Pino Arlacchi - Le 3 ipotesi sulla matrice della strage di Mosca


di Pino Arlacchi

Le reazioni alla strage di Mosca sono, com’è ovvio, le più diverse e sono determinate dall’andamento di una guerra in corso. Siccome ci sono pochi dubbi sul fatto che l’attentato sia stata opera di killer addestrati, armati e protetti da un’entità superiore, le ipotesi sui mandanti si restringono a tre:

La matrice islamica autonoma

Il piccolo gioco. L’ISIS nella sua versione afghano-pakistana avrebbe agito in piena indipendenza da altre possibili fonti per colpire un suo nemico storico, la Russia, nel momento in cui esso è impegnato in una guerra quasi-civile contro un paese affine sostenuto dall’ intero Occidente.

Questa ipotesi è al momento la più diffusa, perché sostenuta dai pochi dati di fatto finora a disposizione, ma non reggerà a lungo. Chi conosce un po' l’ISIS-K sa che si tratta di ciò che resta di un esercito sconfitto in Siria da 5-6 anni, le cui risorse gli consentono di condurre attacchi in loco, contro i Talebani dell’Afghanistan, che stanno finendo di distruggerlo. È assai improbabile che i suoi combattenti siano stati in grado di intervenire così lontano senza un supporto esterno.

L’ISIS al servizio del terrorismo di stato ucraino

Il medio gioco. Kiev avrebbe attinto i sicari del Crocus dalla piccola galassia di jihadisti che combattono accanto alle forze regolari ucraine per dimostrare che Putin non è in grado di garantire la sicurezza dei russi, e che il suo intelligence non vale nulla non essendo stato capace di neutralizzare l’attentato nonostante i suoi colleghi occidentali l’avessero avvertito che sarebbero stati colpiti anche spazi pubblici dedicati a “concerti”.

Questa tesi ci consente di inquadrare più elementi, essendo indubbio che Putin abbia ricevuto un brutto colpo proprio all’indomani di un suo trionfo elettorale.

Il governo ucraino su input CIA

Il grande gioco. Lo scopo in questo caso non si limiterebbe alla delegittimazione di Putin e dei suoi apparati di sicurezza, ma a rovesciare le carte in tavola, trasformando una Ucraina ormai sconfitta in una potenza vincente. Come? Spingendo la Russia verso uno scontro diretto con la NATO. Uno scontro perdente per Mosca, data la superiorità militare della NATO ammessa dallo stesso Putin, e data la natura di bluff della minaccia nucleare russa. Putin non oserebbe rischiare l’autodistruzione del suo paese, e sarebbe costretto a cercare una via di uscita negoziale e al ribasso dal conflitto.

La mia esperienza di studioso della violenza organizzata e la mia collaborazione alle indagini condotte durante il processo per l’attentato al Papa del 1981 mi inducono a ritenere che anche questa volta “la pistola fumante”, la prova decisiva sui mandanti ultimi, non si troverà, se è vero che la matrice va ricercata nel mondo dei professionisti dell’assassinio politico.

Si discuterà e si indagherà per anni, fino a che i protagonisti scompariranno dalla scena, fisicamente e non, e la scena stessa sarà così cambiata da far cambiare di significato ogni pezzo del puzzle da comporre. Le tre ipotesi formulate si mescoleranno tra loro e gli squarci di verità che emergeranno di volta in volta saranno quelli coerenti con l’agenda politica del momento.

La più plausibile delle interpretazioni, purtroppo, è la terza, ma è anche quella che ha meno forza predittiva, nel senso che i mandanti della strage hanno pochissime chances di conseguire i loro obiettivi. Siamo di fronte a un classico azzardo concepito da menti di seconda categoria come quelle dei capi dell’intelligence USA che si credono più furbi e potenti di quello che sono, e che tentano di sfruttare l’attuale vuoto politico americano combattendo fino all’ultimo ucraino.

Perché si tratta di un azzardo di scadente fattura?

Perché la NATO non vuole e non può sostenere una guerra vera e propria contro la Russia senza una ferrea unanimità dei paesi che la compongono unita ad una diffusa inclinazione dei cittadini europei ed americani a correre verso l’autoannientamento.

E perché la Russia non sta affatto bluffando. Ha già valutato l’eventualità di uno scontro sia convenzionale che atomico con l’Occidente, ed è pronta a sostenerlo anche se non lo ritiene imminente. Putin non cambierà idea di fronte al recente trasferimento di truppe NATO al confine tra Ucraina e Polonia prive di copertura aerea, e non modificherà in modo sostanziale la sua strategia di fronte alla strage della scorsa settimana. E così faranno le potenze euroamericane.

I più autorevoli studi sulle guerre concordano nel ritenere che le guerre non scoppiano per caso, e non mutano il loro corso per via di un singolo attentato terroristico che accade lontano dal fronte.

Sbaglia, perciò, chi evoca l’assassinio dell’arciduca d’Austria a Sarajevo o una guerra mondiale dietro l’angolo. Ed hanno sbagliato di grosso gli ottusi mitomani che hanno pianificato la carneficina del Crocus.

Anche questa volta si sono illusi di aver fatto la storia mentre questa tra poche settimane si dimenticherà di loro e delle loro malvage farneticazioni.

La recente dichiarazione di Putin sugli esecutori islamici e sul filo che potrebbe condurre a Kiev sembra stare a cavallo tra le prime due ipotesi.

Ma ciò che più sorprende sono i toni ed i termini estremamente misurati del comunicato presidenziale. È come se Putin abbia voluto smentire le aspettative di chi, in Occidente e nella stessa Russia, prefigurava una risposta forte, adeguata alle emozioni del momento, e confezionata entro le dinamiche della guerra. Qualcosa tipo la minaccia di colpire basi NATO da cui partono aerei ucraini, l’annuncio di una controffensiva su vasta scala, la costituzione di una no-fly zone nel Mar Nero o intorno a Odessa.

Niente di tutto questo. Il presidente russo non ha annunciato sfracelli. Ha evitato di cadere nella trappola di chi voleva imporgli una condotta della guerra all’insegna della escalation anti-NATO. Putin ha preferito proseguire lungo la strada di un conflitto già largamente vinto, incassando la bastonata del Crocus e lasciando i rapporti con l’Occidente nel punto in cui si trovavano prima di venerdì scorso. Delegando poi ai suoi subordinati, come il capo dell’FSB ed altri, il compito di prefigurare rappresaglie al di fuori del campo di battaglia.

Tutto ciò avvalora la logica della terza ipotesi che ho presentato: la strage può essere stata l’ennesimo grossolano fiasco dell’intelligence USA, destinato a finire nel nulla dopo avere ammazzato 140 persone.

Questa mia terza ipotesi è un progetto di ricerca, uno sforzo conoscitivo che non pretende di rispecchiare la verità. Ma che al momento può spiegare più fatti delle altre ipotesi, che restano comunque in campo. Dando per scontato che dettagli e fatti completi non verranno mai alla luce. Il campo del terrore, sia privato che di stato, è il regno dei discorsi incompleti.

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