l'AntiDiplomatico ha il piacere di pubblicare il terzo articolo in esclusiva del grande giornalista statunitense Patrick Lawrence. Corrispondente pluripremiato per the International Herald Tribune per diversi anni, Lawrence ha appena pubblicato il suo ultimo libro Journalists and Their Shadows con Clarity Press. Per l'AntiDiplomatico è motivo di grande orgoglio ed emozione avere la possibilità di entrare dentro l'Impero statunitense con una delle migliori penne al mondo per farlo.
A.B.
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di Patrick Lawrence - 30 novembre 2024
“Ovunque nel mondo si trovi un disastro”, ha scritto una volta Le Carré, "si può essere certi che di lì siano passati gli americani". Non ricordo, perdonatemi, se il famoso romanziere inglese l'abbia detto direttamente o messo in bocca ad uno dei suoi personaggi. Poco importa: si tratta di un'affermazione sempre più vera nei giorni in cui Joe Biden si prepara alla sua definitiva, grazie al cielo, uscita dalla vita politica statunitense.
Per tutta la sua lunga vita politica, Biden si è sempre mosso su una serie di posizioni fraudolenti. Mentre approva una legge dopo l'altra a favore delle banche, di Wall Street e delle grandi imprese, finge di essere dalla parte dei lavoratori. Ma il suo inganno ancora maggiore, viste le conseguenze che ha prodotto per molti anni e in differenti luoghi, è stato quello di essere competente nelle questioni internazionali, così da mascherarsi da “esperto” di politica estera. È stato quest'ultimo atteggiamento a spingere Barack Obama a dire, quando il Partito Democratico lo scelse come candidato per il 2020: “non sottovalutate la capacità di Joe di mandare tutto a puttane”.
Non lo faremo. Se i miei redattori permetteranno questa volgarità, il quarantaseiesimo presidente americano è intenzionalmente determinato a mandare "tutto a puttane" nella misura più ampia possibile del termine mentre esce dalla scena politica.
Joe Biden lascia il suo incarico con molto rancore. È amareggiato perché l'estate scorsa la élite del Partito Democratico ha bruscamente interrotto la sua campagna elettorale a favore di un candidato ancora meno competente di lui. Un candidato - e qui si aggiunge l'insulto al danno - che poi ha perso. Ed è amareggiato perché nemmeno lui è troppo stupido per riconoscere che la sua “eredità” - tutti i presidenti americani curano la loro eredità come si farebbe con un giardino fiorito - deve essere elevata tra i molti disastri che ha combinato.
Le relazioni con la Cina, la guerra in Ucraina, il sostegno alla sadica brutalità del terrorista Israele contro il popolo palestinese e il suo genocidio a Gaza: sono tutti disastri che possiamo attribuire all'incompetenza, alla corruzione o a entrambe le cose collegate. Ora arriva una nuova grave svolta. Mercoledì 27 novembre, gli assassini jihadisti da tempo presenti in Siria hanno improvvisamente - dal nulla - rinnovato i loro attacchi contro il governo di Assad in Siria, dopo quattro anni di violenze sommesse. Questi gruppi, il principale dei quali è Hayat Tahrir-al-Sham, HTS, sono discendenti di quelli che la C.I.A. aveva precedentemente finanziato, armato e addestrato all'interno di quella che è stata probabilmente la più grande operazione segreta dell'agenzia nel periodo successivo alla Guerra Fredda.
Ci sono due modi per leggere questi sviluppi al momento. Primo, sembra che Biden abbia autorizzato l'apparato di intelligence Usa a ricominciare la sua lunga e selvaggia guerra di “cambio di regime” contro Damasco. Secondo, sembra che Biden abbia autorizzato l'apparato di intelligence americano a ricominciare la sua lunga e selvaggia guerra di “cambio di regime” contro Damasco all'interno della “guerra dei sette fronti” che Bibi Netanyahu, il primo ministro israeliano, ha apertamente dichiarato di voler intraprendere in numerose occasioni nel corso dell'autunno che si sta concludendo.
Le implicazioni sono talmente terribili che diventano difficili da essere contemplate. La riattivazione dell'HTS e di altre milizie sunnite di questo tipo suggerisce che Washington ha deciso di sguinzagliare gli israeliani finché lo Stato sionista non attaccherà l'Iran e la Repubblica islamica, sede dell'Islam sciita, non cadrà. La guerra dei sette fronti, in altre parole, non sarà più un modo di dire. E l'Asia occidentale diventa così la seconda regione - dopo l'Ucraina e il margine orientale dell'Europa occidentale - in cui il pericolo di un conflitto globale che coinvolga le potenze nucleari inizia ad intensificarsi.
Il sistema americano ha molte caratteristiche peculiari, e una di queste è ciò che accade dopo un'elezione presidenziale. Quando un premier italiano viene votato per la decadenza dalla carica, se ne va immediatamente a favore del governo entrante. Non è così negli Stati Uniti: Il presidente uscente rimane alla Casa Bianca fino all'insediamento del successore il 20 gennaio successivo, 11 settimane dopo le elezioni. In questo lasso di tempo possono accadere molte cose. Se il presidente uscente è disposto a farlo, ha la possibilità di sabotare i piani del suo successore e di lasciare dietro di sé disastri di vario tipo. Joe Biden, proprio come aveva avvertito Barack Obama, non ha perso tempo a farne molti per Donald Trump.
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È da tempo evidente che Biden e i suoi uomini della sicurezza nazionale hanno radicalmente sovrainvestito nella guerra per procura in Ucraina, che dura ormai da 10 anni. A pochi mesi dall'operazione militare iniziata dai russi il 24 febbraio 2022, che il regime corrotto di Kiev non ha mai avuto la possibilità di sconfiggere, la domanda pressante è diventata come il regime di Biden riuscirà a perdere una guerra che non può permettersi di perdere.
Dopo la vittoria di Trump su Kamala Harris il 5 novembre, si è aggiunta una ulteriore domanda: cosa farà Biden nelle settimane che gli restano alla Casa Bianca per sovvertire i piani annunciati da Donald Trump di portare a termine la guerra in Ucraina?
Una risposta l'abbiamo avuta il 18 novembre, quando Biden ha autorizzato Kiev a lanciare missili di fabbricazione statunitense e britannica in territorio russo. Questo a fronte di chiari avvertimenti da parte del Cremlino che Mosca avrebbe considerato qualsiasi attacco di questo tipo un'escalation che avrebbe portato la Federazione Russa in un conflitto diretto con gli Stati Uniti e l'Organizzazione del Trattato Nord Atlantico.
Il Pentagono e vari alti funzionari di Washington hanno messo in guardia Biden e gli ideologi che pianificano ed eseguono le sue politiche di sicurezza nazionale da questa mossa, ma senza successo. La preoccupazione di Biden per la sua eredità e per lasciare un disastro intrattabile sulla scrivania di Donald Trump ha prevalso su tutti gli ovvi rischi.
Gli attacchi di ritorsione di Mosca, con potenti missili ipersonici di nuova generazione in grado di portare testate nucleari, sono stati duri non c'è dubbio. Il primo di questi, lanciato due giorni dopo che Kiev aveva lanciato i primi missili forniti dall'Occidente, sembra essere stato di una potenza sconvolgente e senza precedenti. Ma questi lanci sono stati finora limitati a obiettivi accuratamente scelti in Ucraina - impianti per la produzione di armi e infrastrutture energetiche. Ora c'è poco altro che la moderazione della Russia, per dirla in altri termini, per evitare che una guerra per procura imprudente e non vincente degeneri in qualcosa di molto simile a una terza guerra mondiale.
Questo vanificherà i piani di Trump di porre fine alla guerra, come ovviamente intende fare Biden? È difficile dirlo, in parte perché i piani di Trump sono, come al solito, incerti. La scorsa settimana ha nominato Keith Kellogg, un tenente generale in pensione, come suo inviato speciale in Russia e Ucraina. Kellogg progetterà ed eseguirà il piano di pace del nuovo presidente. Ecco il punto: la scorsa primavera Kellogg ha scritto un documento in cui indicava che questo dovrebbe basarsi su una minaccia di inviare a Kiev un numero di armi enormemente superiore se Mosca non accetta di negoziare un accordo di gradimento dell'amministrazione entrante. Il coautore di Kellogg, tra parentesi, è Fred Fleitz, un ex analista della C.I.A. notoriamente un falco.
Non è una proposta vincente, per usare un eufemismo. Trump è molto propenso a quella che possiamo definire la diplomazia della minaccia, che si basa sul presupposto che gli Stati Uniti siano la potenza superiore del mondo. Ma è molto discutibile, come minimo, che gli Stati Uniti possano sconfiggere la Russia in un conflitto aperto. Trump e Kellogg, ammesso che il Senato confermi la sua nomina, come richiesto dalla legge statunitense, potrebbero non aver avuto bisogno dell'aiuto di Biden per peggiorare la situazione in Ucraina. Ma è Biden che ha portato il tutto troppo vicino a un conflitto tra grandi potenze con avversari dotati di armi nucleari.
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Le notizie di nuovi attacchi jihadisti in Siria sono arrivate all'improvviso mercoledì scorso dalla Syrian Arab News Agency, il servizio di informazione del governo di Damasco. SANA ha riferito che le milizie di Hayat Tahrir-al-Sham hanno lanciato un'offensiva nelle province di Aleppo e Idlib, entrambe sottoposte a gravi e prolungati attacchi da parte di diversi gruppi sunniti fanatici durante gli anni in cui la C.I.A. e l'MI6 li hanno armati e addestrati. Rapporti successivi hanno indicato che le forze dell'HTS hanno conquistato considerevoli aree finora controllate dall'Esercito Arabo Siriano, tra cui molti villaggi e città. Secondo alcuni organi di stampa, l'HTS avrebbe conquistato la più grande base militare SAA della regione, con perdite da entrambe le parti. Sembra che questi attacchi continuino mentre scrivo.
Non c'è certezza - e questo è un punto che desidero sottolineare - sul coinvolgimento di potenze esterne. Ci limitiamo a fare supposizioni. Ma ci sono molte supposizioni, diciamo, molte che suggeriscono che il regime di Biden ha riavviato un conflitto che si era interrotto anni fa e che queste operazioni dell'HTS riflettono anche la determinazione dello Stato sionista di espandere la sua guerra più o meno dichiarata in Asia occidentale da Gaza e dalla Cisgiordania e dal Libano alla Repubblica Araba Siriana. Nella guerra dei sette fronti, l'Iran non può che essere il prossimo.
Ricordo quanto sia stato strano tenere traccia delle vere identità di questi gruppi di assassini nel decennio successivo al 2012, quando la C.I.A. e l'MI6 hanno trasformato un legittimo movimento democratico contro il governo di Assad in una feroce operazione segreta che è costata - le cifre più affidabili sono solo approssimative - dalle trecentomila alle quattrocentomila vite e ha costretto all'esilio milioni di siriani. Queste milizie hanno cambiato spesso nome o per rivalità ideologiche o perché le potenze occidentali non potevano più considerarle come i “ribelli moderati” di cui si leggeva incessantemente sulla stampa.
L'HTS ne è un esempio. È il nome più recente di una milizia jihadista precedentemente nota come Jabhat al-Nusra. Jabhat al-Nusra era un discendente di al-Qaeda e faceva parte delle varie milizie sunnite addestrate, armate e finanziate dagli Stati Uniti. Seguiamo la palla che rimbalza, come si suol dire, quando leggiamo quanto segue nel rapporto iniziale del New York Times sulla nuova offensiva dell'HTS. Cita un certo Charles Lister, ricercatore presso il Middle East Institute, che - il Times non lo dice - è finanziato dal Dipartimento di Stato e dagli Emirati Arabi Uniti, che in passato hanno sostenuto i gruppi sunniti che si oppongono al governo laico di Damasco:
“Anni fa, un attacco di queste dimensioni sarebbe stato respinto dal regime”, ha detto Lister. “Ma le forze di opposizione come Hayat Tahrir al-Sham, che trae le sue origini dall'affiliata di Qaeda Jabhat al-Nusra, hanno investito molto in risorse e addestramento per le operazioni notturne. Questo sostanzialmente livella il campo di gioco”, ha aggiunto.
Investito molto in risorse e formazione? Quali risorse e chi si occupa della formazione? Lascio che i lettori riflettano su queste domande.
Quattro anni fa, la Russia e la Turchia, che si trovavano su fronti opposti del conflitto siriano, hanno agito sopra le teste degli americani e dei britannici per mediare un cessate il fuoco tra i “ribelli”, come vengono eufemisticamente chiamati i jihadisti, e Damasco. Era ormai chiaro che l'operazione della C.I.A., per la quale gli Stati Uniti avevano speso più di 500 milioni di dollari, era fallita. Qualcosa che si avvicina alla pace ha prevalso fino alla settimana scorsa.
Perché ora? Un altro esperto di think tank citato dal Times la spiega così. Il riferimento alle “milizie pro-regime” è volto a sminuire la credibilità delle SAA:
“Le milizie pro-regime hanno intensificato gli attacchi nell'area, cercando di scoraggiare i ribelli perché Israele ha indebolito gli alleati del regime siriano, come Hezbollah e l'Iran”.
Bisogna saper leggere questo tipo di persone, che parlano in un inglese che io definisco “di lana”. Una traduzione semplice, che spesso è necessaria, sarebbe: “Israele sta procedendo con la sua guerra dei sette fronti. Ora fa causa comune con i jihadisti sunniti che combattono il governo di Damasco e si oppongono all'Iran sciita, due fronti del piano dello Stato sionista per l'Asia occidentale. Israele, infatti, da anni attacca periodicamente Damasco e altre città siriane. Dieci giorni fa ha organizzato una grande operazione contro Palmira, l'antica città della Siria centrale che nove anni fa è stata attaccata nientemeno che dallo Stato Islamico.
Trovo che la ripresa degli attacchi al governo di Assad a Damasco sia allarmante almeno quanto l'escalation della crisi ucraina, e forse di più. Per tre motivi.
Uno, sembra - ancora senza prove concrete - che la C.I.A. abbia ricominciato la sua più vasta operazione segreta dell'era post-Guerra Fredda.
Due, sembra anche che il regime di Biden abbia dato agli israeliani piena libertà di portare avanti i suoi attacchi ostili nella regione per diventare un egemone regionale.
E tre, Robert F. Kennedy, vicino al pensiero di Trump e ora candidato a una posizione di gabinetto, ha dichiarato all'inizio di novembre che il presidente eletto intende ritirare le truppe americane dal nord della Siria, dove sono state dislocate illegalmente per circa un decennio.
Se la mia lettura è corretta, i nuovi attacchi in Siria riflettono un altro dei problemi che Biden è determinato a lasciare al suo successore. Per le ragioni più vergognose che esistono, Joseph R. Biden, Jr. lascerà dietro di sé un regime di pericoloso disordine nel mondo. Non sottovalutate mai Joe in queste cose.
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