L'inflazione come arma di guerra in Venezuela



di Fabrizio Verde

L’inflazione come arma di guerra. Questo è quanto accade in Venezuela dove i cittadini stanno subendo il colpo più brutale dell’anno in riferimento all’aumento dei prezzi. Nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni del 15 ottobre, il prezzo dei beni di prima necessità ha subito un’impennata del 40%, mentre subito dopo la netta vittoria conseguita dal chavismo questi hanno subito un’ulteriore rialzo del 50%.

In un’intervista concessa a RT, Juan Carlos Valdez, specialista di diritto tributario, segnala che il primo incremento, precedente alle elezioni, fu programmato per «intimidire», mentre il secondo per «castigare». Le oligarchie venezuelane evidentemente non hanno gradito che il popolo si sia espresso nuovamente a favore del chavismo. In una fase di grande difficoltà economica per un paese segnata da una guerra economica spietata. Di cui l’inflazione è parte integrante.

Secondo l’esperto, gli accordi e le trattative tra il governo e le imprese per stabilire prezzi giusti sono fallite per una ragione molto semplice: la maggioranza degli imprenditori «lavorano per rovesciare il governo».

Sul tema inflazione si è nei mesi scorsi espresso con cognizione di causa l’economista Alfredo Serrano Mancilla, in un articolo (Manuale di stupidaggini sull’inflazione in Venezuela) tradotto in italiano da l’AntiDiplomatico. Scrive Serrano Mancilla: «Nessuno nega che i prezzi in Venezuela siano un problema. Proprio per questo, la questione non può essere trattata con tanta leggerezza. La formazione dei prezzi è un problema infinitamente più complesso che una relazione univoca tra due variabili. I prezzi non cadono dal cielo, non sono determinati da nessun software matematico. La famosa mano invisibile non esiste. Ogni prezzo ha la sua ragione d’essere.

In Venezuela, da diversi decenni, l’inflazione di è costituita come componente strutturale dell’economia. L’inflazione media annua nel periodo 1989-1998 fu del 52,45%. Con l’arrivo del chavismo, questo valore si ridusse significativamente, con l’eccezione degli ultimi anni. Nel periodo 1999-2012, la crescita media annuale dei prezzi fu del 22%. A partire dal 2013 questa tendenza al ribasso scomparve. I prezzi tornarono a crescere con maggiore velocità. L’inflazione giunse al 56,2% nel 2013; 68,5% nel 2014; 180,9% nel 2015».

L’incremento dell’inflazione è causato dalle politiche implementate dal chavismo come insinuano alcuni neoliberisti da manuale? La risposta è no. Spiega l’economista spagnolo: «Non tutto è dovuto all’aumento degli aggregati monetari. Numericamente è molto semplice dimostrarlo. Basta dare uno sguardo ad alcuni casi per renderci rapidamente conto che non vi è alcuna relazione diretta. È vero che nel 2015 l’inflazione fu elevata (180,9%) così come anche l’emissione monetaria (100,66%). Tuttavia, non è stato sempre così. Osserviamo l’anno 2006: con maggiore creazione di denaro (104,34%), l’inflazione fu relativamente bassa (17%). Oppure guardiamo l’anno 1996, prima dell’avvento del chavismo al potere, l’inflazione giunse al 103% con una crescita della massa monetaria del 55%. Comunque si guardi la questione, non vi è alcuna relazione semplicistica tra prezzi e denaro in circolazione».

Per comprendere il fenomeno in Venezuela, bisogna prendere in considerazione anche ulteriori varianti: «Altro aspetto fondamentale, dimenticato dal Manuale di stupidaggini sull’inflazione in Venezuela, è l’influenza della struttura oligopolistica dell’offerta sulla formazione dei prezzi. Sono poche (e grandi) le aziende private che hanno un tale potere di mercato da poter fissare i prezzi. La loro posizione dominante gli permette di vendere un prodotto a un prezzo eccessivo. Non vi è concorrenza sufficiente per mettere in discussione il prezzo esorbitante. O si acquista a quel prezzo o non si riesce a trovare il prodotto. La concentrazione industriale oltre ad essere ingiusta è notevolmente inefficace in materia di prezzi.

Non possiamo dimenticare il ruolo delle importazioni in un’economia fortemente dipendente dall’estero. Paradossale è che mentre l’economia mondiale si trova in una fase di prezzi bassi, in Venezuela i prodotti importati giungono a prezzi gonfiati. A cosa è dovuto? I prezzi di trasferimento sono la risposta. Si importa a prezzi superiori rispetto ai marcatori di riferimento internazionali. Da questa situazione traggono beneficio solo gli intermediari, mentre viene oltremodo penalizzata la popolazione venezuelana.

Anche la distribuzione ha molto da dire su questa problematica. Le catene distributive influenzano la formazione dei prezzi. Si innestano come attori fondamentali nella catena del valore e portano il prezzo molto al di sopra dei suoi veri costi. Raramente generano valore aggregato ma sono responsabili del 40% dell’incremento dei prezzi. Questo fenomeno è ancora poco studiato dall’economia convenzionale, nonostante i distributori siano importanti agenti economici con grandi margini di profitto (che si traducono in perdita del potere d’acquisto per la cittadinanza)».

Senza poi dimenticare il ruolo svolto da Dolar Today, un indicatore illegale fissato direttamente dall’Alabama, negli Stati Uniti.

A questo punto, RT, chiede «che fare?». Valdez indica come possibile soluzione l’acquisto diretto da parte del governo di prodotti alimentari dai grandi gruppi industriali del paese. Prodotti che poi saranno consegnati direttamente alle comunità organizzate per la distribuzione. Come avviene con i Comités Locales de Abastecimiento y Producción (Clap), che sono stati definiti in maniera unanime come efficienti.

Inoltre andrebbero aumentati ancora i salari minimi e i ticket alimentari. Nel solo 2017 il governo Maduro ha effettuato ben 4 aumenti per oltre il 40% del salario minimo, al fine di contrastare l’inflazione galoppante indotta.

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