Da Contropiano
L’informazione italiana aveva preferito ignorare la notizia, oppure darne una versione politica di basso profilo e lievemente insultante (“un vertice tra dittatori”).
Ancora adesso mancano resoconti sulla quantità e rilevanza degli accordi raggiunti o in vi di definizione. Come se le dimensioni dello spostamento degli equilibri globali in corso fossero inconcepibili per chi, di mestiere, fa “la voce del padrone”.
Pensavamo di essere quasi soli nel cogliere quel che sta avvenendo, e magari ci sarebbe potuto venire il dubbio di aver esagerato. Poi il sempre acuto Guido Salerno Aletta, in un editoriale su TeleBorsa, ha lanciato il suo sasso nello stagno.
La sua analisi andrebbe approfondita (ad esempio su gas e petrolio, le cui riserve si vanno riducendo a un ritmo accelerato, o sulla “autonomia energetica” Usa – che, essendo fondata sull’estrazione da scisto, equivale a un raschiare il fondo del barile, e dunque è solo temporanea), ma non mancherà occasione a breve termine.
La Storia è in movimento, guai a chi non lo vede. O, peggio ancora, lo nasconde…
Buona lettura.
*
di Guido Salerno Aletta
Inutile nasconderselo: il gas ed il petrolio rimarranno ancora per decenni una fonte energetica insostituibile per molti Paesi, soprattutto per la Cina che si è accaparrata con decisione il ruolo di Fabbrica del Mondo.
Chiunque oggi faccia i conti con le emissioni di CO2, per decidere dal punto di vista della sostenibilità ambientale chi è “buono” rispetto a chi invece è “cattivo”, dovrebbe considerare che la gran parte delle emissioni derivano dalla attività industriale, e soprattutto da quella legata alla produzione siderurgica e dalla chimica di base.
In pratica, nel momento stesso in cui l’Occidente ed in particolare gli Usa e buona parte dell’Europa si è deindustrializzato, delegando la produzione manifatturiera alla Cina, da cui però importa le merci ivi prodotte e che gli sono necessarie, è indirettamente responsabile delle tonnellate di CO2 che sono state emesse per produrre in Cina queste merci.
C’è una componente energetica in qualsiasi attività umana ed in ogni merce e servizio prodotto, ivi compresa la consegna a domicilio delle centinaia di milioni di pacchetti contenenti le merci vendute per corrispondenza che richiedono un gigantesco frazionamento quotidiano dei recapiti a domicilio.
Quello che è certo è che il processo di decarbonizzazione della produzione sarà lungo, con un orizzonte di parità che la Cina ha già delineato appena oltre la metà di questo secolo, verso il 2060: ci sono davanti ancora quarant’anni, un periodo di tempo ancora più lungo da quello che è trascorso dalla dissoluzione dell’URSS, che data al dicembre del 1991. Da allora non è passato che un trentennio.
La Cina non si fa illusioni: mentre sta dando priorità assoluta alla lotta all’inquinamento ambientale guarda molto avanti sul piano energetico, rafforzando i rapporti internazionali di approvvigionamento: dopo la Russia, l’Iran ed il Venezuela, anche l’Arabia Saudita è diventata da tempo un punto di riferimento strategico.
La diversificazione delle fonti geografiche e geopolitiche è un atteggiamento di grande prudenza, analogo a quello che aveva caratterizzato fino a qualche anno fa l’approvvigionamento di gas e di petrolio dell’Italia, con le provenienze da Libia, Algeria, Nigeria, Paesi del Golfo, Mar Caspio e Russia.
Quest’ultima è divenuta preponderante per una serie di vicende belliche e di orientamenti ostili alla realizzazione di gasdotti nuovi, come il GALSI (Gasdotto Algeria Sardegna Italia), che avrebbe dovuto collegare già da anni l’Algeria alla Sardegna per arrivare a Piombino, al fine di alimentare le acciaierie.
Non avendolo realizzato, non solo le industrie ad alto consumo energetico localizzate storicamente in Sardegna per la produzione di alluminio sono in grave difficoltà, ma si sta cercando di localizzare il più celermente possibile un impianto galleggiante di rigassificazione di GNL di fronte a Piombino, pena la chiusura degli impianti siderurgici.
La Cina guarda avanti, e l’Arabia Saudita è un interlocutore fondamentale nelle relazioni energetiche globali, soprattutto per il peso che esercita nell’ambito dell’OPEC+, l’organizzazione dei Paesi produttori di petrolio che ha associato anche quelli di gas.
C’è un altro aspetto da considerare: nella misura in cui la Cina usa lo Yuan per pagare le proprie importazioni energetiche, e dunque sulla base di pochi contratti con singoli Paesi, ma di grande valore e di lunga durata, può cercare di internazionalizzare la propria valuta limitando il rischio di speculazioni.
In pratica, nel momento stesso in cui la Cina diviene acquirente di gas e petrolio, pagandoli in Yuan, può delineare uno scenario in cui il consistente provento a lungo termine incassato del Paese venditore possa essere investito in iniziative finanziarie a lungo termine, con investimenti di comune interesse sul piano strategico.
Questo significa delineare legami di lungo periodo che vanno al di là della semplice fornitura energetica: hanno implicazioni monetarie, finanziarie e politiche.
Va rilevato in proposito che la completa autonomia energetica conquistata dagli Usa attraverso lo sfruttamento dei giacimenti di scisto, da cui si estraggono lo shale oil e lo shale gas che poi viene liquefatto per agevolarne il trasporto via mare, ha ridotto anche l’interdipendenza politica, finanziaria e strategica con l’Arabia Saudita che era nata nel 1945 con la Special Relationship che tenne a battesimo anche la costituzione della ARAMCO (Arabian American Company).
Il Presidente americano Roosevelt incontrò il Re Saud a bordo della USS Quincy, che attraversava il Canale di Suez nel giorno di San Valentino del 1945, dopo aver appena firmato il Patto di Yalta con Stalin e Churchill. Ad accompagnare Roosevelt c’era Rockefeller, ricchissimo e potentissimo finanziere e petroliere americano.
Tutti sanno quanto sin da allora il pagamento esclusivamente in dollari del petrolio contrattato sui mercati internazionali abbia favorito la diffusione e la conseguente forza straordinaria della valuta americana, e quanto i “petrodollari” siano stati utili per finanziare il deficit federale statunitense e per sostenere i corsi di Wall Street.
Con la indipendenza energetica, gli Usa hanno perduto da qualche anno il contributo dei Petrodollari dell’Arabia.
Viste le ruvidità nei suoi confronti, la Cina ha dapprima cessato l’acquisto di sempre nuovo debito pubblico americano e poi ha cominciato a ridurne le detenzioni, non reinvestendo alla scadenza.
Arabia Saudita e Cina sono entrambi esportatori netti, ed una posizione finanziaria internazionale netta attiva ed in continua crescita: hanno dunque cospicui capitali da investire.
* Agenzia Teleborsa
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