"Covid: sarebbe bastato lasciar lavorare i medici di base"




Covid. In teoria, l’estromissione dei medici di base avrebbe dovuto essere finita a maggio con l’inizio della Fase Due: in pratica, ancora oggi, molti gli ambulatori medici deserti, visite a domicilio sostituite da telefonata e ricetta inviata via mail. Le conseguenze sono devastanti: mortalità schizzata al 32% dopo sintomi cardiaci che avrebbero potuto, invece, essere diagnosticati e affrontati; accessi tardivi al pronto soccorso (per paura della quarantena obbligatoria dopo un pur fallace tampone); sospensione delle diagnosi di tumori che rischia di determinare una ecatombe nei prossimi mesi…

Una situazione aggravata anche della crisi della medicina territoriale che ha avuto esiti devastanti a marzo quando una circolare del ministero della Salute dispensava i medici di base (tutti lasciati privi di validi dispositivi di bio-protezione e terrorizzati da un fraudolento tasso di letalità del virus comunicato dal governo) dalle visite a domicilio che venivano surrogate con una telefonata supportata da un surreale questionario. Il risultato è stato l’aggravamento di tanti pazienti anziani, (che l’anno prima con una bombola di ossigeno, antibiotici e la rassicurante presenza del medico riuscivano a superare la malattia) spediti infine nei “reparti Covid” a morire, in solitudine, per infezioni infezioni ospedaliere.

Un motivo in più per intervistare uno dei pochissimi medici italiani che, invece di starsene a casa, effettuava, in Val Seriana già dall’inizio dell’epidemia, innumerevoli visite a domicilio: Riccardo Munda; medico di base che (risultando “scomodo per il governo” il suo impegno) non solo non è stato premiato con qualcuna delle innumerevoli onorificenze assegnate agli “eroi del Covid” ma è stato pressoché ignorato dai media (qui l’unica intervista RAI, di qualche decina di secondi).


Quindi, a febbraio, quando il governo raccomandava ai medici di base di starsene a casa, lei…

"Io, comprato i dispositivi di bio-protezione di tasca mia, ho continuato a visitare, nelle loro abitazioni, i miei pazienti e anche quelli di altri colleghi. Il risultato è stato: zero ricoveri ospedalieri e zero morti fra tutti i miei mutuati di Selvino (700 persone in un paese di meno di 3.000 abitanti)"


In Val Seriana, nell’epicentro dell’epidemia?! Ma come ha fatto considerato che allora non si conosceva nessuna cura per il Covid?

"Proprio perché non c'era una cura, era fondamentale intervenire subito. E quindi non solo visitare il paziente, ma visitarlo spesso per aiutare il fisico a reagire, calibrando e ricalibrando i farmaci a ogni suo minimo segnale. E cioè l’esatto contrario di quanto veniva ufficialmente consigliato: lasciarlo solo fin quando non riusciva più a respirare e poi farlo ricoverare in terapia intensiva."


Ma non ha aveva paura di contagiarsi con un virus presentato in TV come l’anticamera dell’obitorio?

"Di certo, non la manifestavo, anche perché non si può trasmettere forza e coraggio ad un paziente se il medico manifesta la paura. Comunque, tengo a precisare, che la mia è la storia di tanti altri medici di base che hanno affrontato l’epidemia facendo il loro dovere. E questo nonostante le indicazioni governative, privi di validi sistemi di bio-protezione e, addirittura, senza poter essere sottoposti al test del tampone. Insomma, l’immagine di quella che si è ridotta ad essere la medicina territoriale in Italia."


Francesco Santoianni



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