C'è chi prepara la pace e chi fomenta la guerra


di Giacomo Marchetti - Contropiano


Il 16 maggio il presidente dell’Africa del Sud, Cyril Ramaphosa, in una conferenza stampa ha dichiarato che la leadership russa ed ucraina hanno: «accettato di ricevere la missione ed i capi di Stato africani a Mosca e a Kiev».

Il leader sudafricano si è intrattenuto telefonicamente, in maniera separata, sia con Putin che con Zelensky per lanciare i preparativi di questa importante iniziativa di pace.

Domenica 21 maggio si è recata a Mosca una rappresentanza di 3 dei 6 Stati promotori dell’iniziativa. Uno degli architetti è Jean-Yves Olivier, importante uomo d’affari di origine francese – ma da tempo non proprio benvoluto all’Eliseo – nonché consigliere di differenti leader africani.

Olivier è fondatore e presidente della Fondation Brazzaville, creata del 2015. Ha fatto fortuna con il commercio mondiale delle materie prime e svolge da anni una sorta di “diplomazia parallela”. Era uno ascoltato consigliere durante l’era Chirac.

La delegazione sarà composta da rappresentanti del Senegal, dell’Uganda e del Sudafrica, ma l’iniziativa è frutto di sei Stati africani: Egitto, Senegal, Zambia, Africa del Sud, Uganda e Congo-Brazzavile.

Una iniziativa importante, pressoché ignorata dal cono di luce dei media occidentali, che mette insieme paesi che in ambito delle Nazioni Unite hanno avuto approcci diversi al conflitto tra Russia ed Ucraina.

Egitto e Zambia hanno per esempio votato il 23 febbraio insieme ad altri 138 paesi la risoluzione non vincolante per il “ritiro immediato” delle truppe russe. Il Senegal non ha partecipato al voto, mentre gli altri Stati che hanno dato vita a questa iniziativa diplomatica si sono astenuti, insieme ad una trentina di altri paesi. Bisogna ricordare che in Africa hanno votato contro il Mali e l’Eritrea.

Il Sudafrica ha una posizione di neutralità, fa parte dei Brics ma ha storici legami con Mosca e recentemente è stata nel mirino di Washington per le manovre navali congiunte con Cina e Russia, con il suo ambasciatore che l’ha accusata di fornire armi alla Russia.

L’iniziativa ha avuto il plauso dell’ONU, ha dichiarato Ramaphosa, e l’Unione Africana – che in un primo momento aveva sostenuto l’iniziativa di Jean-Yves Olivier, lanciata in via preliminare lo scorso dicembre – potrà trovare un ruolo probabilmente una volta che saranno poste le basi per ulteriori sviluppi, considerato che la sua struttura risulta troppo “pesante” per condurre questo tipo d’iniziativa dai tempi piuttosto stretti.

Di fatto per ora è stata tenuta da parte, e non citata dallo stesso leader sudafricano.

Come ha detto una fonte anonima dell’Unione Africana al quotidiano francese Le Monde, «a differenza degli europei o degli americani, gli africani soffrono indirettamente di questo conflitto ma non hanno interessi diretti da difendere».

Pensiamo a come il conflitto in Ucraina influisca sulla sicurezza alimentare di alcuni paesi, per esempio.

Una iniziativa tutta da costruire nei tempi, ma che porterà i rappresentanti dei sei paesi africani a fare la spola tra Mosca e Kiev; probabilmente tra metà giugno e l’inizio di luglio, secondo il capo della diplomazia russa Lavrov. Incontri che nelle speranze del suo “architetto” si dovrebbero tenere comunque prima del summit Russo-Africano previsto a San Pietroburgo, tra il 26 ed il 29 luglio.

Mentre l’iniziativa diplomatica africana sembra muovere i primi passi, il tour di Liu Hui – Inviato Speciale cinese per l’Eurasia – dopo la sua prima tappa in Ucraina è giunto in Polonia.

Hui a Kiev ha incontrato Zelensky, ed altri politici di alto profilo, incluso il Capo dell’Ufficio del Presidente A. Yermak ed il Ministro degli Esteri, D. Kuleba.

Hui dall’Ucraina – di cui la Cina è il primo partner commerciale – ha sollecitato le parti affinché creino «le condizioni» per «intavolare dei negoziati di pace», secondo quanto riporta una comunicato ufficiale cinese.

L’Ucraina ha riconosciuto il ruolo che svolge la Cina nella diplomazia internazionale, sedendo nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e adoperandosi per la «fine della guerra ed il ristabilimento della pace».

Kuleba ha ribadito comunque al diplomatico cinese durante i colloqui che un piano di pace non può presupporre una perdita del suo territorio ed un congelamento del conflitto.

Secondo quanto riportato in un primo momento dal South China Morning Post, all’itinerario previsto all’origine (Ucraina, Polonia, Francia, Germania, Russia) si è aggiunta Bruxelles, una tappa che probabilmente precederà Mosca, con Hui che incontrerà Gunnar Wiegand, il capo dei funzionari della UE che si occupano di Asia-Pacifico.

Si tratta quindi di un canale di comunicazione aggiuntivo rispetto a quelli preventivati, che riguardavano solo Berlino e Parigi.

L’invito a Bruxelles è un riconoscimento del peso geopolitico svolto dalla Cina ed allo stesso tempo del suo sforzo per una “soluzione politica” al conflitto ucraino, nonostante questa importante tappa non abbia finora avuto la necessaria enfasi mediatica.

Come ha dichiarato in conferenza stampa, lo scorso venerdì, il Ministero degli Esteri cinese attraverso il suo portavoce Wang Wenbin, che non ha specificato la data dell’incontro: «La Cina continuerà a promuovere discussioni per la pace e ad adoperarsi per promuovere la soluzione politica della crisi ucraina». riporta il canale di informazione cinese in lingua inglese CGTN.

Un segnale di come, al di là delle sparate propagandistiche, la relazione con la Cina – rispetto alla sua iniziativa diplomatica – è non aggirabile.

La leadership cinese è ben conscia delle sfide che l’umanità ha di fronte. Xi Jinping, durante il vertice tra la Cina e 5 Stati centroasiatici dell’ex URSS, svoltosi a Xi’an (antica capitale della vecchia Via della Seta), ha dichiarato: «il mondo odierno si confronta con cambiamenti accelerati mai visti in un secolo». Questo secondo quanto riporta El País, uno dei pochi quotidiani ad aver parlato e compreso il peso politico dell’incontro.

La Cina sta lavorando per una “normalizzazione” della regione dopo la fuga dell’Occidente dall’Afghanistan, intensificando le relazioni tra i paesi che alla fine del vertice hanno steso la Dichiarazione di Xi’an. Questo incontro è un altro passo importante, dopo l’avvio del dialogo trilaterale tra la Repubblica Popolare, il Pakistan e l’Emirato Afghano, con i Talebani al potere.

Mentre gli occhi del mondo occidentale – o meglio dei media che ne dis-orientano l’opinione pubblica – erano puntati sul vertice del G-7 in Giappone si svolgevano infatti due importanti incontri che stanno delineando il profilo di un mondo multipolare, in cui i leader di vaste regioni del pianeta (l’Asia Centrale ed il Medio Oriente, in questo caso) stanno costruendo architetture diplomatiche che ridefiniscono il piano delle relazioni internazionali e danno vita a “cornici di sicurezza” per rompere con la tendenza alla guerra prodotta dal trentennale assetto mondiale, sotto l’egemonia della globalizzazione neo-liberista a guida statunitense.

Infatti oltre al vertice a Xi’an – cui hanno preso parte la Cina, il Kazakistan, l’Uzbekistan, il Tagikistan, il Kirghizistan e il Turkmenistan – si è svolto a Jedda l’incontro della Lega Araba che ha visto nuovamente la partecipazione della Siria, dopo la sua riammissione (ne era stata esclusa nel 2011).

É stato il secondo incontro, dopo quello di Algeri dello scorso novembre, fortemente voluto dall’Algeria, in tre anni marcati dalla crisi pandemica.

Nella città saudita si è recato Bashar Al Assad, e proprio la Siria è stata al centro delle discussioni tra i 22 paesi che compongono la Lega: il ritorno dei profughi siriani – tra l’altro tema al centro della campagna elettorale per il ballottaggio delle presidenziali che si svolgeranno il 28 maggio in Turchia – la ricostruzione del paese e la normalizzazioni delle relazioni diplomatiche.

L’incontro, nella dichiarazione finale, ha tra l’altro rimesso al centro il sostegno alla causa palestinese, ma ha anche parlato della necessità di una de-escalation in Sudan, rigettando “l’interferenza straniera che può alimentare il conflitto e minacciare la stabilità e la sicurezza regionale”, e ribadito la volontà di continuare con il processo di pace in Yemen e stabilizzare la situazione in Libano.

Da Xi’an e da Jedda vengono insomma segnali importanti su come impostare una reale politica di distensione, che permetta di spostare l’orizzonte delle relazioni internazionali verso la coesistenza pacifica lì dove non sono i circoli euro-atlantici a guidare le danze.

Un altro importante segnale in questo senso viene dall’iniziativa diplomatica del Pontefice.

Sarà il cardinale Matteo Zuppi, l’incaricato di Papa Francesco nella missione di pace per cercare di mettere fine alle ostilità in Ucraina.

L’annuncio ufficiale è avvenuto sabato nel tardo pomeriggio dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Zuppi è attualmente a capo della CEI ed è arcivescovo di Bologna.

«I tempi di tale missione, e le sue modalità, sono attualmente allo Studio», ha concluso Matteo Bruni, secondo quanto riporta l’Avvenire.

Come riporta il Faro di Roma, il Cardinale – a margine dell’Inaugurazione dell’Università di Roma Tre – ha affermato che: “Occorre cominciare almeno un dialogo esplorativo, altrimenti il rischio del nucleare diventa incombente. Speriamo che la diplomazia e le istituzioni percorrano la via, non facile, del dialogo”.

Come ripetiamo da tempo, vanno valorizzate tutte le iniziative che si muovono nella direzione del “Fermare la guerra ed imporre la pace”, come recita il titolo del documento di cui siamo sottoscrittori e promotori.

Ne parleremo a Roma sabato 27 maggio dalle ore 10 al Cinema Aquila, nell’iniziativa “Per fermare la guerra, cosa siamo disposti a fare?”.

Iniziativa in cui rimetteremo al centro la necessità di cessare l’invio di armi all’Ucraina, il sostegno alle proposte negoziali fino ad ora messe sul tappeto (tra cui l’ultima, quella africana), per sganciarsi dall’economia di guerra e sottrarre i territori italiani al coinvolgimento militare.

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