Il primo ministro saudita, principe Mohamed bin Salman, ieri ha chiamato Vladimir Putin con il quale si è intrattenuto in una lunga conversazione, come si intuisce dagli argomenti toccati, cioè la “cooperazione tra i due paesi per portare stabilità al mercato petrolifero globale” attraverso l’Opec plus (dei quali sono i più autorevoli membri), ma anche l’incremento della cooperazione in altri settori e altro.
Questo altro è rivelato dal report del Cremlino, nel quale si legge che “i due leader si sono scambiati opinioni su vari aspetti degli sviluppi in Medio Oriente nel contesto degli sforzi a cui stanno partecipando Russia e Arabia Saudita per risolvere le crisi regionali”.
Se si tiene presente l’importanza del recente appeasement mediato dalla Cina tra sauditi e iraniani, si può intuire la portata di quanto i due si siano detti. In ballo, oltre al disgelo suddetto, c’è soprattutto il disgelo dei Paesi arabi con la Siria e la riammissione di questa in seno alla Lega araba, dossier sul quale sta lavorando Riad.
Lo stretto rapporto tra Putin e Assad è notorio, come nota è la presenza dell’esercito russo in Siria, ed è più che probabile che i due si siano soffermati non poco sui modi per superare le resistenze di alcuni Paesi al ritorno di Damasco nella Lega araba (iniziativa che, peraltro, incontra il niet di Washington).
Ma al di là del particolare, se segnaliamo questa conversazione telefonica, avvenuta nella festa dell’Eid al-Fitr, che segna la fine del Ramadan (anche la coincidenza temporale ha la sua importanza simbolica), è per segnalare come la Russia stia lavorando in combinato disposto con la Cina per risolvere le decennali conflittualità mediorientali.
E se l’intesa Iran – Arabia Saudita mediato da Pechino potrebbe risolvere la guerra yemenita, l’accordo tra Riad e Damasco apre possibilità non solo a una pace tra quest’ultima e l’ecumene arabo, che in passato aveva alimentato il regime-change contro Assad guidato dagli Usa, ma anche prospettive nuove per una possibile pacificazione interna alla Siria.
Da questo punto di vista va segnalato che “poche ore dopo che il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha visitato Damasco”, i curdi siriani hanno emesso un comunicato nel quale dichiaravano la propria disponibilità a incontrarsi con una delegazione di Damasco per avviare negoziati, aggiungendo che erano pronti a condividere le risorse economiche sotto il loro controllo (The Cradle).
I curdi siriani, infatti, controllano la zona petrolifera della Siria sotto la rigida tutela degli Stati Uniti che quel petrolio lo rubano al popolo siriano, che è così costretto a importarlo dall’estero.
Al di là del particolare, che peraltro evidenzia quanto gli Usa osservino l’integrità territoriale altrui e le regole internazionali (come da proclami anti-russi), resta appunto l’apertura di credito dei curdi verso Damasco, non nuova dal momento che segue altre del passato, ma più promettente delle precedenti, che non hanno avuto alcun esito.
E promettente proprio perché la coincidenza temporale con la visita del ministro saudita porta a immaginare un passo diplomatico di Riad accolto dai curdi siriani. Un’accoglienza che porta a sperare che la diplomazia e i soldi sauditi possano riuscire a smussare le diffidenze dei curdi verso l’autorità centrale e attutire il risentimento di queste ultime verso i curdi che gli hanno mosso guerra per conto terzi.
Da annotare come più che rilevante il fatto che durante la visita del ministro degli Esteri saudita, avvenuta quattro giorni fa, questi ha invitato Assad a Riad. Sarebbe una svolta di portata epocale e, insieme, uno scacco per l’Occidente che ha tentato e sta tentando di tutto per eliminare dallo scacchiare internazionale, e da questo mondo, il presidente siriano.
Vladimir Putin non è estraneo a tutto ciò, anzi. Insieme a Xi Jinping sta rimodellando il Medio oriente in modi e forme impensabili fino a pochi mesi fa usando dei disastri combinati dagli americani, che dalla guerra irachena in poi non hanno fatto altro che alimentare conflittualità e divisioni.
Un tempo l’America attirava a sé grazie alla promessa che l’adesione all’Impero garantiva prosperità. Col tempo e le guerre infinite hanno promesso Sicurezza, ma questa nuova direttrice ha portato solo conflitti interminabili e un’erosione delle ricchezze della regione.
Ora a promettere prosperità sono Pechino e Mosca e a essi i Paesi mediorientali si stanno rivolgendo. Più che inveire contro i due competitor globali, gli Stati Uniti dovrebbero rivolgersi contro quegli ambiti di politica estera che hanno mutato in maniera tanto nefasta la natura del loro imperium.
Ps. Da notare che, di recente, sia Mohamed Bin Salman che il suo omologo degli Emirati arabi, lo sceicco Mohammed bin Zayed al Nahyan si erano negati a una conversazione telefonica con Biden (Wall Street Journal).
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