Naufragata miseramente la strategia golpista, nelle ultime settimane c'è stato un graduale ma significativo cambiamento nel linguaggio utilizzato dal governo degli Stati Uniti, presieduto da Joe Biden, nei confronti dell'esecutivo del presidente venezuelano Nicolás Maduro.
La portavoce del Dipartimento di Stato, Julie Chung, così come l'ambasciatore per il Venezuela, James Story, nelle loro dichiarazioni e nei loro tweet, non definiscono più il golpista Juan Guaidó presidente. Lo sostengono, sì, e sostengono il suo "Accordo di salvezza nazionale", ma l'idea del mandato provvisorio, di un governo parallelo, che implica disconoscere la presidenza di Nicolás Maduro, è uscita dalla grammatica del governo di Joe Biden.
Le comunicazioni più recenti del Dipartimento di Stato Usa non hanno più utilizzato il termine "presidente" per riferirsi al leader dell'opposizione Juan Guaido, che nel gennaio 2019 si autoproclamò "presidente ad interim" del Venezuela, e fu riconosciuto ben presto dall'allora amministrazione statunitense presieduta da Donald Trump e da altri 50 paesi.
We support @jguaido & the Venezuelan opposition's efforts to peacefully restore democracy to Venezuela via free & fair presidential & parliamentary elections. The only solution to this crisis is a comprehensive agreement leading to a democratic outcome Venezuelans want & deserve. https://t.co/24ovOY6ND5
— Julie Chung (@WHAAsstSecty) May 12, 2021
Questo cambio di posizione ha avuto conseguenze dirette e rapide in altri paesi e presso l’Unione Europea, lesta nel seguire pedissequamente le mosse di Washington. Diversi paesi hanno quindi deciso di non riconoscere più Guaidò come presidente.
Farebbero bene a riflettere a tal proposito i sostenitori del golpista venezuelano fuori tempo massimo. L’Italia all’epoca dell’autoproclamazione pur sostenendo l’agenda golpista del burattino statunitense, decise di non riconoscere la sua presidenza fittizia.
Al vertice iberoamericano, tenutosi lo scorso aprile, a cui hanno partecipato quasi trenta rappresentanti dei governi della regione, il governo di Maduro era presente tramite la vicepresidente Delcy Rodríguez.
La nuova posizione è emersa anche questa settimana quando il presidente francese Emmanuel Macron ha condiviso con il suo omologo argentino, Alberto Fernández, la necessità di una soluzione pacifica e democratica per affrontare la questione del Venezuela, cambiando la posizione mantenuta dal suo governo nei due anni precedenti.
Il Gruppo di Lima, da qualcuno definito Cartello di Lima, ha invece praticamente sospeso le sue attività, non si è più incontrato né ha rilasciato dichiarazioni contro il governo Maduro. Segno del fallimento totale della strategia golpista. Questo era l’intento del gruppo per cui il gruppo dei governi neoliberisti e di destra della regione era stato concepito.
In questo nuovo scenario la comunità internazionale sostiene lo svolgimento delle elezioni in Venezuela che fino a poco tempo fa venivano subordinate alle dimissioni di Maduro. L'opposizione più estrema e golpista che fino a poco tempo fa chiedeva il boicottaggio di qualsiasi processo elettorale con Maduro al potere, ha subito iniziato a muoversi in questa direzione, palesando la sua intenzione di partecipare alle elezioni.
Gli assalti golpisti dell’opposizione capeggiata da Leopoldo Lopez e Guaidò, sostenuti dall'estero per rovesciare Maduro, hanno impedito all'opposizione di partecipare alle elezioni presidenziali del 2018, alle elezioni regionali del 2019 e alle elezioni parlamentari del 2020.
Per questo motivo, gli oppositori sono rimasti praticamente senza rappresentanza negli spazi politici del paese sudamericano. La destra ha attualmente quattro governatori e una manciata di deputati dell'opposizione in Parlamento. Questo perché hanno ignorato le linee ufficiali dei loro partiti.
Con l'intenzione palesata da alcuni partiti di opposizione di partecipare alle elezioni, i problemi di legittimazione non si trovano solo nel governo, ma anche nelle fila dell'opposizione.
Il cambiamento di tono dell'opposizione verso il chavismo si può ravvisare anche nelle accuse ingiuriose rivolte solitamente al presidente Maduro. Fino a poco tempo fa era chiamato “narcotrafficante” o "terrorista" dai leader radicali di destra. Ma, all'improvviso, nessuno di loro usa questi epiteti per riferirsi al presidente.
Maduro fissa i paletti
Il presidente venezuelano è pronto al dialogo. Anche con l’opposizione più estremista rappresentata da Guaidò. Ma fissa alcuni paletti: in primis la rinuncia al golpismo come arma di lotta politica.
“Questa opposizione estremista rinunci al golpismo, all'interventismo e alla richiesta di invasioni contro il Paese; e riconosca la Costituzione e i poteri legittimi del Venezuela”, ha affermato il presidente in una giornata speciale di attenzione alle vittime del blocco imperiale promosso dall'opposizione.
Maduro ha poi aggiunto che il secondo punto per aprire il dialogo è “che rendano conto di tutte le risorse fornite dal governo degli Stati Uniti per cospirare e restituiscano tutti i conti bancari, le società Citgo e Monómeros nelle mani dello Stato venezuelano. Il recupero di tutte le risorse”.
“Vogliono dialogare? Io voglio discutere! Che vengano quelli che vogliono venire", ha detto, riferendosi all'Unione Europea e a qualunque ente, istituzione e governo che voglia partecipare ad una mediazione per la pace e la conciliazione.
Dialogo sempre aperto
Infine, Maduro ha ricordato che in Venezuela lo spazio per il dialogo è sempre stato aperto e non è stato lui ad averlo abbandonato. "Il mondo intero sa che c'è un dialogo permanente qui, non solo ora, da sempre”. A tal proposito ha ricordato una giornata in particolare: “Ricordo il giorno in cui li ho invitati nell'aprile 2014 al Palazzo Miraflores e abbiamo trascorso 8 ore sulla rete nazionale, per citare solo un evento. Ricordo che dopo i droni e il bombardamento per uccidermi ordinato da Julio Borges tornai a convocare tutti gli esponenti dell’opposizione”.
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