di Leonardo Sinigaglia
Si è svolta sabato a Roma presso l’hotel Adesso la conferenza “Voci dell’Africa: verso una prospettiva multipolare”, organizzata da Indipendenza, Generazione Z, SocIt e Contronarrazione. A questo evento hanno partecipato diverse realtà ed esponenti del mondo politico ed intellettuale africano, che hanno aiutato ad inquadrare la sempre più accanita lotta per la decolonizzazione e la liberazione del proprio continente nel più ampio scenario della costruzione di un mondo multipolare e dell’abbattimento del sistema imperialista egemonico statunitense.
Dopo la mia introduzione a nome del comitato promotore, il primo a prendere la parola è stato il saggista di successo e commentatore geopolitico congolese Patrick Mbeko, il quale ha esposto come l’arroganza delle classi politiche occidentali impedisca a queste di rendersi pienamente conto delle grandi trasformazioni in atto nel mondo, facendole rimanere legate a prospettive antiquate di dominazione e sfruttamento. Questa incapacità non riguarda unicamente i rapporti internazionali, ma penetra profondamente in seno ai paesi occidentali, dove le rivendicazioni della gente comune, fatto assai pericoloso, non vengono comprese, per essere ignorate o represse. L’aggressività degli USA e dei propri alleati è destinata ad aumentare per Mbeko, poiché, come cani feriti e messi all’angolo, sono pronti anche a reazioni avventate pur di tentare di salvaguardare disperatamente la propria egemonia. Dalla parte opposta della barricata troviamo Russia e Cina, impegnate nell’accompagnare l’imperialismo verso la propria tomba, ma anche la grande massa dell’Umanità, sempre più apertamente ostile alle politiche egemoniche, anche e soprattutto dopo il punto di svolta rappresentato dall’aggressione della Libia nel 2011 e all’assassinio di Gheddafi.
Successivamente ha preso parola Awa Koundou, vice-coordinatrice romana del partito politico senegalese Pastef, attualmente in lizza per le elezioni nonostante l’esclusione del proprio candidato Ousmane Sonko, ostile all’attuale regime e alla sua sudditanza all’interesse francese. Awa Koundou ha esortato i popoli africani a ritrovare la propria dignità e la propria dignità, opponendosi a quei governi che, prendendo ordini direttamente da Parigi, svendono il proprio paese, le sue risorse e il futuro dei suoi abitanti. Per quelli non esiste un limite alla sudditanza, e sono disposti persino a far arrivare armi dall’Occidente per fomentare scontri e guerre civili pur di difendere la propria posizione di servi privilegiati.
E’ stata poi la volta di Bobou Charles Wognin, responsabile per l’Italia del Movimento delle Generazioni Capaci della Costa d’Avorio, fondato dall’ex-moglie del passato presidente ivoriano Laurent Gbagbo, Simone Gbagbo. Il suo intervento si è concentrato sulla storia recente della Costa d’Avorio e il ruolo avuto dall’Occidente, Francia in testa, nella destabilizzazione del paese che portò a una violenta guerra civile tra 2002 2007 e, nuovamente, tra 2010 e 2011. Wognin ha esposto come l’allora presidente Gbagbo, sottraendo la Costa d’Avorio al controllo degli imperialisti, fosse diventato per i governi occidentali un nemico da abbattere, a priori dal possibile costo umano e materiale.
A parlare della situazione congolese è invece intervenuta Candide Okeke, vicepresidente di Apareco, l’Alleanza dei Patrioti per la Rifondazione del Congo, organizzazione di resistenza che lotta contro le autorità neocoloniali di Kinshasa. E’ proprio riguardo alla natura di questi regimi che i popoli africani devono prendere coscienza: non vi è possibilità mediazione o riforma, e costruire un percorso politico facendo affidamento su di loro, sostiene Okeke, è come costruire sulla sabbia. Non si deve coltivare l’illusione di collaborare con i colonizzatori, ma abbandonarla per cercare nuove forme di partenariato per collaborare con altri paesi al di fuori dell’Occidente, anche alleandosi alla Russia.
L’evento si è concluso con gli interventi degli ospiti italiani, il professor Davide Rossi, del Centro Studi ‘Anna Seghers’, Igor Camilli, segretario nazionale di Patria Socialista, l’analista geopolitico Lorenzo Somigli e Jean Claude Martini, delegato ufficiale per l’Italia della Korean Friendship Association. La partecipazione è stata ottima, con la presenza anche di rappresentanti libici e di diverse altre organizzazioni politiche italiane.
Di seguito il testo della convocazione dell’evento e l’intervento introduttivo a nome del comitato promotore:
VOCI DALL’AFRICA: VERSO UNA PROSPETTIVA MULTIPOLARE
Per secoli il continente africano è stato costretto in una posizione subordinata, privato delle sue risorse, dei suoi figli, della sua libertà. Tutto ciò è accaduto in nome di una pretesa “missione civilizzatrice” che i colonialisti europei e statunitensi si sono voluti attribuire per nascondere i propri interessi di rapina e spoliazione.
Il XX Secolo, dalla Rivoluzione d’Ottobre alle numerosissime sollevazioni anticoloniali, vide una nuova speranza per questo continente, incarnata da numerosi dirigenti politici del calibro di Thomas Sankara, Amilcar Cabral, Patrice Lumumba, Muhammar Gheddafi e moltissimi altri, oltre che, soprattutto, dai milioni di africani che dietro e accanto a loro si mossero per tentare di conquistare e costruire un avvenire diverso e migliore. Nonostante numerosi successi, la lotta per l’indipendenza e l’emancipazione del continente africano non poté essere coronata da una vittoria definitiva: omicidi, colpi di Stato, “rivoluzioni colorate”, sanzioni e interventi armati sono serviti a ripristinare in numerosi paesi un dominio neocoloniale.
Il XXI Secolo, che gli imperialisti di Washington e Bruxelles avrebbero voluto segnato dalla “fine della Storia”, sta mostrando invece che quella lotta non è ancora finita. Dal Sahel al Sudafrica, dalle coste del Mediterraneo a quelle del Mar Rosso, passando per i Grandi Laghi, la lotta per la libertà dell’Africa è sempre più vigorosa, e si inserisce nella tendenza generale alla costruzione di un mondo multipolare, di relazioni democratiche e fraterne tra i vari Stati e all’edificazione di una comunità umana dal futuro condiviso. Mentre crescono le relazioni tra gli Stati del Sud del Mondo e le organizzazioni espressione di questo nuovo ordine multipolare, dai BRICS all’OCS, la voce del padrone euro-atlantico è sempre meno forte, i suoi ordini sempre più contestati e disattesi.
La cacciata dei colonialisti francesi dai loro fortilizi dell’Africa occidentale parla chiaro, così come l’agitazione continentale dei settori patriottici delle forze armate dei singoli Stati: l’Africa, continente ricchissimo e culla dell’Umanità, non è più disposta a vivere in ginocchio per il profitto di pochi speculatori.
Dall’Italia vogliamo mostrare tutta la nostra solidarietà ai patrioti africani che lottano contro le catene dell’imperialismo e del colonialismo, poiché la loro lotta è la nostra lotta, e la loro vittoria sarà la nostra vittoria. Per questo intendiamo organizzare sabato 27 gennaio 2024 una prima conferenza sulla nuova fase della lotta per la decolonizzazione dell’Africa come primo passo per la costruzione di relazioni fraterne tra le forze antimperialiste italiane e quelle africane, una forma di diplomazia da popolo a popolo che sappia andare in direzione diversa rispetto ai progetti di colonialismo per procura delle attuali dirigenze collaborazioniste della Repubblica italiana.
Roma, 27 gennaio 2024
L’evento di oggi è stato reso possibile dalla collaborazione di diverse realtà: Indipendenza, SocIt, l’organizzazione umbra Generazione Z e il gruppo di attivisti genovesi noti come Contronarrazione. E’ stato organizzato con non molto tempo a disposizione, ma, ciononostante, siamo riusciti a coinvolgere diverse organizzazioni africane e italiane di notevole importanza e interesse. E’ il secondo evento a livello nazionale che si organizza dopo la riuscita conferenza di Genova del 28 ottobre, in cui si è discusso assieme a diversi ospiti e organizzazioni dell’inarrestabile edificazione di un mondo multipolare, del significato storico e politico di questo processo e delle prospettive dell’Italia in questo contesto.
Siamo qui oggi con numerosi esponenti del mondo politico africano, individui e partiti che lottano per la liberazione della propria terra dalle catene del neocolonialismo, da quello stato di subordinazione e sfruttamento reso possibile dalle ingerenze di Parigi, dall’egemonia economico-militare degli Stati Uniti, e dalla tentacolare rete di predazione e manipolazione delle multinazionali occidentali, del Fondo Monetario Internazionale e delle altre istituzioni del “Washington consensus”.
Negli ultimi anni la lotta per la decolonizzazione dell’Africa ha conosciuto una profonda accelerazione. Pensiamo in particolare alle insurrezioni popolari guidate dai settori patriottici delle forze armate che hanno estromesso le autorità collaborazioniste in Mali, Guinea, Burkina Faso e Niger, alle grandi mobilitazioni che dal Senegal al Gabon hanno contestato il controllo francese, al proseguimento del processo di riunificazione della Libia distrutta dall’aggressione imperialista della NATO del 2011, dal crescente interesse da parte dei paesi africani per forme d’organizzazione multilaterali esterne al dominio occidentale, come i BRICS, e al partenariato economico e in materia di sicurezza con paesi come Russia e Cina, ma anche alla chiara postura internazionale assunta da Stati come la Repubblica Centrafricana, lo Zimbabwe e la Repubblica Sudafricana, dove è sempre più accanito lo scontro tra i patrioti e socialisti africani e la minoranza legata all’imperialismo occidentale che arriva a ventilare ipotesi secessioniste. Il fatto che proprio questo paese abbia guidato l’azione legale internazionale contro le azioni criminali di Benjamin Netanyahu e dell’esercito sionista dimostra quanto l’Africa, dai nostri media e politici dipinta come un continenete indissolubilmente legato all’arretratezza e alla barbarie, sia in realtà moralmente superiore alle cancellerie euro-americane e ai loro padrini della finanza.
Questa accelerazione si inserisce pienamente nel generale processo di costruzione di un mondo multipolare e di una comunità umana dal futuro condiviso. Quello africano è uno dei principali fronti di lotta nello scontro tra unipolarismo e multipolarismo, tra egemonia e autodeterminazione dei popoli. Ogni vittoria delle forze patriottiche africane indebolisce l’imperialismo, e rafforza a livello globale il campo antimperialista. Per questa ragione, oltre che per umana solidarietà, noi dall’Italia riteniamo estremamente importante il sostenere la lotta dei popoli africani. Anche l’Italia, nonostante sia parte della “ricca” Europa, vive condizioni sempre più coloniali: una vita politica completamente eterodiretta da Washington e Bruxelles, le nostre forze armate usate come reparti di ascari in vergognose campagne d’aggressione, la nostra economica sempre più saccheggiata da speculatori internazionali e polarizzata tra masse dalla crescente povertà e pochi, pochissimi parassiti esponenti di una borghesia compradora tanto decadente quanto vigliacca. Per non parlare degli orizzonti culturali e ideologici, completamente egemonizzati dalle forze imperialiste, che insegnano allo schiavo ad obbedire al padrone, a scimmiottarlo nelle parole e nelle azioni, a baciare il suo bastone.
Noi conosciamo questa realtà in maniera marcata da almeno quattro decenni. L’Africa la conosce da almeno quattro secoli. Privata, ieri come oggi, di milioni dei suoi figli più giovani e in forze, delle sue vastissime risorse, del frutto del lavoro delle sue genti, questo continente è stato il terreno di prova per quelle pratiche suprematiste che ora vediamo con crescente violenza essere estese a settori sempre più ampi di umanità.
Giunto alla sua fase terminale, l’imperialismo, oggi rappresentato nella sua fase più acuta dall’egemonia di Washington, sprofonda sempre più nel più cieco fanatismo suprematista. Se prima era negata l’umanità di milioni di esseri umani solo per un diverso colore della pelle, oggi la divisione della nostra specie tra i civili abitanti di un “giardino ordinato” e i barbari abitanti della “giungla selvaggia ha raggiunto il parossismo. Chiunque si ponga al di fuori dei dettami del regime terroristico internazionale degli Stati Uniti e dei loro vassalli, dalla Francia a Israele, viene immediatamente estromesso dal consesso degli esseri civili, e qualsiasi rappresaglia, da quelle economiche a quelle militari, diventa legittima contro il colpevole di “lesa maestà”. Ciò però non rappresenta un’invenzione dei nostri tempi, ma unicamente l’acutizzazione della tradizionale ideologia liberale.
Oggi è il 27 gennaio, giorno in cui si ricorda la liberazione di Auschwitz da parte delle truppe dell’Armata Rossa, e in cui una certa parte politica, quella che unisce al fanatismo occidentalista al sionismo, vorrebbe ricordare la persecuzione e lo sterminio patito dagli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale come un unicum nella Storia dell’Umanità, il frutto di una malvagità inspiegabile e completamente anomala, estranea al “progredito e civile” Occidente liberale. Vorrei concludere citando a proposito alcune parole del poeta, scrittore e militante politico della Martinica Aimé Césaire, che dedicò la vita alla lotta per la liberazione della propria terra dal giogo coloniale francese:
“Sì, varrebbe la pena di studiare clinicamente, in dettaglio, i passi compiuti da Hitler e dall'hitlerismo e di rivelare al borghese molto distinto, molto umanista, molto cristiano del XX secolo che, senza che se ne renda conto, egli ha un Hitler dentro di sé, che Hitler lo abita, che Hitler è il suo demone, che se inveisce contro di lui è incoerente e che, in fondo, ciò che non può perdonare a Hitler non è il crimine in sé, il crimine contro l'uomo, non è la umiliazione dell'uomo in quanto tale, ma è il crimine contro l'uomo bianco, l'umiliazione dell'uomo bianco, e il fatto di aver applicato all'Europa procedure colonialiste fino ad allora riservate esclusivamente agli arabi d'Algeria, i "coolies" dell'India e i "negri" dell'America.
E questa è la grande critica allo pseudo-umanesimo: che per troppo tempo ha sminuito i diritti dell’uomo, che la sua concezione di tali diritti è stata – ed è tuttora – ristretta e frammentaria, incompleta e parziale e, tutto sommato, sordidamente razzista.
Ho parlato molto di Hitler. Perché lo merita: permette di vedere le cose in grande e di cogliere il fatto che la società capitalistica, nella sua fase attuale, è incapace di stabilire il concetto dei diritti di tutti gli uomini, così come si è rivelata incapace di farlo stabilire un sistema di etica individuale. Che piaccia o no, alla fine del vicolo cieco che è l'Europa, intendo l'Europa di Adenauer, Schuman, Bidault e pochi altri, c'è Hitler. Alla fine del capitalismo, desideroso di sopravvivere ai suoi giorni, c’è Hitler. Alla fine dell’umanesimo formale e della rinuncia filosofica c’è Hitler”[1].
[1] Aimé Césaire, Discourse on Colonialism, New York, Monthly Review Press, 1955, pp. 36-37.
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