Vera Pegna - Gaza, le domande che ci poniamo in troppo pochi


Sullo sterminio di Gaza, l'AntiDiplomatico ha il grande onore di poter ospitare due editoriali scritti da una straordinaria penna come quella di Vera Pegna.

Vi presentiamo oggi il primo (il secondo uscirà domani)

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di Vera Pegna

Com’è che nessuno, dico nessuno, risale all’origine, alle cause primarie del massacro in atto a Gaza? Un “plausibile genocidio” ha scritto la Corte internazionale di Giustizia oltre un mese fa, quando le vittime erano alcune decine di migliaia. Oggi i morti sono oltre 30 mila, senza contare le decine di vittime rimaste sotto le macerie o spalate, ancora vive, dalle ruspe con altre decine di cadaveri. Quindi il genocidio non è più ”plausibile” ma accertato. Eppure pare che sia sconveniente pronunciare questa parola.

Com’è che nessuno ricordi che far morire i gazawi di fame e di sete è la politica dichiarata dal governo israeliano e che nessuno esprima perlomeno sdegno e condanna inappellabili per gli ostacoli posti dal quel governo all’entrata nella Striscia delle migliaia di camion carichi di cibo, acqua e ogni bene necessario ad alleviare le sofferenze della popolazione?

E come mai siamo in pochi a porci queste domande?

Ho avuto il privilegio di nascere ad Alessandria d’Egitto in una famiglia che aveva del mondo una visione cosmopolita. L’opposto della visione eurocentrica che domina il dibattito attuale. Sebbene di origine cultuale ebraica, i miei non esitavano a considerare una iattura il progetto sionista di uno Stato ebraico in Palestina dove mio nonno andava regolarmente per affari. Lo slogan sionista "una terra senza popolo per un popolo senza terra" era, per lui, un doppio inganno: i palestinesi erano un popolo attivo e vivace e gli ebrei, sparsi in tutto il mondo con nazionalità, lingue e storie diverse non formavano certo un popolo! Dopo venne il 1948, la costituzione dello Stato d’Israele, la Nakba e poi, di occupazione in occupazione, di pulizia etnica in pulizia etnica i governi israeliani si sono appropriati dell’intera Palestina storica. Ai palestinesi rimasti in Israele, a quelli della Cisgiordania e di Gaza e ai profughi cui è negato il diritto al ritorno, impongono un brutale regime di apartheid. Dove possono, come possono, i palestinesi resistono. Ma come sempre è l’oppressore che dà il là, che detta le modalità dell’oppressione e l’oppresso a volte risponde con le medesime modalità. Come per gli ostaggi. Da oltre 50 anni l’esercito israeliano arresta abitanti palestinesi della Cisgiordania e li trasferisce nelle carceri d’Israele. Perché non vengono chiamati ostaggi?

Perché la Gran Bretagna e la Francia si divisero il Medio oriente come era naturale fare in epoca coloniale e allora, agli occhi europei, parve pure lecito fare uno Stato ebraico in Palestina. Tale sguardo ha preso il nome di “eurocentrismo”, un misto di visione limitata all’Europa e di residuale colonialismo.

Mentre succedeva tutto ciò, in Palestina e nei Paesi arabi prevaleva la cultura levantina e cosmopolita della convivenza fra etnie e religioni. Esiste ancora, seppur in filigrana, perché le culture non scompaiono.

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