brasile, lo ha esposto all’ostracismo e alla demonizzazione, sia dell’imperialismo Usa che della sinistra neoliberista a lui subalterna, in Europa.
Per questo, celebrare l’esempio del rivoluzionario Carlos Fonseca, scrittore e docente, fondatore del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, insignito post-mortem del titolo di eroe nazionale, e Comandante in capo della Rivoluzione popolare sandinista, non significa solo onorare una medaglia. Significa ricordare, nel concreto della lotta internazionalista, il prezzo che si paga per i propri ideali. Significa guardare in faccia con realismo ma sempre con gli occhi fissi all’orizzonte, le porte strette per cui si deve passare, almeno finché non vi sarà un risveglio delle classi popolari europee. Significa capire a fondo la pervicace molteplicità del nemico, deciso a demonizzare il socialismo in tutte le sue forme. Significa, però, soprattutto, ribadire che quel nemico lo si può vincere, e che l’organizzazione dei popoli in lotta, scansando le trappole dei becchini della memoria, ha il compito di scavargli la fossa.
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