L’incontro via web tra Putin e Xi Jinping di due giorni fa ridicolizza la propaganda dilagata in occidente in questi dieci mesi di guerra ucraina riguardante la crescente insofferenza della Cina verso l’avventurismo bellico di Mosca. In diverse note abbiamo spiegato come tale vulgata fosse un prodotto delle utopie degli strateghi ultra-atlantisti e l’ennesima confusione occidentale tra desideri e realtà.
Tale vulgata propagandistica aveva due scopi: accreditare ancor più l’isolamento internazionale di Putin e togliere ai critici del supporto americano all’Ucraina un tema cruciale, spesso materia di discussione negli ultimi anni, riguardante l’impossibilità per gli Stati Uniti di impegnarsi in conflitti contemporanei (di intensità diversificata) con le due superpotenze, essendo impossibile sostenere adeguatamente due fronti aperti.
L’ennesima conversazione tra Putin e Xi ha evidenziato la vacuità di tale propaganda, riproponendo la realtà di una convergenza sempre più stretta tra le due superpotenze, che sta interessando sempre più il livello militare, come hanno dichiarato i due leader al termine della conversazione.
Un chiaro indizio di una più stretta collaborazione anche sul piano militare, e a più alto livello, si era avuto già nel novembre scorso, quando un’esercitazione congiunta di Cina e Russia aveva portato i bombardieri strategici dei due Paesi, cioè quelli preposti alla deterrenza nucleare, a sorvolare insieme il Mar del Giappone e il Mar cinese orientale per poi atterrare a basi invertite: quelli russi in Cina e quelli cinesi in Russia. Era la prima volta che si registrava un interscambio del genere.
L’alleanza delle due superpotenze sarà ostentata nuovamente al mondo nella visita di Xi a Mosca nella prossima primavera, preannunciata dall’invito ufficiale di Putin al suo omologo cinese nel corso della conversazione via web, ma è già attiva nei fatti.
Tale alleanza ha risorse economico-militari equivalenti a quelle della Nato, così che l’idea dei neocon di vincere questa guerra mondiale – che oggi ha il suo focus in Ucraina e domani forse a Taiwan – è semplicemente folle, dal momento che tale fondamentalismo non può non comprendere nel suo armamentario ideologico, come prospettiva possibile, anche una guerra termonucleare.
Una prospettiva folle resa più possibile dalla progressiva presa di coscienza che piuttosto che vincere, l’Occidente è destinato a perdere la guerra che essa stessa ha dichiarato quando, mediante le guerre infinite brandite dai neocon, ha preteso di aggiogare tutto il mondo alla sua leadership.
In altra nota abbiamo riportato ampi brani di un articolo di Robert G. Rabil pubblicato sul National Interest che dava conto di come tanti Paesi neutrali o in precedenza legati agli Usa abbiano iniziato a guardare con favore al binomio Cina-Russia. Un processo lento, che potrebbe accelerare man mano che la guerra segreta per l’influenza sul mondo procede.
Un esempio eclatante di tale evoluzione lo prendiamo dal Global Times: “Su invito del presidente cinese Xi Jinping, il presidente delle Filippine Ferdinand Romualdez Marcos Jr. si recherà in visita in Cina dal 3 al 5 gennaio 2023, ha annunciato venerdì Hua Chunying, portavoce del ministero degli Esteri cinese. Marcos sarà il primo capo di stato straniero ricevuto in Cina nel 2023, a dimostrazione dell’importanza attribuita alle relazioni Cina-Filippine, ha affermato il ministero degli Esteri cinese”.
Sulle relazioni tra i due Paesi anche una nota di Defense Post che spiega come, nel corso della visita, verrà siglato un accordo per istituire un canale di comunicazione diretta tra Pechino e Manila per evitare incidenti a rischio escalation nel Mar cinese meridionale, acque sulle quali è aperto un complesso contenzioso tra i vari Stati che vi si affacciano.
Una notizia in apparenza secondaria, ma che tale non è, dal momento che esistono già canali simili tra Usa e Cina. La novità è che Manila in tal modo non si affida più totalmente ai canali americani, ma si rapporta direttamente con Pechino.
Un altro indicatore di come il mondo si stia muovendo in modo disarticolato rispetto agli schemi pregressi viene dal rapporto sulla strategia Indo-pacifica della Corea del Sud, documento la cui importanza viene descritta in tal modo da Kim Sung-han, Consigliere per la Sicurezza nazionale di Seul: “La strategia indo-pacifica è una strategia regionale-globale volta a definire e facilitare i nostri interessi nazionali nella regione, la cui importanza geopolitica è in continua crescita”.
Di tale rapporto dà conto il Washington Examiner, che spiega come la Cina sia menzionata una sola volta in un documento composto da 43 pagine e non nei termini discendenti dalle linee guida della strategia Indo-pacifica americana, che hanno come scopo dichiarato il contenimento di Pechino, obiettivo che può essere conseguito solo in virtù del supporto degli alleati asiatici di Washington, di cui Seul rappresenta la punta di diamante insieme a Tokio.
Invece, “nella sua unica menzione della Cina”, il documento di Seul la definisce un “partner chiave” aggiungendo che la Corea del Sud si “impegnerà per costruire una relazione più solida e matura mentre perseguiamo interessi condivisi basati sul rispetto reciproco e sulla reciprocità, guidati dalle norme e le regole internazionali”.
Non si tratta di magnificare le sorti progressive dell’alleanza cino-russa, solo di evidenziare come le gabbie dell’unilateralismo americano si siano ormai aperte ed è ormai impossibile richiuderle.
Urge che nei circoli atlantici, ai quali partecipano in via subordinata i Paesi europei, si affermi una dottrina più realista rispetto alla situazione attuale, alla Kissinger per intendersi, che eviti al mondo le fumisterie e le follie del fondamentalismo neocon, che condannano il pianeta alla catastrofe.
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