Loretta Napoleoni - Gli Usa, le "guerre crittografiche" e la censura


di Loretta Napoleoni per l'AntiDiplomatico

San Diego, 1 settembre 2024


Ultimamente si riflette sul significato della liberta’ di parola e sul ruolo della censura. A stimolare questi pensieri e’ stato l’arresto di Pavel Durov in Francia e le dichiarazioni di Zuckerberg in relazione alle pressioni esercitate dell’amministrazione Biden per rimuovere i post di Facebook sul Covid e per considerare infondata la notizia che Hunter Biden aveva fatto pressione sul padre quando il primo era nel consiglio di amministrazione dell’impresa energetica ucraina Burisma.

Queste riflessioni tengono necessariamente in conto il ruolo dei social media, che in effetti spalmano sul mappamondo il vociare di chi ne fa parte. Seguaci, influencer, giornalisti, ciarlatani e lo stato, sia questo rappresentato dai suoi organi istituzionali, dai servizi segreti e da qualsiasi altra forza, tutti riescono a far sentire la loro voce in qualsiasi angolo di mondo grazie al megafono dei social.

La rete dei social e’ una miriade di ragnatele che si intersecano; ognuna ha una sua identità ed e’ composta da gente ed istituzioni con un comun denominatore. La forza, ma anche la debolezza, di questa costruzione sta nel piacere che si prova nello scambiare idee ed opinioni con chi la pensa esattamente come noi. E questo vale nel bene e nel male.

Fin qui nulla di nuovo sotto il sole, il vero problema dei social sono le dimensioni globali delle ragnatele ed il loro intersecarsi. Il pericolo per lo stato o per la “democrazia” e’ perdere, a causa delle dimensioni globali, il controllo del sistema d’informazione, sapere insomma chi dice cosa e perche’ e chi ne percepisce il messaggio. De fatto il ‘monopolio di informazione’ spetta allo stato anche in democrazia, e’ lo stato infatti che decide cosa il cittadino deve sapere e cosa invece e’ meglio che non sappia. Ricordiamoci che Julian Assange e’ stato accusato di spionaggio perche’ ha divulgato informazioni che dovevano rimanere segrete.

La censura limita il raggio di gettata dei social. Fino all’avvento di Facebook e Telegram non ce ne e’ stato bisogno perche’ lo stato riusciva a contenere l’impatto dell’internet e lella crittografia. In altre parole, l’Internet era un libro aperto. Ma per farlo si sono perseguite politiche ben specifiche, che vale la pena ricordare.

Nel 1976, due matematici di Stanford, Whitfield Diffie e Martin Hellman, inventarono un nuovo sistema crittografico che chiamarono "crittografia a chiave pubblica". In questo sistema a ogni utente vendono assegnati dei codici personali costituiti da due "chiavi", diverse ma matematicamente correlate tramite un numero primario condiviso. La matematica alla base della crittografia a chiave pubblica è molto complessa, ma l'idea è semplice: si puo’ condividere la chiave "pubblica" con tutti e loro possono usarla per crittografare i messaggi. Ma i messaggi possono essere decriptati solo con una chiave "privata", segreta e personalizzata, una chiave che solo i destinatari possiedono. Per spiegare, immaginiamo che i messaggi crittografati arrivino nella nostra casella di posta. Inserirli è facile, chiunque può farlo. Ma solo chi ha la chiave, unica e personale, può aprire la casella di posta. Senza quella chiave, i messaggi rimarranno nella casella di posta per sempre; non possono essere estratti. Prendere possesso della chiave privata è statisticamente molto difficile; copiarla è praticamente impossibile. Questo semplice principio è alla base della tecnologia blockchain e bitcoin.


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La crittografia a chiave pubblica ha rivoluzionato i potenziali utilizzi della crittografia perché ha consentito l'invio di messaggi crittografati senza dover scambiare un codice e senza doversi incontrare di persona. È facile capire perché nel lontano 1976 il governo americano non volesse che questa invenzione venisse divulgata. E cosi’ Washington intervenne per bloccare la divulgazione della crittografia a chiave pubblica. Prima che Diffie e Hellman potessero pubblicare, la National Security Agency (NSA) avvertì che farlo avrebbe costituito un reato federale. In che modo? E’ semplice: con l'Arms Export Control Act del 1976, il Congresso aveva di fatto messo al bando la distribuzione e l'esportazione di armi verso altri paesi senza licenza, e la crittografia era stata classificata come "arma strategica". La pena per la violazione era fino a dieci anni di carcere o una multa fino a 1 milione di dollari.

L'Arms Export Control Act segna l'inizio delle "guerre crittografiche": la battaglia legale e di pubbliche relazioni tra la comunità dell'intelligence e gli attivisti della privacy informatica. Il campo di battaglia era il diritto dei cittadini di utilizzare la crittografia per scopi personali, ovvero di rimanere anonimi online.

Fino all'inizio degli anni '90, la crittografia a chiave pubblica è rimasta dominio esclusivo del governo degli Stati Uniti, che ha costruito una serie di legislazioni attorno ad essa per garantire alle istituzioni governative l'accesso alla privacy crittografica dei cittadini. All'inizio del 1991, il Senato degli Stati Uniti ha introdotto una legge che obbligava i fornitori di servizi di comunicazione elettronica a consegnare i dati personali degli utenti alle autorità statali. L'approvazione della legge è stata promossa dall'allora senatore Joe Biden, ora presidente degli Stati Uniti.

Alla fine del 1991 l'attivista antinucleare e programmatore informatico Phil Zimmermann inventò il software Pretty Good Privacy, meglio noto come PGP, che rese accessibile a tutti online, gratuitamente la crittografia a chiave pubblica. Da quel momento in poi, divenne possibile per due individui comunicare senza alcun rischio che i loro messaggi venissero intercettati e decifrati da chiunque altro. PGP aprì le porte al futuro dell'e-commerce e fu il nonno delle criptovalute. Gettò anche le basi del dark web, uno sviluppo che Zimmermann non aveva previsto e che, anni dopo, lo portò a pentirsi di aver divulgato PGP.

Nel 1993, il governo degli Stati Uniti introdusse il "Clipper chip", un sistema di crittografia standard per Internet, le cui chiavi sono tutte detenute dalla National Security Agency.

Oggi il problema della criptografia non si pone, lo stato ha ampio accesso ai contenuti dei social, fa paura invece la divulgazione di una narrativa diversa da quella ‘ufficiale’, una narrativa non terrorista o criminale (per contrastare queste gli strumenti ci sono e tanti) ma semplicemente critica ed alternativa. Ecco che la censura diventa l’arma migliore per bloccarla.

Ma per quanto? La storia ci insegna che censurare e’ spesso un boomerang.

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