di Fabrizio Poggi
Il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha confermato la disponibilità di Mosca a colloqui di pace sull’Ucraina.
Lo ha fatto nel corso di un incontro con gli ambasciatori di oltre 70 paesi, tra cui non figuravano quelli i cui governi applicano sanzioni contro la Russia: per loro scelta, cui Mosca si adegua. Tanto più che, ha detto Lavrov, la diplomazia è viva e «si sviluppa rapidamente nei nostri rapporti con la maggioranza dei paesi del mondo. Abbiamo un enorme numero di partner e, cosa più importante, si tratta di partnership bilaterali e multilaterali».
Nello specifico del rispetto dei diritti umani, così declamato all’ONU dai rappresentanti di Kiev e reclamizzato a Washington e Bruxelles quale elemento distintivo della “democrazia ucraina”, Lavrov ha sottolineato come l’Ucraina sia oggi «diventata uno stato apertamente terroristico: da 10 anni terrorizza i cittadini del proprio paese e anche oltre i suoi confini», come dimostrano anche le tracce per l’attentato al Krokus di Krasnogorsk, che portano a Kiev, come già accaduto in altre occasioni.
Sulla questione del conflitto in Ucraina, ha quindi detto Lavrov, i padrini occidentali, mentre ignorano a bella posta le proposte di pace sudafricana, cinese, brasiliana, quella della Lega araba, fanno di tutto per imporre a tuti i paesi NATO l’obbligo di sostenere l’Ucraina, perché questa continui la guerra con la Russia. E anche l’ultima trovata della conferenza da tenersi in Svizzera, non è che un ulteriore tentativo di imporre la famigerata “formula Zelenskij”, senza volutamente prendere in considerazione qualsiasi altro punto di vista.
Anzi, dopo l’esternazione della sua collega finlandese, è stata ora la volta del ministro degli esteri norvegese Espen Barth Eide a dichiarare come “da non escludere” un futuro invio di truppe in Ucraina.
La situazione «a livello diplomatico è di stallo, ma non per colpa nostra», ha dichiarato Lavrov; «noi abbiamo mostrato più di una volta la nostra buona volontà ed essa rimane. Non siamo stati noi a liquidare il Documento di Istanbul. Non siamo stati noi ad adottare norme che vietino colloqui con l’Ucraina». Se da parte occidentale ci fosse una qualche minima volontà di arrivare a colloqui di pace, i “curatori” euro-atlantici della junta nazigolpista, potrebbero quantomeno imporre a Zelenskij di annullare il suo decreto che proibisce i colloqui con Mosca.
Al contrario, le voci che più insistentemente giungono da Ovest, stante la profonda penuria di armamenti da inviare a Kiev, sono quelle sulla necessità di una crescente mobilitazione di chair à canon indigena. E a poco servono i salmi europeisti sul “patriottismo” democratico che veste l’uniforme per lottare contro il “dispotismo russo”: i giovani ucraini cercano come possono di sottrarsi all’arruolamento.
«Servizio militare? Neanche per sogno!» titola la tedesca Die junge Welt, scrivendo di circa un milione di persone in età di leva che mancano all’appello in diverse regioni ucraine e dei metodi escogitati per lasciare il paese. Gli addetti al reclutamento delle regioni di Poltava e Ivano-Frankovsk, ad esempio, riferiscono di 30.000 e 40.000 uomini rispettivamente, che non hanno risposto alla cartolina precetto: moltiplicato per le 23 regioni del Paese sotto controllo ucraino, constata Die junge Welt, si arriva a una cifra di almeno 800.000 uomini che cercano di sottrarsi al servizio militare.
Nella regione di Ivano-Frankovsk, le squadre di mobilitazione, per ammissione ufficiale, sono autorizzate ad arrestare gli uomini ovunque riescano a scovarli: in strada, sugli autobus, al lavoro o al bar. Tant’è che le aziende ucraine lamentano carenza di personale: gli uomini rifiutano le assunzioni con contratti legali, perché ciò comporta automaticamente la registrazione nelle liste d’arruolamento. A Ternopol – che pure è in Ucraina occidentale e, dunque area di maggior “afflato nazional-patriottico” - è stato diffuso un video in cui si vedono mastini arruolatori che fanno irruzione in un cantiere e trascinano letteralmente i lavoratori giù dalle impalcature. In un villaggio dell'Ucraina occidentale, i residenti hanno picchiato una donna sospettata di fare la spia per il distretto di leva.
È così che fiorisce il “mercato nero” dell’espatrio. A marzo, racconta l’ufficialissima Ukrainskaja Pravda, si sono verificati almeno una dozzina di casi: chi si era nascosto, al prezzo di 3.000 dollari, nel cassone della biancheria di un camion diretto in Moldavia; chi ha tentato la fuga via mare dalla baia di Odessa; un uomo è affogato nel Tisza cercando di raggiungere a nuoto la Romania. Una disabile ha offerto su Internet il matrimonio – per 10.000 $ - a chiunque, per sfuggire alla leva, volesse presentarsi come suo "badante". Si è saputo di persone disabili che, con lo stesso sistema, si erano assicurate anche dieci "badanti". E, naturalmente, non possono mancare i “sistemi ufficiali”: sempre nella regione di Ternopol, un sergente arruolatore è stato pagato con materiale da costruzione per far sparire la pratica del proprietario di un negozio di edilizia; a L’vov, una sottufficiale delle guardie di frontiera ha chiesto 9.000 $ per accompagnare un uomo in un segmento non sorvegliato del confine.
Ma, osserva Serafima Timokhina su Ukraina.ru, visto come USA e UE intendano stringere i cordoni della borsa, pare che lo stesso nazigolpista-capo, Vladimir Zelenskij, stia tentando di prepararsi qualche strada per il futuro: se ne avrà uno.
Sì, perché non tutto gli riesce sempre come vorrebbe. Ad esempio, il progetto svizzero-ucraino della vodka “Zelenskij”, partito come azione di “beneficienza” e di “réclame” politico-commerciale in Svizzera, Germania e Gran Bretagna, pare non sia andato troppo bene: non c’è stato sufficiente smercio delle bottiglie da mezzo litro vendute a 40 euro. Non si sono avverate le speranze dei “manager” svizzero-ucraini sulla presa propagandistica del nome di “cotanto” personaggio e sulla dichiarata intenzione di destinare i ricavi delle vendite non certo, per carità, all’acquisto di armi, ma cristianamente a ospedali e orfanotrofi ucraini. E tutti gli amanti della vodka ci hanno coì tanto creduto, ai fini “umanitari” del progetto, da costringere i “manager” alla chiusura, dopo che anche il tentativo di dimezzare il prezzo di vendita non aveva dato risultati.
Esito migliore non era toccato d’altronde nemmeno al progetto yankee, varato già nel 2022, di vendere per 100 $ la “moneta Zelenskij”. Gli americani, si sa, sono gente pratica e non amano buttar soldi in qualcosa che non ritorni nelle loro tasche almeno raddoppiata: la moneta Zelenskij ha cominciato a svalutarsi già nell’aprile del 2019, al momento della sua elezione.
E, comunque, a quanto pare, lo stesso golpista-manager è consapevole del destino che lo attende: se mai gli sarà consentito di metterci piede, almeno da ex presidente, Zelenskij ha acquistato da Carlo III – lo scrive la britannica London Crier – la residenza di Highgrove House, nel Gloucestershire, per una ventina di milioni di sterline.
Dovesse, chissà, rimanere in vita, l’unico inconveniente che potrebbe ostacolare il viaggio del nazigolpista fino in Inghilterra, potrebbe essere costituito dalla difficoltà di farsi prendere a bordo, per 3.000 dollari, da un qualche camion carico di cassoni della biancheria diretto in Moldavia.
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