Da "sovranista" a maggiordomo capo di Washington

di Alessandro Bianchi

"Il messaggio più importante della nostra visita è che l'Italia vuole l'Ucraina nell'Ue […] Vogliamo la pace ma l'Ucraina deve difendersi ed è l'Ucraina a dover scegliere la pace che vuole, quella che ritiene accettabile per il suo popolo. Solo così può essere una pace duratura [….] "Siamo qui per portare sostegno incondizionato al popolo ucraino. Un popolo che si è fatto esercito per respingere l'aggressione della Russia e vivere in libertà. E l'Europa deve avere lo stesso coraggio che ha avuto Zelensky".

Era il giugno 2022 e l’allora premier italiano Mario Draghi pronunciava queste parole a Kiev in una vista insieme ai colleghi francesi e tedesco: Macron e Scholz.

Un anno e mezzo dopo, l’attuale premier italiana Giorgia Meloni – la “sovranista” che ha passato una campagna elettorale a promettere di ridare dignità all’Italia - dichiara da Kiev: "questa terra è un pezzo della nostra casa e noi faremo la nostra parte per difenderla".

Mentre nel giugno 2022, ad accompagnare Draghi vi erano appunto Scholz e Macron, questa volta la Meloni, per la prima riunione del G7 sotto la presidenza italiana, era sola, se si escludono gli altri maggiordomi canadesi e dell’Unione Europea. Assente anche in collegamento il presidente francese Macron. Un isolamento che lascia sperare che nella vecchia Europa ci sia ancora qualcuno pronto ad evitare il baratro scelto da Washington per il vecchio continente.

“L’Italia c’è, e questo penso che si veda a maggior ragione adesso come presidente del G7. Continuiamo a garantire il nostro sostegno all’Ucraina, oggi firmeremo anche le nostre garanzie di sicurezza perché riteniamo che in Ucraina si combatta anche per la nostra libertà e il nostro interesse nazionale”, ha dichiarato Meloni annunciando un accordo di sicurezza dai tratti tanto incerti, quanto inquietanti.

Armi a Kiev per la pace è una barbarie che sentiamo da tempo ed è il mantra del fondamentalismo atlantico più estremo che da oggi vede nella Meloni l'esponente più estremista al pari della redazione di Repubblica. Si tratta di un’idiozia che allontana ulteriormente la possibilità di giungere ad un negoziato. Negoziato che a marzo del 2022, poche settimane dopo l’inizio dell’operazione russa, aveva portato ad un accordo a Istanbul accettato da russi e ucraini. A sabotarlo furono Stati Uniti e Regno Unito, con la nota visita di Boris Johnson a Kiev, cui seguì la messainscena di Bucha e il resto è storia. Quello che è chiaro in questi due anni è che a sabotare i vari tentativi di negoziato sono sempre stati i maggiordomi più fedeli, il maggiordomo capo che Washington sceglie.

Oggi è il turno della Meloni. La fine politica dei suoi predecessori non è incoraggiante per il nostro premier.

A conferenza stampa finale, il leader del regime di Kiev, Zelensky, ringrazia calorosamente la Meloni per il nuovo ruolo assegnatogli e accettato dagli Stati Uniti, sostiene che non tratterà con Putin (non ne ha la libertà chiaramente) e, inquietante, intima l'Italia a cacciare e non fornire visti a non precisati "filo Putin" di cui ci fornirà presto una lista di proscrizione. Invece di fare un'interrogazione urgente, il peggior Parlamento della nostra storia repubblicana resta silente e inerme.

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