Una petroliera noleggiata per trasportare 650.000 barili di petrolio diluito fornito da PDVSA all'italiana Eni è arrivata nelle acque venezuelane il 10 giugno 2022.
Il carico sarà il primo ad essere prelevato dall'azienda italiana dopo aver ricevuto a maggio l'autorizzazione del governo statunitense all’esportazione del petrolio venezuelano.
Questo tipo di operazioni erano state sospese dall'amministrazione dell'allora presidente USA Donald Trump, nell'ambito delle sanzioni imposte a PDVSA dal 2019, che miravano a rimuovere dal potere il presidente venezuelano Nicolás Maduro.
Il Dipartimento di Stato nordamericano ha rilasciato un'autorizzazione simile alla compagnia petrolifera spagnola Repsol.
L'arrivo nelle acque venezuelane della nave Aframax Minerva Zoe, battente bandiera greca e noleggiata dalla compagnia petrolifera italiana Eni, costituisce la prova necessaria a confermare le voci di un imminente alleggerimento delle sanzioni statunitensi sul Venezuela. Insomma, anche a causa dei problemi energetici derivanti dagli embarghi imposti contro la Russia, l’amministrazione Biden sembra decisa a un graduale smantellamento della politica di "massima pressione" esercitata da Trump sul Paese caraibico, nel vano tentativo di rovesciare la Rivoluzione Bolivariana.
Non si tratta più solo di dichiarazioni dei portavoce statunitensi. Non si tratta nemmeno di indiscrezioni dei media internazionali, sempre supportati da "fonti anonime". L'arrivo della suddetta nave venerdì scorso è un fatto che non può essere interpretato in molti modi: le compagnie petrolifere europee stanno riprendendo le loro forniture ai terminali venezuelani.
Nonostante i media internazionali, in particolare Reuters e Bloomberg, avessero avvertito di questo alleggerimento delle misure dell'Office of Foreign Assets Control (OFAC), alcuni sottosegretari e portavoce della Casa Bianca continuavano a nascondersi dietro il riconoscimento che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden continua a dare a Juan Guaidó come "presidente incaricato” del Venezuela per evitare le critiche che settori conservatori, sia repubblicani che democratici, lanciano su un'ancora ipotetica svolta nei confronti di Caracas.
Non è un caso che siano le compagnie petrolifere europee a rompere il blocco che si è inasprito nel 2019 contro il Venezuela, come evidenzia RT. La crisi energetica causata dal conflitto in Ucraina ha portato il Vecchio Continente, i cui paesi pagano il prezzo maggiore, a chiedere agli Stati Uniti di alleviare la "sensazione di insicurezza" che circonda la scarsità e gli alti prezzi del petrolio, motivo per cui hanno bisogno di nuove fonti di approvvigionamento. E Washington ha accolto la richiesta europea.
Secondo il sociologo e analista politico venezuelano Ociel Alì Lopez, professore presso la Universidad Central de Venezuela, non è causale che sia proprio l’italiana Eni la prima a riprendere le importazioni di petrolio venezuelano. «Il governo italiano è stato uno dei pochi in Occidente a non inchinarsi alla narrativa statunitense quando cercava di implementare il ‘governo parallelo’”.
La nave dovrebbe caricare 650.000 barili di greggio diluito presso il terminale del complesso petrolchimico e industriale General José Antonio Anzoátegui nei prossimi giorni.
Siamo davanti a un evento cruciale per il Venezuela. Per Caracas era già previsto un ritorno alla crescita economica dopo anni di inenarrabili sofferenze imposte dagli Stati Uniti, ma adesso con la prova concreta della rottura "legale" dell'assedio il Venezuela torna a essere un’opzione concreta l'acquisto di carburante e le relazioni commerciali.
Se l'Europa è d'accordo, l'America Latina la seguirà presto. Questo si nota già nei discorsi molto più equilibrati degli attuali presidenti della regione, anche di quelli facenti parte dell’ormai naufragato Gruppo di Lima, una coalizione di governi che voleva intervenire in vari modi in Venezuela per rovesciare violentemente il suo governo.
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