Seppure la circostanza inviti alla prudenza, ci sono segnali sempre più confortanti che possa terminare la brutale guerra contro lo Yemen avviata da una coalizione di paesi guidata dall’Arabia Saudita dal 2015 per rimettere al potere il loro fantoccio Abd-Rabbu Mansour Hadi. Da non dimenticare assolutamente, la distruzione dello Yemen è stata compiuta con armi occidentali.
Migliaia di morti civili e milioni in pericolo di vita, soprattutto donne e bambini, infrastrutture, strade, ponti, siti archeologici distrutti embargo economico, carestia, epidemie di vario genere, in otto anni le cifre di questa aggressione sono terrificanti anche se i media occidentali hanno dato poco o nulla spazio per denunciare questo scempio, dal momento che Riad in Asia occidentale è l’alleato di riferimento contro l’Iran.
Nonostante le forze in campo non comparabili, la resistenza dei guerriglieri yemeniti di Ansarollah è stata eroica, grazie anche si sistemi di difesa aerei, razzi, missili e droni forniti dall’Iran. Gli attacchi lanciati con i droni anche all’interno del territorio saudita ed emiratino hanno colpito direttamente la principale compagnia petrolifera del regno, la Saudi Aramco, mettendo in crisi il sistema di difesa missilistico Patriot fornito dagli Stati uniti d’America e spostando gli equilibri della guerra.
Durante il sanguinoso conflitto è arrivata la ripresa dei legami diplomatici tra Iran e Arabia Saudita mediato dalla Cina che, di conseguenza, seppure non si possa parlare di accordo di pace raggiunto, almeno ha portato a dei primi colloqui, i quali hanno prodotto il primo risultato di uno scambio di prigionieri. I negoziati sono stati interrotti per i sabotaggi statunitensi.
Giovedì scorso, Il movimento di resistenza Ansarallah avevano annunciato che la sua delegazione ha lasciato Sanaa per continuare i colloqui di pace mediati dall'Oman in Arabia Saudita.
Questi nuovi colloqui sembrano avere una novità molto importante. Infatti, come ha riferito, oggi, il quotidiano libanese Al-Akhbar, i negoziati mediati dall'Oman per porre fine alla guerra nello Yemen si sono svolti direttamente tra Riad e il governo di Sanaa guidato da Ansarallah ma, circostanza importante, il regno sta cercando di ignorare la pressione degli Stati Uniti.
Citando fonti informate, nell’articolo si precisa che il Presidential Leadership Council (PLC) nominato dall’Arabia Saudita e le forze sostenute dalla stessa e dagli Emirati Arabi Uniti nello Yemen “sembrano non avere alcun ruolo nei negoziati”.
Inoltre, si ribadisce che l’Arabia Saudita sta ignorando le aspirazioni secessioniste del governo del Consiglio di transizione meridionale (STC) sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti e ha respinto le sue richieste di essere inclusa nei negoziati.
I colloqui finora hanno “raggiunto grandi progressi”, in particolare per quanto riguarda le questioni umanitarie, secondo le fonti.
Questi negoziati sono quasi in una fase “finale”, hanno precisato le fonti, aggiungendo che il ruolo dei gruppi sostenuti dalla coalizione, vale a dire il PLC nominato dai sauditi e il STC sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti, “non andrà oltre la firma e la partecipazione alla cerimonia”. Regna un totale ottimismo sul buon esito della trattativa
Khaled Salman, direttore del quotidiano yemenita Al-Thawri, ha dichiarato attraverso i social media che “l’Arabia Saudita sta seriamente cercando una pace a lungo termine con Sanaa sulla propria strada, lontano dalle pressioni americane, per privare Washington di ogni carta che possa essere usata contro in futuro."
Ha aggiunto che esiste uno “schiacciante” desiderio saudita di ritirarsi dal “mantello americano”.
Nel summit tra le parti i principali argomenti discussi sono stati "il bilancio generale dello Stato, i movimenti tra le province e la revoca del blocco dei porti".
Nell'ambito del blocco guidato dall'Arabia Saudita contro lo Yemen, restano imposte pesanti restrizioni al porto principale del paese, Hodeidah, e all'aeroporto internazionale di Sanaa.
"Bin Salman ha fornito garanzie a Sanaa su tutti i punti di disaccordo, inclusa la posizione americana contraria alla pace", si legge nell’articolo citando due fonti, una delle quali è un consigliere del ministero degli Esteri saudita.
Tawfiq al-Humairi, consigliere del ministero dell’Informazione nel governo di Sanaa, ieri, ha dichiarato: “Riad ha accettato i termini che aveva rifiutato nel periodo precedente per dare spazio alla discussione a tutti i livelli”.
Ciò include la revoca totale del blocco e la restituzione dei “fondi saccheggiati”, che secondo Humairi sono stati confiscati e trattenuti nella Banca nazionale saudita. Questi fondi serviranno a pagare gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, ha aggiunto.
"Le pressioni dirette verso l'Arabia Saudita da Sanaa oggi superano le pressioni americane su Riad", ha ricordato Humairi, riferendosi alle minacce di attacchi missilistici di Ansarallah contro l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
È l’ennesimo schiaffo diplomatico che Washington sta ricevendo da Riad. Una rottura che parte da lontano. L’attuale Presidente USA Joe Biden durante la campagna elettorale per le presidenziali promise di ridurre l’Arabia Saudita ad uno stato “paria” in seguito all’omicidio nel consolato saudita a Istanbul del giornalista Jamal Kashoggi.
Con la guerra in Ucraina si è consumato il primo grande strappo. Riad si è rifiutata di sostituire il suo petrolio con quello russo. Anzi, ha dimezzato i flussi di petrolio sul mercato addirittura in accordo con Vladimir Putin, in sede di OPEC+.
Riad, tra l'altro, ha ripristinato le relazioni diplomatiche anche con la Siria promuovendo il rientro di Damasco nella Lega araba dopo 11 anni, facendo irritare non poco Washington
Di recente, il passo storicamente importante che potrebbe cambiare gli equilibri mondiali. Il 24 agosto scorso l'Arabia Saudita è entrata a far parte, con altri sei Paesi, del blocco dei BRICS, fondato da Cina, Russia, Sudafrica, Brasile, India.
Ieri, un’altra umiliazione per la Casa Bianca: l’annuncio del regno saudita sul ritiro dai colloqui per la normalizzazione del rapporto con Israele a causa della riluttanza israeliana a fare concessioni nei confronti dei palestinesi.
"L'Arabia Saudita ha informato l'amministrazione americana di interrompere qualsiasi discussione relativa alla normalizzazione con Israele", ha riferito ieri il quotidiano Elaph con sede a Londra, di proprietà saudita, citando un funzionario dell'ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Mettendo all’angolo Washington nella regione o, meglio, dire, quasi sbarazzandosene, si potrebbe raggiungere un risultato ancora più eclatante: la fine di un conflitto terribile nello Yemen.
Sarebbe la conferma che, quando Washington resta fuori da qualunque negoziato, la pace è sempre possibile.
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